"Nel Jobs act inseriamo anche il telelavoro"

Lo scorso 29 gennaio in Parlamento è stata presentata la proposta di legge sullo smart working, a firma di Alessia Mosca (Pd), Barbara Saltamartini (Ncd), e Irene Tinagli (Sc). Parole d’ordine: flessibilità, auto organizzazione dei tempi e degli spazi di lavoro per mezzo delle nuove tecnologie e un totale ripensamento del telelavoro, strumento poco praticato e ostacolato da norme rigide e ormai superate.
 
Di smart working si è parlato in occasione della “giornata del lavoro agile”, che si è tenuta a Milano lo scorso 6 febbraio. Hanno partecipato 104 enti e aziende milanesi, per un totale di oltre 5 mila lavoratori. L’esperimento mostra tutti i vantaggi del nuovo modello: ogni lavoratore ha risparmiato circa due ore della propria giornata lavorativa, che avrebbe altrimenti impiegato per lo spostamento tra casa e ufficio. Ancora: la decongestione del traffico urbano e la riduzione dei picchi di inquinamento. Infine, il guadagno delle aziende legato alla riduzione dei costi diretti e indiretti di gestione e all’aumento della produttività grazie a una migliore qualità del lavoro e alla maggiore soddisfazione dei dipendenti.
 
In occasione della Social Media Week abbiamo incontrato l’onorevole Alessia Mosca, tra i firmatari della proposta di legge sullo smart working.
 
 
Onorevole, come e quando nasce l’idea di una proposta di legge sul lavoro agile?
 
Abbiamo lanciato la consultazione alla fine dello scorso anno e presentato a inizio 2014 la proposta di legge. Dopo l’approvazione della legge sulle quote di genere (legge 120/2011, la cosiddetta Golfo-Mosca, ndr) sentivamo il bisogno di ulteriori misure che garantissero alle donne una reale possibilità di carriera, ostacolata, troppo spesso, dalla sola gestione del tempo. La nostra proposta di legge sullo smart working nasce per rispondere a questa esigenza, anche se abbiamo capito presto che questo bisogno non è esclusivo delle sole donne. Al contrario è molto sentito anche tra gli uomini, giovani e meno giovani. Ognuno ha le proprie esigenze di flessibilità.
 
 
Che procedura avete seguito per preparare il testo della proposta? A chi avete chiesto di collaborare?
 
È la stessa procedura già sperimentata ai tempi della “legge sul controesodo”, la scorsa legislatura. Per prima cosa abbiamo predisposto un testo di base che fosse facilmente consultabile e integrabile via internet. L’iniziativa è stata supportata da importanti blog, come La 27ora del Corriere della Sera, e da focus group, composti da esperti e tecnici, ma anche da chi già sperimentava in prima persona simili esperienze di lavoro. Dopo aver raccolto ed elaborato tutti i contributi che ci sono pervenuti, abbiamo proceduto con la stesura della proposta di legge.
 
 
Con la “staffetta” di governo, si accavalleranno diverse priorità. Pensa che il progetto di legge sullo smart working possa perdere posizioni nella lista delle priorità?
 
Il cambio di governo è un po’ un peccato in tal senso. Aspettiamo di capire chi sarà il nostro nuovo interlocutore, il nuovo ministro del lavoro, per vedere quanto si dimostrerà sensibile alla tematica. Sono però ottimista perché, dalle recenti dichiarazioni del nostro segretario e neo presidente del consiglio, sappiamo che la priorità sarà il lavoro e nel jobs act proposto dal nostro partito la parte sul lavoro agile era già stata inclusa. Spero quindi che, nonostante il momentaneo rallentamento, ci possa essere una accelerazione nel mese di marzo.
Ma quali sono i principali vantaggi dello smart working per i lavoratori?
 
Una maggiore flessibilità oraria, anzitutto. Il diretto beneficio è ottenere una cultura dell’organizzazione aziendale per la quale l’orario di lavoro non è più il vincolo stringente per dimostrare la propria capacità professionale. Ricordo che la legge non prevede il rischio della segregazione del lavoratore isolato tra le mura di casa come avveniva per il telelavoro, ma è una nuova modalità che permette, solo per alcuni periodi di tempo e per alcune funzioni, la possibilità di auto organizzare il proprio lavoro, come orari e spazi.
 
 
Quanti lavoratori pensate che potrebbero beneficiare di questa flessibilità organizzativa?
 
Abbiamo stimato che lo smart working potrebbe essere applicato a circa il 40% di tutte le mansioni. Alle condizioni attuali la percentuale si assesta attorno al solo 1%.
 
 
Quali invece le principali criticità?
 
Non vedo pericoli, nemmeno legati a possibili tensioni sociali perché la proposta di legge non prevede alcuna imposizione. Se il lavoratore è dotato degli strumenti giusti, può decidere come organizzarsi al meglio. La modalità di lavoro si pattuisce direttamente tra datore di lavoro e lavoratore. Nessuna rigidità, obbligo o vincolo.
 
 
Com’è possibile implementare tipologie di lavoro così flessibili in un sistema contrattuale che di fatto lo nega attraverso rigide imposizioni legate al concetto di subordinazione?
 
