Obbligo vaccinale ritenuto «inutile e gravemente pregiudizievole»: il Tribunale di Padova riammette in servizio operatrice socio-sanitaria no-vax

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Bollettino ADAPT 23 maggio 2022, n. 20
 
Tribunale di Padova – Sentenza del 28 aprile 2022 – Giudice Dott. Roberto Beghini
 
L’obbligo vaccinale viola la Costituzione e, pertanto, l’operatrice socio-sanitaria che ad esso si è sottratta deve essere immediatamente riammessa in servizio: seppur in sede cautelare, il Tribunale di Padova accende un faro nel “buio costituzionale” in cui la vaccinazione obbligatoria è germogliata e, apprezzandone l’illegittimità, lo neutralizza a favore di una lavoratrice del settore di cura e assistenza sospesa dal lavoro e dalla retribuzione dal 15 agosto scorso.
 
A dispetto della natura cautelare che il provvedimento del 28 aprile 2022 assume, il corpo del medesimo si arricchisce di una copiosa disamina delle norme che recano l’obbligatorietà della misura in questione, fino a rilevarne diversi profili di criticità non solo rispetto all’ordinamento costituzionale nazionale ma, altresì, rispetto a quello di derivazione europea.
 
L’irragionevolezza e la sproporzionalità dell’obbligo vaccinale
 
Punto di partenza dell’analisi dell’organo giudiziario sono le finalità che sorreggono le disposizioni che promanano dagli artt. artt. 4, 4-bis e 4-ter, del D.L. n. 44 del 1° aprile 2021, convertito con modificazioni dalla L. n. 76 del 28 maggio 2021, le quali impongono la vaccinazione contro il virus Sars-Cov-2 a, tra le altre figure professionali, tutti i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie o «che, a qualsiasi titolo, ospitano persone in situazione di fragilità» (art. 4-bis), obbligo attualmente in vigore fino alla fine dell’anno 2022.
 
Obiettivo dichiarato di tali norme è quello di «tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza» (comma 1, art. 4), e quindi di proteggere i soggetti fragili ospitati da tali strutture, in linea con la consolidata giurisprudenza costituzionale richiamata dal Giudice, che ammette compressioni al diritto alla salute e alla libertà di autodeterminazione terapeutica ex art. 32 Cost. esclusivamente al fine di preservare la salute altrui e collettiva.
 
Se quantomeno nella dichiarazione di intenti, quindi, la normativa può ritenersi tutto sommato rispettosa della nostra tradizione costituzionale, è sul piano del perseguimento del fine che la stessa scivola in una incontrovertibile condizione di illegittimità, contraddetta dalla contagiosità che ugualmente e in varia misura residua nelle persone vaccinate, le quali continuano pertanto a rappresentare una fonte di rischio per i soggetti che non godono di perfetta salute, con ciò tradendo la finalità che ha giustificato una simile imposizione.
 
L’incapacità della vaccinazione di raggiungere il fine perseguito rende perciò evidente come la stessa rappresenti una «misura inidonea – e quindi irragionevole (…) – a raggiungere lo scopo che si prefigge», con ciò violando i principi di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza sanciti dall’art. 3 della Costituzione italiana così come dagli artt. 15 e 52, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
 
Le considerazioni e i rinvii, non solo giurisprudenziali ma altresì statistici effettuati dal giudice cautelare, infatti, rendono tangibile la trasgressione della triplice condizione di attitudine, necessità e proporzionalità in senso stretto mediante la quale la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea declina il principio di proporzionalità, non potendosi l’obbligo in questione ritenere rispettivamente idoneo a raggiungere lo scopo o costituente «l’opzione arrecante il minor pregiudizio possibile agli interessi in causa» né tantomeno comportante un «sacrificio (…) ragionevolmente esigibile».
 
