Il Decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 39 (pubblicato nella GURI del 22.3) ha disposto l’attuazione nel nostro ordinamento, dal 6 aprile, della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile. Materia per la quale era già intervenuta la legge 1° ottobre 2012 , n. 172 di Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 20072007, nonché’ norme di adeguamento dell’ordinamento interno. Oggetto oggi di attenzione è l’introduzione, ad opera dell’art. 2 del D. Lgs., dell’art. 25-bis rubricato Certificato penale del casellario giudiziale richiesto dal datore di lavoro. La rubrica lascia presupporre un adempimento nei confronti dei “datori di lavoro” mentre il precetto che segue individua qualsiasi “soggetto” ritornando al “datore di lavoro” nella parte che determina la sanzione che assiste la violazione al precetto stesso. Il legislatore italiano, con l’espressione utilizzata, lascia perplesso l’interprete anche in presenza della puntualizzazione “che intenda impiegare al lavoro”: sembra così ampliata la platea dei destinatari obbligati alla verifica anche, ad esempio, alle attività oratoriali della parrocchia o alla presenza della baby sitter. Una perplessità che, a parere di chi scrive, si accentua allorquando esaminiamo la direttiva che invoca l’estensione anche ai gestori. Il fine della recepita direttiva – come emerge dai considerando – consiste nella lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile atteso che il fenomeno registra una crescita anche per l’uso delle nuove tecnologie e di internet. La direttiva 2011/93/UE precisa, nel considerando (40), la nozione di “datori di lavoro”: “Ai fini della presente direttiva, la nozione di «datore di lavoro» dovrebbe contemplare anche le persone che gestiscono un’organizzazione operante in attività di volontariato attinenti alla custodia e/o alla cura dei minori e che prevedono un contatto diretto e regolare con essi”. Il legislatore (italiano) è deputato, dal medesimo “considerando” ad assegnare il significato delle attività di volontariato organizzate e il contatto diretto e regolare con i minori (perché esse) siano definite conformemente al diritto nazionale. Nel dettaglio:
L’art. 25-bis del D. Lgs. 39/2014 |
L’art. 10 della Direttiva 2011/93/UE |
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Mentre ci soccorre per il significato di attività di volontariato l’art. 2 della legge 11 agosto 1991, n. 266 quale Legge-quadro sul volontariato nella quale è esclusa ogni forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo – o le disposizioni sulle associazioni di promozione sociale (legge 7 dicembre 2000, n. 383) per le quali è, invece, possibile tali forme di rapporto – non ritrovo nel nostro ordinamento alcun riferimento da assegnare ai contatti diretti e regolari lasciando presumere che risulterebbero esclusi i contatti che siano determinati dalla esiguità della prestazione e dalla marginalità del contesto in cui essa si inserisce.
legge 11 agosto 1991, n. 266 Art. 2. – Attività di volontariato
legge 7 dicembre 2000, n. 383 Art. 18. – Prestazioni degli associati
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Il Ministero della Giustizia con due note esplicative ha, però, indicato a chiarimento sulla portata applicativa delle disposizioni in commento che esse valgono soltanto per l’ipotesi in cui si abbia l’instaurazione di un rapporto di lavoro, perché al di fuori di questo ambito non può dirsi che il soggetto, che si avvale dell’opera di terzi, assuma la qualità di “datore di lavoro”. Non è allora rispondente al contenuto precettivo di tali nuove disposizioni l’affermazione per la quale l’obbligo di richiedere il certificato del casellario giudiziale gravi su enti e associazioni di volontariato pur quando intendano avvalersi dell’opera di volontari; costoro, infatti esplicano un’attività che, all’evidenza, resta estranea ai confini del rapporto di lavoro. Concetto ripreso nella Circolare 3 aprile 2014 richiamando l’obbligo esclusivamente per i datori di lavoro che intendano impiegare una persona. Dal 6 aprile, data di entrata in vigore del provvedimento, occorre munirsi del certificato penale del casellario giudiziale volto esclusivamente a “verificare l’esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quater (detenzione di materiale pornografico), 600-quinquies e 609-undecies (pornografia virtuale ed adescamento minorenni sul web) del codice penale, ovvero l’irrogazione di sanzioni interdittive all’esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori”. Certificato che, in deroga alla legittimazione esclusiva da parte del diretto interessato all’istanza, sarà richiesto dal soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona in via preventiva rispetto all’impiego (se pur la direttiva offre la possibilità di acquisirlo tramite l’interessato). Il Ministero della giustizia con la citata Circolare del 3 aprile ha indicato che esso sarà fornito al datore di lavoro, che dimostri di avere acquisito il consenso dell’interessato, e a tal fine ha predisposto