Non c’è nessun collegamento tra le tipologie contrattuali e lo smart working. Non vorrei che questo fosse un modo per limitarne l’uso. Ciò che cambia è semplicemente la modalità organizzativa. Sono consapevole che non tutte le mansioni possono essere adatte per un lavoro in smart working, ma questo riguarda non i contratti quanto invece i settori e, appunto, le mansioni. Non vedo la necessità di sovrapporre la modalità contrattualistica e lo smart working. I problemi della contrattualistica non verranno certo risolti con l’implementazione del lavoro agile. Centro del nuovo modello è la libera contrattazione tra lavoratore e datore di lavoro volta a definire la giusta percentuale di tempo e delle mansioni che possono essere svolte in remoto.
 
 
Yahoo ha recentemente richiamato tutti i dipendenti tra le mura del proprio ufficio e abbiamo letto dichiarazioni forti contro l’uso del telelavoro. Qual è la sua opinione in merito?
 
Il caso Yahoo è in realtà ambiguo. Non si è capito bene il motivo di quelle dichiarazioni, in parte ritrattate. Certo è che lavorare per obiettivi e responsabilizzare i lavoratori non è facile se non cambia prima la mentalità manageriale. Sono convinta però che un ambiente di lavoro con meno costrizione e più responsabilità accresca la soddisfazione dei lavoratori che vedono riconosciuto il proprio ruolo e risultato. Il caso delle amministrazioni pubbliche insegna che responsabilizzando i dipendenti il tasso di assenteismo si riduce.
 
 
In questi giorni Bmw ha annunciato che rivoluzionerà il proprio modello organizzativo conteggiando nell’orario di lavoro anche il tempo speso per l’invio di email e sms da casa. All’apparenza una vera e propria rivoluzione. Che idea si è fatta? Come potrebbe avvenire il conteggio?
 
Aspettiamo di vederne gli effetti. È una sperimentazione molto interessante e una modalità nuova di organizzazione del lavoro. Per conteggiare le ore ci sono diverse possibilità: Nokia, ad esempio, utilizza l’autocertificazione esaltando il rapporto di fiducia che si crea tra capo e dipendente. Ci sono poi altre forme di controllo che possono dare risultati migliori o peggiori. Costringere a timbrare un cartellino non mi sembra però la soluzione migliore. Nessun dipendente Nokia è costretto a timbrare il cartellino e ne sono entusiasti.
 
 
Tra piccole medie imprese e grandi aziende, chi è più propenso a implementare modalità di lavoro agile?
 
Le grandi aziende sono culturalmente avvantaggiate. In più, dovendo fare i conti con spese importanti, è normale che siano proprio queste aziende a godere più facilmente dei risparmi che lo smart working è in grado di garantire.
 
 
Come stanno reagendo le parti sociali davanti alla prospettiva dello smart working?
 
Non abbiamo avuto un’adesione di blocchi interi al momento ma, in più di un’occasione, abbiamo riscontrato l’interessamento di gruppi sia sindacali che datoriali specifici, legati a un singolo settore, per contributi non ufficiali ma egualmente importanti. Spesso i contributi sono legati al fatto che, in alcuni settori, si è già in fase di sperimentazione pratica della materia. Il dialogo con le parti sociali è sempre benvenuto.
 
 
Anche le città dovranno attrezzarsi. Che tipo di investimenti possono essere fatti?
 
È fondamentale che le città si dotino delle infrastrutture necessarie ad agevolare il cambiamento. Passi in avanti sono stati fatti grazie alla normativa nazionale che ha riconosciuto l’importanza di rendere possibile l’accesso libero alla rete da parte di tutti i cittadini, potenziando le linee della “banda larga” ed il WiFi. Non tutte le città sono ancora allo stesso livello e c’è ancora molto lavoro da fare.
 
 
Quali obiettivi vi siete proposti?
 
Contiamo di approvare alcune norme che possano alleggerire il modello di telelavoro che abbiamo oggi. Questo aiuterebbe anche a creare una consapevolezza diffusa sul tema. La cosa più importante è che se ne parli, ci piacerebbe che lo smart working diventasse oggetto di dibattito pubblico, condizione necessaria per un cambio culturale.
 
 
Il 2014 è l’anno della conciliazione vita-lavoro, cosa dobbiamo aspettarci?
 
Depositare a gennaio la proposta di legge è stato un modo per omaggiare l’anno europeo della conciliazione. Al momento però, non sono ancora state pianificate grandi iniziative, anche perché sappiamo che quest’anno sarà molto particolare per le istituzioni europee. È un anno di passaggio e grande cambiamento: commissione e parlamento sono in scadenza e temo che i lavori ne possano risentire. Per noi sarebbe una soddisfazione riuscire a organizzare, prima del 2015, una giornata nazionale, se non addirittura europea, del lavoro agile. Sarebbe un segnale importante per la modernizzazione del Paese.
 
Andrea Gatti Casati
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@GattiCasati
 
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* Il presente articolo è pubblicato anche in Linkiesta, 27 febbraio 2014.
 
 

"Nel Jobs act inseriamo anche il telelavoro"
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