Il presente contributo si inserisce nell'ambito delle attività di ricerca, comunicazione e diffusione delle azioni intraprese e dei risultati ottenuti dal progetto Net-work for NEET, finanziato dal bando "Orientamento formazione lavoro" della Fondazione Istituti Educativi Bergamo
Bollettino ADAPT 31 maggio 2021, n. 21
L’Associazione Formazione Professionale (AFP) del Patronato S. Vincenzo di Bergamo è la capofila del progetto Net-work for Neet, che ha l’obiettivo di attivare e ri-attivare giovani NEET del territorio bergamasco grazie a percorsi di orientamento, formazione, e inserimento lavorativo. Per conoscere meglio questa realtà e per approfondire il suo ruolo all’interno del progetto, abbiamo intervistato Don Marco Perrucchini, Direttore Generale di AFP, e Giuseppe Alberghina, Project Manager dell’ufficio progettazione di AFP.
Che cos’è l’AFP del Patronato S. Vincenzo? Qual è la sua storia?
M. Perrucchini: L’AFP è una realtà che si occupa prevalentemente di formazione, in due modi: realizzando percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), quindi corsi regionali triennali o quadriennali, e occupandosi della formazione degli adulti, occupati e disoccupati. AFP è solo una delle realtà che compongono l’Opera Diocesana Patronato S. Vincenzo, un’istituzione fondata nel 1927, qui a Bergamo, da don Bepo Vavassori. Conoscerne la nostra storia penso possa aiutare a comprendere lo spirito e le finalità che ci muovono oggi ad investire (anche) nella formazione professionale. Il Patronato viene fondato per rispondere ad un’esigenza concreta: molti ragazzi e ragazze che arrivavano dalle valli bergamasche in città per lavorare, si trovavano senza un posto dove stare, senza nessuno che li accogliesse. Don Bepo riorganizza il preesistente Patronato nel 1927, stabilendosi in Città Bassa, offrendo ai più giovani uno spazio in grado di ospitarli. Affianco a questa dimensione più sociale, non manca fin da subito anche una forte attenzione all’educazione di questi giovani. Da qui, nel tempo, il desiderio di promuovere un loro inserimento qualificato nel mondo del lavoro, grazie ad esperienze concrete di quella che noi oggi definiremmo formazione on the job. Ancora oggi, accanto ai laboratori all’avanguardia che formano i nostri giovani sono ospitate più di 300 persone in condizioni di difficoltà, a dimostrazione del perdurare di un legame e di una tensione continua tra educazione e inclusione sociale.
Quali attività realizzate?
M. Perrucchini: AFP è oggi un ente accreditato per l’erogazione di corsi di formazione professionale presso Regione Lombardia. Abbiamo tre sedi: Bergamo, Clusone, Endine, frequentate da circa 1.000 studenti. Oltre ai corsi IeFP già ricordati, realizziamo anche corsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) e partecipiamo a 3 Fondazioni ITS. Non solo: come già anticipato realizziamo anche corsi di formazione per gli adulti, ad esempio alcuni dipendenti dell’azienda Brembo realizzano le ore connesse al diritto soggettivo alla formazione previsto nel CCNL dei metalmeccanici presso i nostri laboratori. Quest’ultimi sono l’elemento qualificante la nostra offerta formativa, e ben dimostrano anche la logica che guida le nostre progettualità: promozione di luoghi di eccellenza come spazi di apprendimento, costruzione di alleanze con le imprese, forti radici locali ma sguardo internazionale.
Per quanto riguarda i luoghi, è nostra convinzione che investire in spazi dotati delle migliori tecnologie sia decisivo sia per convincere i giovani a scegliere la nostra offerta formativa, convinti di poter così toccare con mano, quotidianamente, i processi produttivi che caratterizzano il settore nel quale troveranno un impiego, ma anche e soprattutto per costruire un clima educativo nel quale lo studente capisce, dalla cura dei dettagli e dalla qualità di ciò che manipola, che tutta quell’attenzione è per lui, per ciò che sta facendo, per ciò che sta imparando. Senza questa cura, questi luoghi altro non sarebbero che laboratori ben attrezzati: noi vorremmo fossero di più.