l’apposito Modello N. 3 BIS – CASELLARIO GIUDIZIALE. Nella nota di chiarimento ha precisato che qualora il richiedente sia organo della pubblica amministrazione o gestore di pubblico servizio (per i quali come noto dal 1° gennaio 2012 i certificati sono acquisiti d’ufficio) essi operano mediante l’acquisizione di una dichiarazione del lavoratore sostitutiva di certificazione, circa l’assenza a suo carico di condanne (prima individuate) … ovvero dell’irrogazione di sanzioni interdittive all’esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori. Eguale autocertificazione potrà essere utilizzata dal privato, nelle more dell’acquisizione del certificato del casellario, sempre che puntualmente richiesto. Si ritiene utile ricordare che il certificato, il cui costo (1 marca da bollo da 16 euro e marca per diritti da 3,54 euro elevata a 7,08 euro se il certificato è richiesto con urgenza) nella lettura della norma è posto a carico di chi utilizza la prestazione, ha una validità di sei mesi per cui esso dovrebbe ripetersi con tale periodicità. Sul punto occorre osservare che il tenore della norma sembra obbligare alla richiesta solo al momento dell’avvio nell’impiego; lettura in tal direzione resa ancor più chiara dalla direttiva 2011/93/UE: al momento dell’assunzione di una persona. A tal fine è auspicabile una precisazione volta a chiarire ciò anche perché nel prosieguo del rapporto il certificato stesso può ben essere sostituito, anche tra i privati, con l’autocertificazione dell’interessato assumendo l’autocertificazione lo stesso valore dei certificati (art. 46 D.P.R. 445/2000). Aspetti che, per il nobile fine della direttiva, necessitano di precisazioni magari utilizzando l’arco di tempo reso possibile dalla legge delega 6 agosto 2013, n. 96. Il 2° comma dell’introdotto art. 25-bis nel decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre, n. 313, indica che il datore che viola il precetto della richiesta del certificato del casellario giudiziale è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 10.000,00 a euro 15.000,00. Nel testo trasmesso per essere sottoposto al parere parlamentare tale comma non era previsto tanto ne è che il Servizio Studi della Camera dei Deputati aveva evidenziato come l’obbligo (di cui all’attuale comma 1) risultava non sanzionato. Non è stato suggerito, e non è indicato, l’organo preposto a irrogare la sanzione. Trattandosi di sanzione amministrativa nella considerazione che trattasi di adempimento preliminare alla costituzione del rapporto, a maggior ragione se ricondotta nell’alveo dei rapporti di lavoro subordinato ed autonomo, ritengo che a contestare la violazione siano i servizi ispettivi nel loro ordinario esercizio e l’organo deputato alla O.I. dovrebbe essere la D.T.L. trovando, quindi, applicazione la legge 24 novembre 1981, n. 689. Conseguenzialmente nella determinazione, individuata tra un minimo ed un massimo, dovrebbe trovare applicazione l’art. 11 così come dovrebbe trovare applicazione la sanzione agevolata ridotta ex-art. 16 (se così fosse sarà pari ad euro 5.000,00). Non ritengo sia applicabile alla fattispecie la “diffida”, pur nel silenzio della disposizione, ritenendo non sanabile il mancato adempimento, salvo l’ipotesi della diffida “ora per allora” ove l’adempimento sia stato posto in ritardo. Anche su tale aspetto è opportuno un approfondimento e un chiarimento ministeriale. In tema di sanzioni occorre ricordare che già la legge 1° ottobre 2012, n. 172 aveva introdotto, con l’art. 4, lett. m), nel codice penale l’art. 600-septies.2 (Pene accessorie), in base al quale alla condanna (e al patteggiamento della pena) per un delitto di pedopornografia, consegue, tra l’altro e in ogni caso l’interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private frequentate abitualmente da minori. Un’ultima annotazione occorre consegnarla riguardo la modifica all’art. 25-quinquies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 recante disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica con l’inserimento del delitto di cui all’art. 609-undecies (adescamento minorenni). Per completezza si ritiene utile evidenziare che con l’introduzione del già cennato art. 600-septies.2 il legislatore del 2012 aveva specificato che In ogni caso è disposta la chiusura degli esercizi la cui attività risulta finalizzata ai delitti previsti dalla presente sezione, nonché la revoca della licenza di esercizio o della concessione o dell’autorizzazione per le emittenti radiotelevisive. Di seguito il testo delle disposizioni coordinate.
DECRETO LEGISLATIVO 4 marzo 2014, n. 39 Attuazione della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI. Art. 2 Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, e sanzioni per il datore di lavoro
«Art. 25-bis Certificato penale del casellario giudiziale richiesto dal datore di lavoro
Art. 3 Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300
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Angelo Vitale
Consulente del lavoro ADAPT Professionale Fellow
@VitaleAngelo