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Come si stanno trasformando i territori? Quali indicatori esprimono i mutamenti locali? Con quali strumenti possiamo coglierli? Quali tecniche possono essere utilizzate sia per trasformarli, sia per programmarne le sorti? Così pervasivo nelle discussioni di senso comune, così in quelli politici, il concetto di territorio soffre della mancanza di una chiara definizione operativa poiché è connesso a diverse dimensioni, non solo riconducibili alla sua conformazione morfologica, ma anche alla sua organizzazione, alla produzione e diffusione della conoscenza e dell’innovazione tecnologica che sono al centro dell’attuale dibattito sulla progettazione e valutazione delle politiche di sviluppo territoriale.
Ed è nel contesto di un percorso di indagine multidisciplinare sul territorio come categoria centrale per l’analisi delle trasformazioni del lavoro che la Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro dell’Università di Bergamo ha promosso lo scorso venerdì 27 aprile un incontro dedicato all’analisi delle condizioni strategiche per lo sviluppo locale e la competitività dei sistemi territoriali con particolare riferimento ai temi dell’innovazione e della conoscenza, durante il quale è intervenuta Michela Lazzeroni (Professoressa di Geografia economica, Università di Pisa).
Al centro della riflessione l’analisi delle dinamiche di produzione e di diffusione della conoscenza, con particolare riguardo ai fenomeni di creazione e diffusione territoriale degli spillovers della ricerca scientifico-tecnologica ed alle componenti materiali e immateriali della cosiddetta città della conoscenza. Nello specifico, è stata dedicata molta attenzione al ruolo della prossimità (fisica e virtuale) nelle dinamiche di scambio-diffusione di conoscenza ed all’università, agente dello sviluppo territoriale e facilitatore del trasferimento tecnologico. In particolare, sono stati individuati alcuni fattori che definiscono l’attrattività di un territorio e condizionano tanto la localizzazione delle imprese high-tech –e di quelle tradizionali ma progressivamente sempre più caratterizzate dall’introduzione di strumentazione e operazioni ad alto contenuto tecnologico-, quanto la loro agglomerazione in “distretti tecnologici” e parchi scientifici. Infatti, la localizzazione delle imprese e le nuove concentrazioni di attività ad alta tecnologia, oltre ad essere espressione della dotazione naturale e della disponibilità di risorse (ad esempio materie prime e fonti di energia, ai fini di un’utilizzazione soprattutto di tipo industriale) riflette le scelte delle aziende che sono legate da un lato alla presenza di fattori a loro interni (rapporto esistente tra i soggetto fondatori di e promotori dell’iniziativa imprenditoriale e luogo di origine e/o formazione, tipologia e ciclo di vita del prodotto), dall’altro a quelli esterni. Tra gli elementi di natura esogena, quelli che le indagini empiriche e vari contributi teorici hanno messo in evidenza come le condizioni maggiormente significative per la scelta della localizzazione sono: la presenza di università e centri di ricerca pubblici e privati (in grado di offrire alle imprese i profili professionali high-skilled di cui abbisognano e la possibilità di collaborazioni –sia con le imprese localizzate nel contesto territoriale di riferimento, sia in aree sovra-locali– determinanti per lo sviluppo di concentrazioni innovative e per la creazione di “processi cumulativi”, facilitati dalla diffusione dell’informazione, dalla mobilità del personale tecnico-scientifico, dal trasferimento tecnologico), l’esistenza di efficienti vie di comunicazione (autostrade, collegamenti ferroviari ed aeroporti che consentono di ottimizzare i legami tra i centri locali e quelli nazionali ed internazionali, nonché di favorire lo scambio di informazioni e conoscenze) e la possibilità di adesione a network collaborativi costituiti da una varietà di organizzazioni ed attori interessati allo sviluppo locale (imprese, associazioni datoriali e organizzazioni sindacali, rappresentati del mondo dell’istruzione e formazione, istituzioni finanziarie).
Un sistema caratterizzato da questi fattori, può tradursi in un “clima territoriale” favorevole alla predisposizione di iniziative di politica territoriale ed alla progettazione di strategie di sviluppo condivise, mirate alla creazione di un ecosistema dinamico e collaborativo, capace da un lato di soddisfare le esigenze delle imprese e di consentire l’attrazione, la crescita ed il trattenimento delle attività innovative e del capitale umano che esse incorporano e, dall’altro, di produrre ricadute sul sistema territoriale complessivo, di cui possono beneficiare tutti i soggetti che vi operano.