La violazione del diritto alla salute e all’autodeterminazione terapeutica
 
La scarsa idoneità ed efficienza rispetto al fine perseguito si traduce, dal punto di vista giuridico, in difetto di giustificazione dell’obbligo vaccinale, che risulta allora imprimere una significativa ma immotivata compressione alla libertà di autodeterminazione terapeutica costituzionalmente tutelata che rende impossibile esimersi dal riconoscimento della violazione, in più, dell’art. 32 della Carta.
 
È infatti vero che le chances di successo del soggetto vaccinato aumentano esponenzialmente tanto contro il rischio di contagio quanto contro quello di contrazione del virus in forma grave, ma ciò avviene esclusivamente rispetto alla persona che si sottopone al siero, a nulla lo stesso valendo in termini di protezione delle persone terze che col medesimo entrino in contatto qualora lo stesso risulti affetto da Sars-Cov-2.
 
Al contrario, anzi, il favor dell’ordinamento emergenziale a vantaggio del vaccino, reso manifesto dalla politica del c.d. “Green Pass”, e della sua evoluzione nel formato “Super”, sponsorizzati tramite la minaccia della privazione di ogni libertà che non sia lavorativa (e, a ben vedere, anche di quest’ultima, limitatamente alla categoria dei lavoratori ultra-cinquantenni), ha semmai prodotto l’effetto contrario, agevolando la circolazione del virus per il tramite dell’incontrollata libertà di movimento assicurata ai soggetti sì vaccinati, ma ciò nonostante infetti e quindi contagiosi.
 
Il che è sufficiente affinchè si rilevi, oltre alla già discussa compromissione della dimensione individuale dell’art. 32 Cost. sotto il profilo della libertà di autodeterminazione terapeutica, altresì la violazione della natura collettiva della medesima disposizione dal punto di vista della salute pubblica in generale e, nello specifico, di quella già di per sé cagionevole degli ospiti delle strutture residenziali, che dalla vaccinazione dei corrispondenti operatori e assistenti non ricevono alcuna attuale garanzia di non contagiosità.
 
È proprio la maggiore affidabilità che, su tale piano, assicura l’effettuazione di un test antigienico, rapido o molecolare che sia, che induce l’organo giudicante ad ammettere la riammissione in servizio della ricorrente refrattaria alla vaccinazione, subordinandola appunto all’effettuazione di un tampone ogni due o tre giorni rispettivamente, pur consapevole della non perfetta esattezza di tale misura, la cui «garanzia (…) è senz’altro relativa; ma quella data dal vaccino è pari a zero».
 
Il che si riverbera sull’illegittimità del depauperamento delle proprie libertà patito dall’operatrice socio-sanitaria istante, scaturente, in definitiva, da un inconcludente tentativo di contenimento del rischio di contagio tradottosi, nella realtà dei fatti, in un «obbligo inutile e gravemente pregiudizievole del suo diritto all’autodeterminazione terapeutica ex art. 32 Cost., nonché del suo diritto al lavoro ex artt. 4 e 35 Cost.» se si considerano i pregiudizievoli effetti sul piano del rapporto di lavoro.
 
E l’elenco delle disposizioni costituzionali violate si potrebbe estendere allorquando si valutino le ripercussioni delle stesse rispetto al diritto alla retribuzione di cui all’art. 36 del dettato costituzionale, assieme a tutte le altre libertà ingiustificatamente compresse e compromesse dalle restrizioni legate alla versione “rafforzata” della “certificazione verde”, la cui illegittimità, d’altronde, è già stata implicitamente e indirettamente ricavata da altra importante sentenza (Trib. Pisa n. 1842/2021, le cui motivazioni sono tuttavia state pubblicate solo a febbraio 2022, per un commento della quale si v. Stato di emergenza e lockdown dichiarati illegittimi: diritto alla salute “tiranno” rispetto alle altre libertà fondamentali, Bollettino Adapt n. 8/2022) per il tramite dell’invalidazione della dichiarazione d’emergenza del 31 gennaio 2020 e di tutte le misure emergenziali successivamente introdotte che in tale declaratoria rintracciano il proprio fondamento normativo.
 
