Il presente contributo si inserisce nell'ambito delle attività di ricerca, comunicazione e diffusione delle azioni intraprese e dei risultati ottenuti dal progetto Net-work for NEET, finanziato dal bando "Orientamento formazione lavoro" della Fondazione Istituti Educativi Bergamo
Bollettino ADAPT 28 giugno 2021, n. 25
Il Centro Meta del Patronato S. Vincenzo di Bergamo è partner del progetto Net-work for Neet, che ha l’obiettivo di attivare e ri-attivare giovani NEET del territorio bergamasco grazie a percorsi di orientamento, formazione, e inserimento lavorativo. Per conoscere meglio questa realtà e per approfondire il suo ruolo all’interno del progetto, abbiamo intervistato Don Mauro Palamini, direttore del Centro Meta, e Isacco Gregis, educatore del Centro Meta.
Che cos’è il Centro Meta del Patronato S. Vincenzo? Qual è la sua storia?
M. Palamini: Il Centro Meta nasce come Centro di Ascolto, dedicato agli adolescenti, nel 2006. È parte integrante dell’Opera Diocesana Patronato San Vincenzo, da cui, di fatto, ha origine: nel tempo ci siamo infatti accorti che un numero sempre maggiore di adolescenti manifestava problematiche personali che generavano poi effetti di drop-out, di abbandono scolastico, e di forti difficoltà non solo nel trovare un impiego, ma anche nel proseguire la stessa esperienza lavorativa. Ragazzi e ragazze che oggi sono ricompresi nella categoria dei NEET. Ce ne siamo accorti a partire dalle attività dell’Associazione Formazione Professionale del Patronato, che realizza percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, e dai ragazzi che abbandonavano questi corsi per le motivazioni più disparate: dall’incapacità a stare in classe, vivendo esperienze di formazione frontale, a problematiche famigliari e sociali di varia natura. Il Centro Meta nasce quindi con l’obiettivo – e da qui il nome – di riattivare questi ragazzi aiutandoli e accompagnandoli nel riconoscere la loro vocazione, la loro meta nella vita. È stata proprio l’AFP a segnalarci i primi ragazzi con cui, ormai 15 anni fa, abbiamo iniziato questa esperienza. Nel tempo, siamo entrati in contatto con altre scuole di Bergamo che hanno cominciato a segnalarci i casi più “critici” e con i servizi sociali locali, fino a costruire una rete che passa anche per gli oratori del territorio, in modo tale da intercettare prima e meglio le diverse problematiche. Attualmente, i ragazzi che iniziano annualmente un percorso di riattivazione e rimotivazione presso il Centro Meta sono circa 150/200, di cui circa il 10% provengono da AFP, gli altri da scuole bergamasche oppure sono segnalati da enti presenti a livello territoriale.
E come vengono “riattivati” questi ragazzi? Quali strumenti adottate?
M. Palamini: Al centro della nostra proposta educativa c’è l’esperienza pratica e concreta. Ad ogni adolescente che accede al Centro Meta viene proposto, dopo un colloquio iniziale, di coinvolgersi in uno dei nostri 10 laboratori (lavorazione del legno, del gesso, produzione agricola, prepugilistica, lavorazione dell’argilla, foto e video animazione, musicale, incisione e taglio con laser, assemblaggio plastica, grafica e digitale). Non c’è un percorso uguale per tutti, in termini di durata, di giorni e di orari in cui il ragazzo si reca presso il Centro Meta: ogni cammino è personale. Può durare un anno (che di solito è la durata minima), fino a tre-quattro anni. Anche l’impegno settimanale e giornaliero varia, in base alle attività scelte ma soprattutto alle caratteristiche del beneficiario. L’esito poi non è, necessariamente, il raggiungimento di un titolo di studi grazie al reinserimento in un’esperienza di apprendimento formale o l’accesso all’impiego. L’obiettivo è invece orientare e far sviluppare, far crescere, le potenzialità della persona, che nel momento in cui raggiunge una nuova consapevolezza su di sé e sulla propria vocazione, completa il percorso che noi proponiamo.
Perché utilizzare, come principale strumento educativo, i laboratori?
M. Palamini: Perché nell’esperienza pratica gli adolescenti vivono l’esperienza di una realizzazione, di una propria capacitazione e mentre danno forma ad un manufatto, ad un bene, danno forma a sé stessi. È un’esperienza poi sempre plurale e relazionale: ogni ragazzo è seguito da un educatore, che lo aiuta a riflettere sulla sua esperienza e su di sé, e da tutor-orientatori e responsabili di laboratorio che gli insegnano tecniche e lo accompagnano nel suo percorso formativo. Si “staccano” dalla scuola non per smettere di apprendere, ma per sperimentare nuovi metodi in grado di aiutarli a trovare o ritrovare le ragioni e il senso del loro vivere.
Uno dei laboratori del Centro Meta
Quali sono gli obiettivi che perseguite? Quando riconoscere che un adolescente si è riattivato?
