Definire un quadro di riferimento per assicurare la qualità dei tirocini: questo è l’obiettivo della Raccomandazione approvata lo scorso 10 marzo dal Consiglio dell’Unione europea. Le lunghe premesse del documento elencano i motivi per cui si rende necessario un decalogo a difesa degli stage. Lo strumento, infatti, non è esente da ben note ambiguità di fondo. Da un lato, costituisce un tassello fondamentale per le politiche in favore del lavoro giovanile essendo spesso il mezzo di connessione per la transizione dal mondo scolastico a quello produttivo. Dall’altro, non sono rari gli esempi di un uso improprio dei tirocini che si riducono a esperienze dal poco valore aggiunto, prive di qualsiasi contenuto formativo, se non addirittura a rapporti di lavoro mascherati, soprattutto per le basse professionalità. Una cornice di riferimento per assicurare la qualità degli stage serve dunque a dissipare le possibili “ombre” che spesso aleggiano su di essi. Da dove iniziare?
Il decalogo del Consiglio dell’Unione Europea parte da un punto imprescindibile: la necessità della sottoscrizione di una convenzione scritta (agreement) da firmare, all’inizio dell’esperienza di stage da parte del tirocinante e dell’ente ospitante (traineeship provider). Questa deve esplicitare: gli obiettivi formativi (educational objectives), le condizioni di lavoro (working conditions), se si prevede un rimborso spese o una indennità (allowance or compensation), i diritti e i doveri di entrambi le parti, la durata del tirocinio.
Al secondo posto del decalogo si trovano gli obiettivi formativi. Un’esperienza di tirocinio è buona se permette al tirocinante di maturare un bagaglio di esperienze e competenze realmente utili al suo ingresso nel mercato del lavoro. Per questo motivo quelli che la Raccomandazione europea chiama learning and training objectives assumono un ruolo determinante. Lo svolgimento dello stage deve essere finalizzato a raggiungere tali obiettivi formativi, motivo per cui la presenza di un tutor aziendale (supervisor) viene fortemente consigliata.
Il terzo posto della Raccomandazione è occupato alla definizione delle condizioni di lavoro. Il rispetto della normativa europea e nazionale è messo in prima posizione. Segue l’invito all’ente ospitante di chiarire i termini di copertura per quanto riguarda la salute e la sicurezza del tirocinante. Solo all’ultimo posto viene presa in considerazione al questione della remunerazione. Si richiede che nella convenzione si chiarisca se è previsto un rimborso o una indennità per lo stagista. In tal caso occorre specificare l’ammontare dell’importo.
I diritti e doveri si trovano al quarto posto del decalogo. Le obbligazioni reciproche tanto del tirocinante quanto dell’ente ospitante vanno inserite all’interno della convenzione. La Raccomandazione del Consiglio dell’UE si sofferma su due aspetti che in Italia spesso vengono trascurati: le politiche di riservatezza della realtà ospitante e i diritti di proprietà intellettuale. Ambedue questi elementi vanno inseriti nell’agreement iniziale.
La questione della durata del tirocinio è affrontata alla quinta voce dell’elenco contenuto nel documento comunitario. Essa deve essere ragionevole (reasonable) ovvero non superiore, di norma, ai sei mesi. Se questo è il periodo massimo, occorre che vengano chiariti anche i termini per eventuali proroghe o rinnovi rispetto a quanto pattuito ab origine nella convenzione di stage.
Al sesto posto il decalogo pone un elemento centrale: il riconoscimento e la validazione delle conoscenze (knowledge), abilità (skills) e competenze (competences). Secondo la Raccomandazione europea è compito dell’ente ospitante attestarle sulla base di una valutazione e mediante un apposito certificato.
Il requisito della trasparenza è posizionato al settimo posto. L’invito che la Raccomandazione fa, tanto agli enti ospitanti quanto ai possibili intermediatori, è quello di essere chiari nelle offerte di stage indicando in modo netto e circostanziato i termini e le condizioni del tirocinio. La trasparenza, in altre, parole diviene metro per giudicare la bontà di un esperienza di stage. Annunci o vacancies poco chiari e limpidi sono il segnale di un possibile uso distorto dello strumento.
All’ottava posizione più che una raccomandazione si rinviene un auspicio. Il documento del Consiglio dell’Unione Europea si propone, infatti, di potenziare le esperienze di tirocinio transnazionali all’interno dello spazio comunitario. Per tale motivo si prospetta una semplificazione delle condizioni che permettono di ospitare stagisti provenienti da Paesi diversi da quello di origine. Non si esclude, poi, di usare a questo fine il sistema EURES.
Al penultimo posto si trova la possibilità di ricorrere alle risorse comunitarie 2014-2020 per aumentare il numero e la qualità dei percorsi di tirocinio attraverso un coinvolgimento reale di tutti gli stakeholders. Infine, alla decima posizione si rinviene l’invito all’applicazione del decalogo appena delineato il prima possibile. Entro il 2015 i Paesi dell’UE sono chiamati a inviare alla Commissione un report sulle misure prese le quali devono prevedere un ruolo attivo anche delle Parti Sociali, delle istituzioni educative e formative e dei servizi dell’impiego.
La lettura della Raccomandazione europea e il confronto con la realtà italiana apre lo spazio ad alcune considerazioni. In primo luogo è evidente come la questione tirocini sia una questione “calda” non solo per l’Italia, ma in molti altri Paesi comunitari. Il confine tra genuinità o meno di uno stage appare alquanto labile per cui il rischio di rimanere intrappolati in esperienze reiterate e senza alcun valore è comune a tutta la UE. Al netto di questo comun denominatore, però, non si può non vedere come il dibattito e la normativa italiani si siano mossi in una direzione non del tutto coincidente con quella indicata nella Raccomandazione. Per questa, infatti, la qualità di un tirocinio coincide primariamente con la garanzia che esso sia una vera esperienza di formazione. Da qui il richiamo a obiettivi formativi e di apprendimento chiari e ben definiti, finalizzati a maturare competenze spendibili e utili nel mercato del lavoro sotto la guida di un tutor aziendale. In Italia, invece, la discussione sulla qualità di uno stage è stata misurata, o meglio, garantita unicamente dall’erogazione di una indennità di partecipazione. Su questo aspetto, che nella Raccomandazione non è assolutamente centrale, si sono spesi fiumi e fiumi di inchiostro, mentre poco o nulla è stato detto in merito alla centralità del valore formativo del tirocinio. A conferma di tutto ciò il sostanziale blocco di qualsiasi percorso di certificazione delle competenze per cui i giovani italiani possono “tranquillamente” passare da uno stage all’altro senza che rimanga una mappatura di quanto hanno appreso.
Se il discorso sulla qualità dei tirocini deve essere ripreso, allora è proprio da qui che occorre ripartire: obiettivi formativi chiari, percorso di formazione on the job coerente e sotto la guida di un tutor, certificazione finale delle competenze. Significa, in altre, parole riportare al centro del dibattito il valore della formazione, mai compreso fino in fondo in Italia, come dimostrano, anche le ultimissime proposte di riforma del mercato del lavoro.
Umberto Buratti
Assegnista di ricerca Università di Bergamo – ADAPT Senior Research Fellow
@U_Buratti
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Obiettivi formativi e di apprendimento: le basi per un tirocinio di qualità