Né l’obbligo vaccinale può salvarsi attingendo ad altro e differente orientamento giurisprudenziale, che ne apprezza l’utilità «non solo in termini di minore rischio di diffusione della pandemia, ma anche in termini di (…) minore aggravio dei ricoveri ospedalieri, in un contesto di risorse limitate», lettura, questa, che però trascura il fatto che le esigenze di finanza pubblica, e nello specifico di contenimento della spesa sanitaria, non trovano ospitalità nel novero dei motivi e delle finalità che, ai sensi dell’art. 32 Cost., ammettono le deroghe all’inviolabile diritto all’autodeterminazione terapeutica, concesse, ripetesi, esclusivamente al fine di tutelare la salute pubblica, obiettivo nei fatti mancato per i motivi già messi in risalto.
 
La questione del “repêchage” e la violazione del principio di uguaglianza
 
Non sfugge alla meticolosa attenzione del giudice, nonostante la natura cautelare della sede che ospita il relativo giudizio, neppure la controversa questione relativa al c.d. “repêchage”, per tale intendendosi l’obbligo per il datore di lavoro di adibire il dipendente a mansioni diverse compatibili con le proprie condizioni; l’onere in questione, cristallizzato dalla giurisprudenza in occasione dei licenziamenti sorretti da giustificato motivo oggettivo e quale risultato del bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost., di cui i poteri direttivo e disciplinare costituiscono un corollario, e l’interesse di parte dipendente alla conservazione del posto di lavoro, trova dunque positivizzazione nell’ambito della normativa emergenziale, seppur tramite un’impostazione che, tuttavia, si trascina pesanti strascichi di illegittimità rispetto al principio di uguaglianza, anch’esso custodito dal già noto art. 3 Cost.
 
Le norme del D.L. n. 44/2021, infatti, introducono espressamente il diritto di repêchage, da un lato, a favore dei soggetti esentati dalla campagna di vaccinazione per ciò che riguarda l’ambito socio-sanitario e, dall’altro, per i lavoratori del settore educativo e dell’istruzione recalcitranti all’adempimento di tale obbligo, da adibire pertanto a mansioni che non implichino il rischio di contagio alla luce della mancata vaccinazione, senza altrettanto prevedere, tuttavia, per gli operatori del comparto sanitario e affini che, come la ricorrente, hanno schivato l’effettuazione del vaccino.
 
È in tale esclusione che il Tribunale ravvisa il carattere discriminatorio della disciplina emergenziale in commento, e dunque un ulteriore elemento di “criticità costituzionale” stavolta nei confronti del principio di uguaglianza, anch’esso forgiato di levatura costituzionale per il tramite dell’art. 3. Il pericolo di diffusione del virus resta infatti inalterato e identico tanto nei soggetti non vaccinati in quanto esentati dalla campagna vaccinale, quanto in quelli che volontariamente e senza esenzione medica sono sfuggiti alla stessa, poiché entrambe le categorie rappresentano un rischio di analoga intensità per i soggetti deboli ospiti delle strutture, motivo per cui si rende irrintracciabile una reale ed effettiva giustificazione nella differenza di trattamento normativo, dalla quale discende, come fisiologica conseguenza, la rilevazione del carattere illecito della divergenza medesima.
 
Disparità ingiustificata la cui carenza di valido fondamento si accentua qualora si travalichino i confini del settore di cura e assistenza tramite un confronto con il comparto della formazione e dell’istruzione, ove le possibilità di “ripescaggio” si estendono a favore di ogni soggetto non vaccinato e ciò a prescindere dalla motivazione che lo abbia indotto a sottrarsi alla vaccinazione stessa.
 
Il contrasto con il principio di uguaglianza di derivazione costituzionale è dunque evidente, e lo è tanto con riferimento alla portata formale di tale assioma (comma 1, art. 3 Cost.), quanto rispetto all’aspetto sostanziale (comma 2 del medesimo articolo), alla stregua del quale solo situazioni di fatto differenti possono e, anzi, debbono essere disciplinate con discipline normative differenti.
 