M. Palamini: Come già detto l’obiettivo del Centro Meta è prima di tutto riattivare i giovani e accompagnarli in un processo di evoluzione e costruzione del proprio percorso lavorativo ma soprattutto personale. Solitamente al termine del percorso sono principalmente due gli esiti, in base al percorso svolto dal ragazzo: il rientro in un percorso formativo oppure l’inserimento nel mondo del lavoro. Ovviamente nessun percorso è lineare, quindi ad un primo rientro potrebbe far seguito un nuovo abbandono, e quindi seguiamo i ragazzi anche in questi passaggi. Grandissima attenzione è poi rivolta al mondo del lavoro, sono più di 200 le aziende bergamasche con cui collaboriamo. Con esse attiviamo percorsi di tirocinio curriculare, extracurriculare, e più raramente di apprendistato. Il diretto contatto con il mondo del lavoro aiuta tantissimo la crescita dei ragazzi, anche se solo per brevi esperienze di tirocinio. Ma prima ancora, un adolescente si “sveglia” quando trova un adulto che lo guarda con stima e che è appassionato al suo lavoro. È l’incontro e la relazione con i nostri educatori e volontari che, per prima, aiuta il giovane a guardare sé prima la realtà che lo circonda con occhi nuovi, e poi sé stesso. È questo sguardo diverso su di sé e gli altri che è forse il vero obiettivo del Centro Meta.
Ora che conosciamo meglio la realtà del Centro Meta, possiamo comprendere meglio le ragioni che vi hanno spinto a progettare e collaborare alla realizzazione del progetto Net-work for Neet: potete sinteticamente richiamarle?
I. Gregis: Fin da subito ci siamo proposti per questo progetto mettendo a disposizione le nostre competenze per quanto riguarda il target group dei NEET di 16-17 anni. È infatti una fascia d’età che è abbastanza “scoperta”, in termini di strumenti messi a disposizione degli operatori ai fini della loro attivazione: sono spesso usciti da scuola e quindi non possono svolgere tirocini curriculari o rientrare agevolmente in un percorso di studi, attivare tirocini extracurriculari è spesso complesso, e in generale proporgli esperienze lavorativa non è agevole. Con il compimento del sedicesimo anno e l’assolvimento dell’obbligo scolastico si concretizza ciò che per molti era già evidente da tempo: l’abbandono dei percorsi scolastici. Sono formalmente senza scuola, ma il lavoro è ancora lontano. Collaborare con altre istituzioni per sviluppare e irrobustire i nostri servizi di accompagnamento, portando all’attenzione di tutti le particolari esigenze e i pochi strumenti destinati a questa fascia di età, sono le ragioni che ci hanno convinto a partecipare.
All’interno del progetto Net-work for Neet, quali attività condurrete?
I. Gregis: Metteremo a disposizione i nostri laboratori e le nostre risorse per accompagnare i giovani NEET ingaggiati in una fase di orientamento e attivazione, supportando poi AFP nell’attivazione dei tirocini curriculari ed extracurriculari. Vorremmo poi riuscire a mettere all’attenzione della collettività l’urgenza e l’importanza di investire su questi ragazzi, un compito che non può essere bloccato a causa di strumenti spuntati che non “vedono” le specificità dei bisogni degli adolescenti NEET.
Uno dei laboratori del Centro Meta
A vostro parere, quali sono le principali sfide e le criticità connesse alla realizzazione di queste attività?
I. Gregis: Sono le sfide e le criticità che ci troviamo ad affrontare quotidianamente: scuola e lavoro sono, sempre più, mondi separati e distinti. Il lavoro, in particolare, è un’esperienza che gli adolescenti non conoscono, sulla quale teorizzano e basta per anni. Non vedono il lavoro, e spesso le famiglie non ne fanno un argomento di discussione in casa, perché non è più un fattore di identità o una vocazione che appassiona. I giovani crescono così ritardando il più possibile il contatto con un mondo a cui non sono interessati e che al massimo richiede, ai loro occhi, nuovi doveri e fatiche. È incredibile come a volte alcuni ragazzi ci raccontano di offerte lavorative a cui sono interessati ma di cui conoscono solo l’ammontare economico, quanto li pagano, senza sapere niente né dell’azienda, né tantomeno delle mansioni che gli sarebbero chieste! C’è un gran bisogno – diffuso – di tornare alla realtà, tramite prima di tutto esperienza significative e di diretto coinvolgimento e ingaggio con adulti che sappiamo trasmettere, prima che specifiche competenze, una passione per il proprio lavoro. Anche le aziende devono riconoscere questa emergenza educativa e fare la loro parte, senza pensare alla scuola e più in generale ai sistemi formativi come “produttori” di future risorse che, una volta assunte, sono già pienamente operativa e non richiedono formazione: tutto il contrario. Dovrebbero riscoprire la propria vocazione educativa e scommettere su percorsi e progetti formativi continui nel tempo, soprattutto per i più giovani.
Quali, invece, le potenzialità e le opportunità direttamente legate a questo progetto?
I. Gregis: Mettere a sistema esperienze e competenze per costruire una rete stabile, plurale, riconoscibile, che riesca a adattarsi ai diversi bisogni, coordinando le risposte che noi realtà educative, formative e del terzo settore possiamo dare. Spesso manca un dialogo che pure, oggi più che mai, è davvero fondamentale.
Secondo voi questo tipo di iniziative possono anche generare benefici a tutto il territorio bergamasco? Se sì, in che modo?
I. Gregis: Spesso ci sono molte iniziative che rischiano di sovrapporsi, progetti che proseguono in parallelo quando invece un loro migliore coordinamento potrebbe generare un risparmio di risorse e una migliore efficacia. Centrale è poi la necessità di una maggiore consapevolezza diffusa su questi nuovi bisogni educativi e le risorse presenti sul territorio per rispondervi: senza una condivisione anche la ricchezza dell’esperienza vissuta si disperse. Noi vogliamo condividere, far conoscere e mettere a sistema il nostro modello anche per smuovere la collettività, dando voce ai tanti giovani che incontriamo, quotidianamente, qui al centro Meta.
ADAPT Senior Research Fellow