Accanto ai nuovi fattori di localizzazione industriale e di concentrazione di attività ad alta tecnologia, le trasformazioni prodotte dall’innovazione tecnologica hanno diverse implicazioni anche sul mondo del lavoro (ad esempio possibilità e rischi connessi ai processi di automazione, progressiva servitizzazione delle imprese, con il connesso venir meno della rigida separazione verticale tra i settori produttivi). Infatti, i cambiamenti indotti dal progresso tecnologico e dalla sua pervasività non solo determinano nuovi equilibri nel mercato di domanda e offerta di competenze abilitanti per il nuovo paradigma produttivo di Industry40 (situazioni di disallineamento delle competenze professionali, reti globali di creazione del valore e di approvvigionamento di profili professionali richiesti dalle imprese e dai territori), ma sono strettamente collegati anche alla diffusione di nuove modalità di lavoro, anche slegate dal vincolo della presenza fisica in un determinato luogo di esecuzione della prestazione. Ne consegue una ridefinizione degli spazi del lavoro in cui sempre più numerose appaiono le esperienze di coworking (il lavoro in uno spazio comune di professionisti, operatori e smart worker che in genere non appartengono a una stessa organizzazione) e quelle dei Fab Lab (Fabrication Laboratory, spazi ibridi a cavallo tra una fabbrica ed una bottega artigiana che offrono servizi e strumenti di fabbricazione digitale come macchine da taglio laser, stampanti 3D, macchinari per la prototipazione rapida etc.): in entrambi i casi a rilevare è la possibilità di sviluppare un capitale che si alimenta di relazioni e del libero scambio di informazioni, stimoli e conoscenza. A questo proposito, è significativo sottolineare che prime mappature riferite all’Italia collocano queste esperienze non solo nelle grandi città, ma anche in quelle di dimensioni più ridotte ma situate geograficamente in prossimità dei nodi di rete in cui si realizzano gli incontri, le intersezioni di spazi di attività e di flussi che caratterizzano e configurano le nuove forme di organizzazione territoriale.
Quindi, considerare le trasformazioni in atto non può prescindere dall’analisi di come queste si intrecciano agli importanti attuali processi di cambiamento delle città –anche di piccole dimensioni- ed all’evoluzione dei modelli di governance urbana. Infatti, le città sono dei luoghi privilegiati per l’osservazione dei processi che segnano il passaggio da un’economia della manifattura a quella dei servizi: da un lato poli centrali per la produzione, acquisizione e diffusione della conoscenza, dall’altro ambiti di sperimentazione dei nuovi assetti socio-economici e di nuove modalità di governo delle relazioni locali/globali, con ricadute sulle realtà circostanti in termini di flussi di capitale (umano e relazionale, oltre che finanziario).
Inoltre, l’analisi di alcuni casi di studio (Ivrea e Pontedera) ha stimolato la riflessione sulle opportunità di sviluppo cui anche le piccole città possono guardare, anche a fronte di processi di declino economico, marginalizzazione e contrazione demografica. Ed è proprio con riferimento ai piccoli centri urbani che la discussione si è concentrata sul tema della resilienza, intesa come capacità dinamica di un sistema territoriale di reagire agli eventi ed ai cambiamenti, enfatizzando le proprie caratteristiche distintive e promuovendo nuove dinamiche di sviluppo.
Questi brevi spunti dimostrano l’importanza dei percorsi di ricerca basati sulla descrizione, interpretazione e valutazione delle caratteristiche dei territori al fine di individuarne le possibili traiettorie di sviluppo. Infatti, solo attraverso adeguate lenti di osservazione è possibile individuare le specifiche tessiture territoriali, ovvero le reti di relazioni che si instaurano tra i luoghi e le comunità che vi entrano in contatto, per comprendere vantaggi e sfide ma anche rischi e problematiche connessi ai processi di inclusione ed esclusione di fasce della popolazione e di interazione e/o dipendenza centro-periferia e pianificare interventi ed iniziative coerenti con i reali fabbisogni espressi dai territori stessi. Dai modelli di governance del mercato del lavoro, alla programmazione delle politiche attive, fino alla riorganizzazione dei processi di lavoro nei nuovi modelli produttivi e alle misure di work-life balance, passando per la definizione di interventi efficaci di formazione e qualificazione dei lavoratori e la messa a punto di innovativi strumenti di welfare territoriale, sono molti gli ambiti in cui tale prospettiva può essere proficuamente applicata allo studio delle trasformazioni del lavoro.
Tali domande possono trovare un supporto prezioso nel dialogo interdisciplinare e nell’ibridazione di tecniche di analisi a partire dai sempre più sofisticati Gis (sistemi geografici informativi) non solo per l’uso e la georeferenziazione dei dati territoriali, ma anche per una comunicazione più immediata ed efficace degli stessi rivolta agli attori istituzionali e privati che potranno prendere decisioni informate a partire anche da queste elaborazioni.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo