E si parla sempre, ancora una volta, di nuove forme imprenditoriali….
In soli sei mesi – quelli a cavallo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 – in Italia sono nate 700 start-up innovative. Lo affermano i dati del Registro Imprese di Infocamere che al 17 marzo 2014 hanno registrato quasi 1.800 start-up costituite (1.792 imprese) e 20 incubatori. Si attesta l’effervescenza di un settore “nato” con il decreto Sviluppo Bis – Decreto Crescita 2.0 (dl 179/2012) con il quale lo Stato ha adottato una normativa per lo sviluppo e la crescita del Paese, poi seguito da ulteriori decreti, incentivi e regolamenti.
Le start-up sono un potente acceleratore della mobilità sociale, favoriscono l’ingresso di nuovi attori e accrescono il grado di apertura dei settori e della competizione tramite il ricorso a profili professionali elevati e lo sviluppo di prodotti complessi.
Il dato su cui ci interessa porre l’accento, in questa sede, è quello per cui il 70% degli investimenti è stato effettuato da soggetti istituzionali, il restante 30% ha fatto capo a Business Angel, Family Office e Incubatori/Acceleratori.
Tra questi i Manager…… Magari over 50 e senza lavoro, hanno risposto all’appello di giovani startupper, aspiranti imprenditori. La sfida è stata quella mettere energie esperte a disposizione delle new entries, spesso a digiuno di business plan, marketing, amministrazione e dinamiche aziendali, assicurando, al contempo, un’esperienza formativa a chi è uscito momentaneamente dal circuito del lavoro. L’esperimento è stato lanciato da Confindustria e Federmanager e ha portato circa 30 manager, disoccupati, a seguire un percorso formativo in Luiss Enlabs, la “fabbrica delle start up” nata oltre due anni fa.
Allargando gli orizzonti si può constatare come si stia radicando, sempre più velocemente, in Europa il Temporary Management, percepito come uno dei modelli privilegiati per gestire il vento di cambiamento e la voglia di innovazione delle imprese. Protagonisti di questo trend sono ex dirigenti o top manager che hanno deciso di proseguire la propria carriera tralasciando l’iter gerarchico aziendale, mettendosi in discussione con progetti sempre più sfidanti: la conduzione di cambiamenti strategici o di turnaround, il lancio di nuove attività all’estero, il governo di periodi di transizione, ecc.…
Gli interventi di Temporary Management possono durare dai 12 ai 36 mesi a seconda della complessità e dell’ampiezza delle responsabilità aziendali e spaziare dalla Direzione Generale alla Direzione Amministrazione, Finanza e Controllo, dalla Produzione alla Logistica, dal Marketing alle Vendite, dalle Risorse Umane all’Information Technology, al Project Management. Il rapporto contrattuale può essere diretto con il manager free lance oppure attraverso società specializzate; una volta terminato un incarico il Temporary Manager è pronto per entrare in un’altra realtà e risolvere un altro problema aziendale.
La formula del manager temporaneo si sta affermando gradualmente e con forza anche in Italia. Il modello è gradito all’imprenditore perché assicura professionalità di alto livello a costi molto competitivi, oltre ad essere un format ideale anche nei passaggi generazionali, nelle ristrutturazioni e aggregazioni d’impresa, ove occorra discontinuità.
Dal lato dei manager, si sta evolvendo il modo in cui il dirigente vede e interpreta il proprio ruolo in azienda: dal concetto di status (legato alla concezione del dirigente tradizionale) a quello di valore/contributo, dal rapporto datore-dipendente a una visione fornitore-cliente – manager come fornitore strategico di tempo, energia, capacità e intelligenza.
Al fenomeno del Temporary Management se ne è aggiunto un altro, nato dai medesimi presupposti: in tempo di crisi sempre più Manager diventano imprenditori. Il fenomeno è chiaramente generale e sempre più pregnante: nel 2013 più di 13mila italiani over 50 hanno avuto la loro prima volta da imprenditori, aprendo un’impresa. È quanto emerge da elaborazioni dell’Ufficio Studi della Camera di commercio di Monza e Brianza su dati Registro Imprese.
In tempi bui il manager ha dovuto ripensare sé stesso, i propri percorsi professionali e le personali aspirazioni di vita. Sempre più numerosi ex manager e super consulenti si sono reinventati come neo titolari di impresa, consapevoli che il background, il know how acquisito con anni di esperienza, le strutturate competenze che li caratterizzano costituiscono una solida base per far nascere e crescere un’impresa.
La parola chiave è l’esperienza: la crisi ha reso evidente che per superare secche e mareggiate c’è bisogno di un nocchiero in grado di non farsi prendere dal panico. Il Manager/Imprenditore fa sempre più tendenza – oltre che profitto.
Questa la ratio e la constatazione di fondo anche di Manager to work, iniziativa nata grazie al contributo delle associazioni Federmanager e Manager Italia, in collaborazione con Italia Lavoro, che ha reso disponibili un consistente pacchetto di incentivi per reinserire i manager rimasti disoccupati in seguito alla congiuntura economica. Ben 9.715.000 euro gli incentivi messi in campo, finanziati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali – attinti dal Fondo Sociale Europeo – per favorire la competitività delle imprese con l’inserimento di dirigenti e quadri momentaneamente disoccupati e incentivare l’autoimprenditorialità dei manager.
Se il processo di integrazione con l’economia mondiale rappresenta spesso un’incognita per le grandi imprese, le PMI, ancor più, sono chiamate ad una sfida importante. A dispetto delle grandi aziende che dispongono facilmente di risorse manageriali e finanziarie per rispondere alla concorrenza internazionale, le PMI spesso affrontano l’internazionalizzazione in un modo destrutturato: in particolare, manca una strategia di fondo e l’impegno a perseguire profitti attraverso una gestione non occasionale dei rapporti con gli altri Paesi. Investire consapevolmente in un processo di internazionalizzazione non è per tutti e da tutti.
È sempre più difficile per le PMI sostenere una posizione competitiva con un modello di business puramente nazionale. In un’economia globalizzata, le aziende hanno bisogno di personale specializzato in grado di comprendere le nuove dinamiche di esportazione su scala mondiale, soprattutto in virtù del crescente utilizzo delle Tecnologie di Informazione e Comunicazione (TIC). In questo gap si inseriscono i profili dell’Export Manager e del Manager per l’Internazionalizzazione, ambedue figure chiave per le strategie di export delle PMI che competono a livello globale, con funzioni, rispettivamente, di commercializzazione e collocazione sul mercato estero dei prodotti nazionali e di “apertura” dei mercati internazionali.
Questi soltanto alcuni degli esempi….la varietà è tanta, sempre più popolosa e, per certi versi, “fantasiosa”…. Pochi esempi che possono bastare, però, per spostare e focalizzare l’attenzione non soltanto, e sempre, sulle nuove forme imprenditoriali, ma anche sull’altro versante, affinché diventi più trendy e “produttivo” parlare di nuove forme manageriali.
Valentina Picarelli
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@valepic86
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Nuove forme manageriali: i manager si reinventano e “cambiano pelle”