Di fronte alle trasformazioni che stanno interessando il mondo del lavoro, una operazione fondamentale è quella di comprendere continuità e discontinuità delle dinamiche cui si assiste rispetto a quelle cui tradizionalmente si è assistito.
La vicenda Foodora che sta interessando le cronache giornalistiche degli ultimi giorni – ovvero lo “sciopero” attuato dai fattorini che consegnano i pasti in sella a biciclette – rappresenta un oggetto d’indagine particolarmente interessante.
Foodora si presenta, infatti, come un servizio innovativo che rientra in quella che viene con accenti differenti definita sharing o on-demand economy, e che si fonda, in termini generali, su un modello in cui una piattaforma tecnologica attivata tramite una applicazione consente il contatto tra un soggetto interessato ad un bene o un servizio ed un altro soggetto che ha la disponibilità di quel bene o può fornire quel servizio utilizzando risorse di cui è già in possesso (beni materiali – un trapano, una stanza – ma anche tempo, competenze, ecc.). Si tratta di un modello che ha espressioni molto diversificate che vanno dalle attività no profit a quelle for profit, da attività ad alto contenuto di competenze a quelle più semplici.
In questo caso ci troviamo di fronte ad un servizio for profit che non richiede competenze elevate.
Da questo punto di vista, Foodora rappresenta il nuovo, quella tecnologia disruptive che modifica le modalità di produzione e consumo dei beni, che grazie all’opera della tecnologia vengono allocate in maniera ottimizzata. È l’esaltazione della flessibilità, nella narrativa dell’aziende, per chi consuma e per chi presta il servizio di consegna (si veda la pagina dedicata alle offerte per i rider sul sito della compagnia). I fattorini possono gestire al meglio le proprie necessità orarie: si fornisce così una opportunità a chi presenta determinate necessità.
Sotto altri aspetti, a cominciare dalle ragioni della protesta, la vicenda denota, invece, la continuità rispetto a fenomeni da tempo osservati o addirittura tradizionali nel mondo del lavoro.
Al polo della flessibilità e del divertimento rispetto alla prestazione, si contrappone quello della precarietà e della natura di lavoro a tutti gli effetti, che deve essere remunerato dignitosamente e gestito nell’ambito di attività economiche che rispettino utilità sociale e sicurezza, libertà e dignità dell’essere umano, secondo i dettami di una Costituzione lavoristica quale quella italiana.
I fattorini, che non operano quali dipendenti di Foodora, utilizzando strumenti propri o forniti dietro cauzione dall’azienda, fuoriescono così dalle tutele del diritto del lavoro e lamentano condizioni di lavoro insostenibili quanto a paga (cottimo, poco più di 2 €) e sicurezza economica e lavorativa (delle problematiche dei lavoratori nella on-demand economy, si è parlato diffusamente in un precedente articolo). Quello che chiedono, sempre stando alla cronaca giornalistica, è di essere assunti come part timers e di avere maggiori retribuzioni e tutele.
La prima continuità rilevabile è quindi nella dialettica flessibilità/precarietà che ha interessato i dibattiti degli ultimi anni: dialettica che si arena, talvolta, su questioni di tifo e di opportunità, ma che stenta, almeno in Italia, a portare a riflessioni profonde e a proposte costruttive.
La seconda è sicuramente quella della controversia intorno alla natura giuridica del rapporto: le tutele sono collegate allo status giuridico dei lavoratori, cosicché è chiaro che intorno alla classificazione del rapporto si gioca davvero tanto sia lato datoriale sia dal lato dei lavoratori. Non è un caso che contro aziende che utilizzano questo modello economico siano state intentate in tutto il mondo azioni per la riclassificazione del rapporto di lavoro. Ma è interessante anche notare che la richiesta per rientrare nell’ambito del diritto del lavoro (subordinato) individui quale strumento quello del part time: esistono esperienze estere di compagnie che offrono servizi on-demand che hanno deciso di riclassificare i propri lavoratori come part timers, per diverse ragioni.
