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Bollettino ADAPT 30 gennaio 2023, n. 4
All’inizio dell’anno è stata pubblicata una nuova ricerca che ha dimostrato l’esistenza di un significativo divario di ricchezza tra gli uomini e le donne al momento della conclusione della propria carriera. L’indagine condotta da WTW- Willis Towers Watson e da Word Economic Forum si è concentrata su cinque Regioni mondiali (l’Asia Pacifica, l’Europa, l’America Latina, l’America Settentrionale e l’Africa e il Medio Oriente) ed ha evidenziato che, al momento del pensionamento, le donne a livello globale accumulano il 74% della ricchezza rispetto ai colleghi uomini.
Gli autori dello studio hanno sviluppato il Wealth Equity Index (WEI) con cui vengono analizzate le disuguaglianze di genere nell’arco della vita delle donne e viene quantificato il divario di ricchezza tra uomini e donne al momento del pensionamento. Il WEI rappresenta il divario nell’accumulo di ricchezza accumulata, che i ricercatori e le ricercatrici hanno calcolato a partire dal ventiduesimo anno di età fino ad un’età pensionabile statale comune, basata sull’età pensionabile statale degli uomini nel paese di riferimento. Il modello prende in considerazione fonti di ricchezza come le prestazioni statali e obbligatorie, i piani di pensionamento sponsorizzati dal datore di lavoro, le proprietà immobiliari e risparmi personali; al contrario, non si è tenuto conto di altre forme di reddito come eredità, redditi da locazione o rendimenti e dividenti da investimenti.
L’indice è un numero da 0 ad 1, dove 1 indica l’assenza di differenze nel cumulo della ricchezza tra i due sessi e 0 le più grosse differenze. A livello globale, è emerso che in Europa la media del WEI è di 0,77, la più alta tra i paesi analizzati. Probabilmente perché tra i 14 paesi analizzati, 11 fanno parte dell’Unione Europea, la quale riconosce nella parità di genere uno dei suoi valori fondanti1. Un ottimo risultato lo si riscontra anche nell’America del Nord, in cui il Wealth Equity Index dei paesi è al di sopra della media mondiale. Le altre regioni analizzate presentano dei paesi, delle culture e, quindi, dei dati molto diversi tra loro, dati che si fa difficoltà a leggere in un’ottica di insieme. Per esempio, nell’Asia Pacifica, il Sud Corea ha un WEI di 0,90, mentre l’India presenta uno dei risultati peggiori (0,64); ancora, in America Latina, il Chile registra un indice perfettamente nella media mondiale, mentre l’Argentina si attesta totalmente al di sotto, con un WEI dello 0,61. Discorso ancora più complesso è quello in Africa e in Medio Oriente, dove da un lato si hanno paesi poveri come la Nigeria e la Turchia (rispettivamente 0,60 e 0,63), dall’altro stati facoltosi come Israele (0,81) e Arabia Saudita (0,80).
Non si dimentichi che, ogni volta che si parla di disuguaglianze, bisogna guardare alla loro multidimensionalità e al fatto che tra loro si intrecciano diversi fattori. Infatti, ci possono essere fattori diretti ed indiretti che impattano sulla quantità di ricchezza che uomini e donne possono mettere da parte come, ad esempio, la posizione o i ruoli che vengono ricoperti, la progressione nella carriera e il rispettivo aumento dello stipendio, il supporto che si ha nei lavori di cura in famiglia, eventi e scenari di vita che possono influenzare l’accumulo di ricchezza o il peggioramento delle proprie condizioni di vita (divorzio o vedovanza), così come l’alfabetizzazione finanziaria. Il Global Gender Wealth Equity Report esplora anche le ragioni di queste disparità, concentrandosi sui suoi effetti. A livello globale è emerso che per le donne che ricoprono ruoli di frontline operational work, la media del divario di ricchezza è pari all’11%, mentre per chi ricopre ruoli professionali e tecnici, il divario quasi si triplica, arrivando ad una media del 31%, crescendo ancora quando si parla di donne che ricoprono ruoli di senior expert e di leadership (38%). A tal proposito, nei paesi con un maggior numero di donne nelle posizioni di comando (come, ad esempio, il Belgio, la Svizzera e gli USA), queste lavoratrici sono maggiormente impattate e penalizzate. In pesi come l’Indonesia, l’India, le Filippine, la Nigeria, il Brasile, il Messico, le donne nelle posizioni senior, hanno un accumulo di ricchezza che è pari alla metà di quella degli uomini nella stessa posizione e con la stessa esperienza.
