Note a caldo sul diritto alla disconnessione: rafforzare è bene, ma “con juicio”

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Bollettino ADAPT 17 maggio 2021, n. 19

 

L’Italia è stato il secondo Paese, dopo la Francia, ad introdurre con la legge n. 81/2017 un primo riferimento al “diritto alla disconnessione” per i lavoratori agili, su cui ormai molto si è scritto (per un inquadramento dell’istituto il rinvio è, tra i primi, a E. Dagnino, Il diritto alla disconnessione nella legge n. 81/2017 e nell’esperienza comparata, in DRI n. 4/2017) e sperimentato (come dimostra l’ultima analisi della contrattazione collettiva in materia, disponibile in E. Dagnino, M. Menegotto, L.M. Pelusi, M. Tiraboschi, Guida pratica al lavoro agile, ADAPT University Press, 2020). L’art. 19 co. 1 prevede ancora oggi infatti tra gli elementi essenziali dell’accordo individuale di lavoro agile la normazione, nel rispetto della normativa di derivazione comunitaria, dei tempi di riposo come anche delle «…misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro».

 

Abbandonati per il momento tentativi di riforma ben più ingerenti, il Legislatore italiano è nuovamente intervenuto sul tema con una disposizione, a dire il vero priva di visione sistematica, introdotta in occasione della conversione in legge n. 61/2021 del decreto-legge n. 30/2021. Il nuovo comma 1-ter dell’art. 2 (che regolamenta invece la fruizione dei congedi straordinari e del lavoro agile per genitori con figli under 16 in particolari condizioni) così stabilisce: «… è riconosciuto al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati.  L’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi».

 

La formulazione adottata pare particolarmente debitrice di un precedente disegno di legge, a firma Sacconi (A.S. 2229 del 2016), che per primo aveva prospettato l’introduzione del diritto alla disconnessione nell’ordinamento italiano. Nell’ambito della discussione con il progetto di legge governativo, quello slancio era stato recepito dal legislatore, ma tradotto con la formulazione riportata in apertura.

 

La scelta di riprendere quella formulazione al fine di rafforzare le previsioni della legge n. 81/2017 più (o forse oltre) che un tardivo riconoscimento della tecnica proposta, sembra doversi alla volontà dei promotori dell’emendamento – significativamente estranei al progetto precedente – di intestarsi il rafforzamento delle tutele in materia di disconnessione. Questo anche al costo di alcune incongruenze e di una capacità innovativa abbastanza limitata.

 

Partendo dai profili positivi, si deve certamente rilevare come elemento importante l’aver riconosciuto senza ombra di dubbio la natura della disconnessione quale diritto: seppur la maggioranza dei commentatori già ritenevano vigente il diritto alla disconnessione, l’assenza di tale specificazione nella disposizione della legge n. 81/2017 (che richiede che la disconnessione sia «assicurata») aveva fatto sollevare alcuni dubbi interpretativi sulla effettiva natura di diritto.

 

Su un diverso piano, più operativo, occorre concentrarsi sull’esperienza della prassi regolamentare/contrattuale degli ultimi anni, che ha visto il fiorire di clausole tendenti alla definizione di tale diritto in relazione ai tempi di lavoro e di riposo, non mancando di prevedere meccanismi di reperibilità o contattabilità, con la definizione di fasce orarie più o meno elastiche (per una analisi schematica cfr. M. Menegotto, Lavoro agile e contrattazione aziendale. Un’analisi qualitativa per progettare la ripartenza, § 5). In questo senso, si può osservare come la specificazione del divieto di far discendere conseguenze negative sul rapporto lavorativo o sui trattamenti retributivi dell’esercizio del diritto alla disconnessione potesse ritenersi implicito nell’obbligo di assicurare l’esercizio alla disconnessione da parte del lavoratore e trovasse, comunque, piena conferma nella prassi contrattual-collettiva e regolamentare.

 

Anche il riferimento a periodi di reperibilità merita una riflessione, potendosi immaginare in sintesi due situazioni concrete. Se infatti tali periodi si collocano entro i limiti concordati del possibile orario di lavoro giornaliero, nulla quaestio. Ci riferiamo a pattuizioni in cui si concorda una gestione flessibile della collocazione oraria della prestazione lavorativa (es. tra le 7 e le 19) con il contestuale rispetto, in ogni caso, di una fascia di contattabilità/reperibilità da parte dell’azienda o di esterni (ad es. tra le 10 e le 12) che ha il solo effetto di limitare parzialmente la libertà di scelta dell’orario, ma senza implicazioni in termini di trattamento economico/normativo. Seconda ipotesi è invece quella per cui siano definiti periodi di reperibilità oltre le fasce concordate. In questo senso, pur non inficiando il rispetto della disciplina comunitaria in materia di riposo giornaliero (11 ore ogni 24), salvo la richiesta di effettiva prestazione che come tale andrà trattata, tali periodi non potranno che essere indennizzati secondo la disciplina di CCNL applicabile, eventualmente integrata in sede aziendale, al pari della reperibilità di qualsiasi altro lavoratore. E ciò nel rispetto del principio di parità di trattamento, già sancito dall’art. 20 co. 1 della legge n. 81/2017 e ribadito dalla novella in commento.

 

Passando poi agli aspetti problematici, sono due quelli che si ritiene importante rilevare: da un lato, l’estemporaneità del riferimento ha portato il legislatore a parlare di eventuali accordi tra le parti, dimenticando che – salvo interventi sulla legge. n. 81/2017 – l’accordo tra le parti è passaggio necessario ai fini della adozione della modalità di lavoro; dall’altro lato, seppure correttamente si richiami l’importanza del diritto alla disconnessione nel campo della salute e sicurezza e nella tutela del diritto al riposo, diversamente da esperienze comparate di rilievo (come quella spagnola e francese), non si tiene conto la funzione di tutela della vita privata e di distinzione tra tempi di vita e di lavoro.

 

Infine, quanto alla tecnica normativa, il richiamo è ancora una volta alla dimensione del rapporto individuale: benché non si sia operato un rinvio alla contrattazione collettiva (come invece avvenuto per il settore pubblico), il vero successo di tale diritto resta comunque in capo agli operatori ed alle scelte aziendali, che dovranno essere orientate ad una gestione corretta degli orari di lavoro e dei correlati tempi di riposo, in coerenza con la composita disciplina di legge e contratto collettivo, integrabile in sede aziendale.

 

Emanuele Dagnino

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@EmanueleDagnino

 

Marco Menegotto

ADAPT Professional Fellow

@MarcoMenegotto

 

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