I laboratori dimostrano poi l’alleanza che abbiamo creato con il mondo delle imprese, senza il quale non sarebbero stati possibili: grazie alla rete di aziende che lentamente, negli anni, abbiamo costruito, siamo riusciti ad ottenere in conto visione tecnologie all’avanguardia che ora popolano i nostri laboratori. Così facendo siamo riusciti a disporre di spazi di apprendimento innovativi coniugando la sostenibilità economica con la strutturazione di reti di collaborazione sempre più ampie e solide con il mondo produttivo. Nei nostri laboratori i ragazzi imparano però anche a conoscere la storia della tecnologia di cui oggi dispongono, così da comprenderne la traiettoria evolutiva e guardare con una profondità diversa anche alle tecniche oggi a nostra disposizione: è quanto accade, ad esempio, nel laboratorio di grafico, dove affianco ai sistemi più moderni sono ancora a disposizione strumenti utilizzati decine di anni fa.
Il laboratorio di grafica della sede di Bergamo
Infine, le alleanze che stiamo sviluppando ci spingono a investire sempre di più nella internazionalizzazione della nostra offerta, che si realizza sia con viaggi all’estero grazie ai bandi promossi da Erasmus+ ma anche nell’adesione al modello, proposto dalla Commissione Europea, dei Centres of Vocational Excellence (CoVEs). Sarebbe opportuno che queste alleanze si sviluppassero anche con altre istituzioni formative, fino a realizzare dei veri e propri ecosistemi territoriali della formazione e dell’innovazione, capaci di coniugare continuamente formazione, lavoro e ricerca: altrimenti, il rischio è quello di vedere impoverire il territorio, frammentando le azioni e indolendo i progetti in un pulviscolo di strategie più o meno autoreferenziali. Credo che per il futuro (europeo) che ci attende, necessariamente dovremmo creare filiere formative sempre più lunghe grazie al coordinamento di una pluralità di enti diversi.
Quali sono gli obiettivi che perseguite, in questo vostro intento di “tenere assieme” formazione ed educazione, sviluppo professionale e personale?
M. Perrucchini: È nostra convinzione, da sempre, che non vi è formazione senza educazione, e non vi è educazione senza inclusione sociale. Questi aspetti sono sempre legati all’interno delle nostre attività. Accogliere senza fare una proposta significa al limite ospitare, e questa proposta da noi si concretizza nel desiderio di aiutare i giovani (e non) a costruire il loro progetto di vita. Per farlo, strumento fondamentale è il lavoro, il quale a sua volta richiede non solo conoscenze tecniche, ma una maturazione personale che si guadagna grazie ad una tensione educativa che ci permette di star davanti anche a quegli studenti e a quei giovani che arrivano da contesti socioeconomici più difficili. Nei rapporti che si costruiscono tra formatori, docenti, tutor e giovani che frequentano AFP si può trovare la cifra della nostra missione, educativa e sociale assieme. Non solo: quello che per noi è un ecosistema interno fatto di formazione iniziale, continua, reinserimento lavorativo, formazione per i soggetti svantaggiati (circa il 30% dei nostri studenti ha forme di BES, DSA, o forme di disabilità più o meno grave), che si struttura in una rete di cui AFP è solo uno dei nodi, si riverbera anche all’esterno delle nostre mura, nell’obbiettivo di costruire reti sempre più ampie attorno a noi con realtà del terzo settore, enti locali, istituzioni formative, imprese, e quindi un vero e proprio ecosistema territoriale, unico strumento – a nostra parere – per affrontare adeguatamente la complessità che contraddistingue i bisogni che intercettiamo quotidianamente.
Ora che conosciamo meglio la realtà di AFP, possiamo comprendere meglio le ragioni che vi hanno spinto a progettare e collaborare alla realizzazione del progetto Net-work for Neet: potete sinteticamente richiamarle?
A. Alberghina: il progetto Net-work for Neet si caratterizza per una dimensione plurale, sia in termini di partecipazione che di strumenti da adottare, che ben rispecchia la mission educativa e sociale di AFP. La costruzione di una rete di collaborazione tra realtà anche molto diverse tra di loro, basti pensare ad esempio ad un centro di accoglienza per soggetti a rischio e un’impresa metalmeccanica, ci sembra coerente con quell’approccio “ecosistemico” che abbiamo già richiamato. E questo perché i soggetti con cui ci imbatteremo saranno diversi tra di loro, porteranno bisogni differenti e che devono essere guardati nella loro interezza, e ciò è possibile solo unendo e coordinando diversi approcci, per poi individuare la migliore soluzione per loro: reinserimento in un percorso IeFP, brevi percorsi di formazione professionale, attività laboratoriali per il guadagno della propria autonomia, assistenza sociale e psicologica. È quindi per noi un’occasione di rinsaldare i rapporti con altre realtà presenti nel territorio bergamasco, e con le quali finora avevamo collaborato raramente, e sviluppare una metodologia reticolare ed ecosistemica per affrontare le problematiche locali riguardanti l’inclusione sociale e lavorativa dei più giovani.