La carriera, con cui si intende lo stipendio -e, quindi, il gender pay gap– e la progressione della carriera ha un forte impatto sul cumulo di ricchezza dei lavoratori e delle lavoratrici, così come i lavori di cura: i paesi che hanno registrato peggiori risultati sono anche quelli in cui sussistono da un lato una rigida e tradizionale suddivisione dei ruoli in famiglia, dall’altro lo stereotipo che gli uomini sono i c.d. breadwinner, Per esempio, in India le donne si caricano di responsabilità familiari fin dalla giovane età, mentre in Australia è stato rilevato che circa il 35% della popolazione vive in quartieri in cui è totalmente assente un’assistenza all’infanzia. Un ulteriore effetto è il risultato delle politiche dei congedi parentali: in America Latina, il fatto che il congedo concesso alle donne oscilli tra i 3 e i 4 mesi, mentre quello per i padri tra i 5 e i 15 giorni, incoraggia le madri a lasciare la propria posizione il che, a sua volta, comporta un ritardo nel loro avanzamento della carriera.
Ulteriori differenze dipendono dal sistema previdenziale del paese. In Sud Corea sono posti dei limiti di reddito nelle prestazioni di sicurezza sociale e ciò fa sì che sia limitato l’accumulo di ricchezza degli uomini e la stessa cosa avviene in Spagna, la quale ha un WEI dello 0,86, nonostante i significativi divari retributivi. In Israele, invece, una parte importante della ricchezza proviene da programmi statali ed obbligatori, che consistono in una combinazione di prestazioni forfettarie ed altre legate al salario, con tetti di guadagno. Al contrario, nei Paesi Bassi, la disparità è anche conseguenza del fatto che i piani di risparmio previdenziale sponsorizzati dai datori di lavoro sono legati alla retribuzione.
È importante sottolineare che quasi in tutto il mondo, le nuove legislazioni prendano sempre più in considerazione le problematiche connesse alle discriminazioni e alle differenze di genere nel mondo del lavoro; tuttavia, è fondamentale che venga considerata anche la questione previdenziale e, quindi, l’accantonamento di ricchezza a fine carriera. Per colmare veramente questo gap sono necessari investimenti e sforzi mirati sia da parte di attori pubblici che dai privati. WTW e Word Economic Forum hanno evidenziato le azioni che possono essere promosse dai datori di lavoro: (i) sostenere l’equità delle carriere e la rappresentazione dei ruoli (per esempio attraverso la trasparenza retributiva, si veda sul tema La trasparenza retributiva è lo strumento per colmare il divario di genere? in Bollettino ADAPT 3 ottobre 2022, n. 33 ), valutando ed eliminando le barriere involontarie alla progressione di carriera; (ii) ridurre il divario retributivo di genere valutando i programmi e processi di HR; (iii) ridurre il divario pensionistico tra i sessi, garantendo il mantenimento dei contributi pensionistici per le donne durante le interruzioni di carriera e progettando e comunicando programmi di pensionamento che tengano conto della diversità di genere; (iv) migliorare il sostegno al lavoro di cura, progettando programmi di congedo che riconoscano le responsabilità di cura che spesso ricadono sulle donne; (v) promuovere la flessibilità sul posto di lavoro sia per gli uomini che per le donne, così da incentivare ad un’equa collaborazione in casa ed in famiglia.
Francesca Valente
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena
@valentefranc
1 Tuttavia, non si dimentichi che, nonostante questo ottimo risultato, nonostante la parità salariale a parità di lavoro sia un principio enunciato nel Trattato di Roma e, nonostante siano state recentemente emanate e proposte ulteriori direttive -tra tutte quella sulla Trasparenza retributiva del 4 marzo 2021-, nell’Unione Europea continua a sussistere un divario di genere pari al 13%.