Ribadita pertanto la contrarietà dell’obbligo vaccinale alla stregua delle ultime considerazioni, il giudice si esime dal sollevare la rispettiva questione di legittimità costituzionale innanzi al Giudice delle leggi italiano o alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, essendo già in ballo dei procedimenti vertenti su analogo oggetto e, ritenuto il requisito del periculum in mora insito nella sospensione della retribuzione e dunque dell’unica garanzia di esistenza libera e dignitosa a disposizione della ricorrente per di più madre di due minori, ordina l’immediato reinserimento al lavoro dell’operatrice socio-sanitaria no-vax.
 
Dall’illegittimità dell’obbligo vaccinale all’illegittimità del Green Pass
 
Le argomentazioni sviluppate nel corso del giudizio cautelare, di ampiezza e solidità tali da ammettere, quale unico esito, la riammissione in servizio della lavoratrice ricorrente, forniscono al contempo l’occasione per addivenire a considerazioni di portata più estesa, attinenti non solo all’ambiente di cura e assistenza ai soggetti più fragili, ad oggi tra i pochissimi settori caratterizzati dall’attuale vigenza dell’obbligo di vaccinazione, ma più in generale all’intero universo lavorativo e non, più volte sottoposti a forti tensioni per via delle misure emergenziali.
 
La contagiosità che residua nelle persone vaccinate sembrerebbe infatti vanificare le potenzialità della vaccinazione in termini di tutela della salute pubblica, posto che a vedere incrementate le proprie prospettive di protezione sono semmai i soli soggetti che si sono sottoposti al siero, peraltro a fronte di garanzie scientifiche non completamente accertate.
 
Ed una simile evidenza appare sufficiente non solo per denunciare l’illegittimità della versione “super” della Certificazione verde, ma altresì quella per così dire “standard”, che accomuna la non contagiosità di un soggetto sottopostosi a test antigienico entro un breve, certo e predeterminato arco di tempo con quella di un altro che ha invece ricevuto la vaccinazione in un periodo notevolmente più esteso e per di più variabile, benchè ugualmente privo, in assenza di tampone, di qualunque certezza di non positività. L’identità di trattamento normativo, pertanto, rileva l’indifferenza dell’ordinamento giuridico anti-Covid rispetto a garanzie di non contagiosità notevolmente differenti.
 
Prive di giustificazione risulterebbero dunque tutte le altre compressioni agli ulteriori diritti e libertà individuali, ugualmente dotati di tutela costituzionale seppur di rango certamente inferiore rispetto al diritto al lavoro, elemento che la Repubblica Italiana elegge non a caso a proprio fondamento e che ha stimolato, specie in sede cautelare, la sensibilità della magistratura nei confronti dell’illiceità della normativa emergenziale; né, inoltre, i risultati ottenuti in termini di prevenzione possono dirsi essere stati quelli sperati, in particolare se confrontati con quelli degli altri Paesi Membri che non hanno optato per l’obbligatorietà del vaccino anti-Covid e che, dunque, non hanno raggiunto la stessa estensione, in termini percentuali, della campagna italiana di vaccinazione (si vedano i dati in continuo aggiornamento offerti dallo European Centre for Disease Prevention and Control – ECDE – consultabili qui).
 
Ora spetta alla Corte Costituzionale esprimere il più atteso bilanciamento degli interessi in gioco, e stabilire dunque se le limitazioni impresse alle libertà fondamentali per finalità emergenziali trovino spazio entro i confini dell’ordinamento costituzionale ed europeo, potendo per di più contare su un bagaglio giurisprudenziale che si arricchisce costantemente di svariate argomentazioni a suffragio di ogni tesi, nonostante i “sintomi” di illegittimità avvertiti nei confronti delle norme anti-Covid diventino sempre più insistenti e preoccupanti.
 

Andrea Tundo

Dottore di ricerca in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo

@tundo_andrea

Obbligo vaccinale ritenuto «inutile e gravemente pregiudizievole»: il Tribunale di Padova riammette in servizio operatrice socio-sanitaria no-vax
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