L’idea, particolarmente ambiziosa, alla base del progetto è quello di realizzare un modello permanente di presa in carico, indipendente dal punto di ingresso: al centro sta la persona, e i suoi bisogni. Se un ragazzo inserito in attività di inclusione sociale mostra una predisposizione al lavoro, perché non collaborare con un’istituzione formativa per strutturare attività propedeutica e poi un tirocinio formativo o un apprendistato? E ancora, se una ragazza che frequenta un percorso IeFP attraversa un periodo difficile per diverse motivazioni, perché non proporle un servizio sociale dedicato finalizzato al suo accompagnamento? Un obiettivo di questa portata è realizzabile solo a partire da una solida rete territoriale, con a disposizione molteplici punti di accesso e governata da un coordinamento continuo.
All’interno del progetto Net-work for Neet, quali attività condurrete? Per quale target group?
A. Alberghina: all’interno del progetto AFP ha il ruolo di coordinamento generale, data anche che, essendo accreditati a livello regionale per le attività di formazione professionale, potevamo meglio gestire alcune specifiche attività, come l’attestazione delle competenze ottenute dai partecipanti in esito al percorso svolto. Oltre a coordinare la rete, metteremo a disposizione anche i nostri laboratori per attività successive a quelle motivazionali, utili a irrobustire le competenze possedute dai giovani appartenenti ad entrambi i target group del progetto.
A vostro parere, quali sono le principali sfide e le criticità connesse alla realizzazione di queste attività?
A. Alberghina: Il progetto si caratterizza per un inevitabile alto grado di complessità: affrontare bisogni diversi con strumenti diversi richiede un coordinamento che deve fare i conti con la standardizzazione di alcune proposte. Noi, ad esempio, ci occupiamo prevalentemente di minorenni, e abbiamo quindi più difficoltà a comprendere i bisogni di giovani donne fino a 29 anni uscite dal mondo del lavoro e dell’istruzione a causa di problematiche personali: come già detto il dialogo tra tutti i soggetti partner è necessario, ma non nascondo che la costruzione di questa rete richiederà una collaborazione sempre più stretta tra tutti noi enti promotori, anche nell’ascolto reciproco.
Quali, invece, le potenzialità e le opportunità direttamente legate a questo progetto?
A. Alberghina: le potenzialità sono enormi: si tratta di stabilizzare un’alleanza capitalizzando le relazioni costruite, sia nella cabina di regia che nelle equipe dedicate. Oltre ai benefici per i partecipanti, i cui numeri saranno comunque inevitabilmente contenuti data anche la natura sperimentale di questo progetto, in esito potremo avere rapporti ancora più frequenti e soprattutto coordinati tra realtà del terzo settore, istituzioni formative, enti locali e imprese, che potranno a loro volta generare effetti benefici a lungo corso in termini di maggiore – e soprattutto migliore – occupazione, autonomia, sviluppo economico e inclusione sociale.
Il laboratorio macchine utensili della sede di Bergamo
Secondo voi questo tipo di iniziative possono anche generare benefici a tutto il territorio bergamasco? Se sì, in che modo?
G. Alberghina: Assolutamente sì, non dimentichiamo che questo progetto pur avendo sede in città avrà come orizzonte tutto il territorio bergamasco: ad esempio noi potremo mettere a disposizione anche le altre nostre sedi. Detto questo, come già più volte richiamato crediamo che la costruzione di ecosistemi locali capaci di far dialogare formazione e lavoro, ponendo la giusta attenzione all’inclusione sociale e all’autonomia dei soggetti svantaggiati siano un esempio concreto di cosa voglia dire rendere un territorio più “sostenibile” e “resiliente”. Da qui, il desiderio di far sì che il progetto Net-work for NEET possa essere solo il primo di tanti altri passi verso la costruzione di una rete di presa in carico sempre più ampia, capace di mettere la persona, i suoi bisogni e le sue prospettive al centro dell’azione educativa e sociale.
ADAPT Junior Fellow