Inoltre, continuità sono date dalla prestazione oggetto di indagine: proprio la vicenda del pony express ha interessato le analisi giuslavoristiche intorno al dibattito subordinazione/autonomia e quindi tutela/non tutela, già a partire dagli anni ’80 del secolo scorso. Il tentativo è quello di rispondere alla flessibilità richiesta dal mercato, attivando flessibilmente e su richiesta la forza lavoro necessaria: l’ambito dei servizi di consegna si presta in particolar modo a tentativi di riorganizzazione in questo senso. L’elemento di innovatività, da questo punto di vista, è data dall’estensione dei servizi oggi attivabili a richiesta, grazie all’opera di queste piattaforme e quindi alla facilità di porre in contatto domanda ed offerta degli stessi (dal trasporto a prestazioni mediche, dai lavoretti in casa alla consulenza legale).
Ancora, è interessante concentrarsi sullo strumento utilizzato dai lavoratori di Foodora, così come da altri lavoratori della on-demand economy prima di loro (dal caso Uber a Deliveroo), per far valere le proprie ragioni: si è scelta l’astensione dal lavoro, ovvero lo strumento dello sciopero, antico e simbolico nell’ambito dell’attività di autotutela collettiva da parte dei lavoratori. E ciò, nonostante, i fattorini di Foodora non godano delle tutele e delle prerogative riconosciute in questo ambito ai lavoratori subordinati.
Stando alla cronaca giornalistica, alcuni collaboratori dell’azienda sarebbero stati disattivati dall’applicazione (impendendo di prestare il lavoro, una sorta di licenziamento) per aver partecipato ad una riunione per organizzare la protesta: nell’ambito di applicazione del diritto del lavoro, si tratterebbe di una condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 Statuto dei lavoratori.
Al contempo, la protesta coinvolge un elemento più innovativo, anche se non inedito: la protesta dei lavoratori si ricollega, come è stato evidenziato, ad una richiesta di partecipazione da parte dei consumatori. La questione è particolarmente interessante in questo ambito, dal momento che esigenze di consumatori e lavoratori sono spesso messe su piatti diversi della bilancia, entrando quindi in concorrenza.
Questi brevi spunti tra discontinuità e continuità – se ne potrebbero aggiungere altri (tra questi: la narrativa del “lavoretto” da studente con cui si vuole negare la rilevanza della questione) – portano ad una considerazione di fondo. Se da un lato le trasformazioni del lavoro sono innegabili, dall’altro le esigenze dell’uomo-lavoratore rimangono le stesse.
In passato le risposte alle rivendicazioni di un lavoro decente sono state trovate principalmente in due fattori: la legislazione lavoristica e la solidarietà tra lavoratori, che trovava espressione nell’azione sindacale. I nodi focali sembrano ancora essere questi: una disciplina (più o meno corposa) di tutela, che sappia rispondere alle necessità di protezione dei lavoratori, e l’attivazione, grazie al riconoscimento di diritti in questo ambito, dell’azione sindacale, delle sue prerogative e dei suoi strumenti (oltre allo sciopero, fondamentale la possibilità di contrattazione).
Nelle questioni di diritto, così come in tutti gli altri ambiti culturali della vita umana, centrale risulta la narrativa adottata. Nel muoversi in questo ambito, come si è già detto, la dialettica flessibilità/precarietà non è stata in grado di produrre risultati soddisfacenti. Un cambio di narrativa, potrebbe a nostro parere essere d’aiuto: l’obiettivo dovrebbe essere quello della sostenibilità. Quello di sostenibilità sembra essere un termine e, quindi, un riferimento privo delle connotazioni che hanno inficiato il dibattito sulla flessibilità. Si tratta di un concetto che è capace di rispondere alle esigenze dei diversi stakeholder: la transizione verso un modello di sharing/on-demand economy sostenibile è infatti nell’interesse di tutti (consumatori, lavoratori, piattaforme, policy makers) e la promozione della sostenibilità richiede a tutti il ruolo di attori.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo