Occupazione, retribuzioni, formazione: la fotografia del rapporto annuale ISTAT

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Bollettino ADAPT 10 giugno 2024, n. 23
 
Lo scorso 15 maggio è stato pubblicato il rapporto annuale ISTAT che contiene, tra le altre cose, anche una puntuale fotografia di alcune tendenze del mercato del lavoro italiano con particolare riferimento a occupazione, retribuzioni e formazione.

 
Occupazione e reddito
 
Tra gennaio 2021 e dicembre 2023, secondo quanto rilevato dall’ISTAT, le retribuzioni contrattuali orarie sono aumentate del 4,7%, a fronte di un incremento dei prezzi al consumo del 17,3%. Sebbene nell’ultimo anno ci sia stata una decelerazione dell’inflazione, questo non è stato sufficiente a evitare una riduzione del potere d’acquisto dei salari. Solo nel primo trimestre del 2024 si è osservato un trend opposto, con un aumento delle retribuzioni contrattuali del 2,8% contro un incremento dei prezzi dell’1,0%. Un fattore significativo è la mancanza di rinnovi contrattuali, che a marzo 2024 toccava il 34,9%, comunque in diminuzione rispetto alla media del 2023.
 
In ottica comparata, l’Italia è l’unico Paese fra le grandi economie dell’Ue con salari reali inferiori rispetto al 2013. Il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde è cresciuto in media del 3,0% nei paesi Ue, mentre in Italia è diminuito del 4,5%.
 
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Si segnala, però, un andamento positivo dell’occupazione e un maggior numero di ore lavorate e di lavoratori. Nonostante la riduzione dell’incidenza dei lavori a tempo determinato rispetto al 2019 (anno pre-pandemia) dello 0,9%, i lavoratori con contratti non standard (part-time e a tempo determinato) continuano a percepire redditi bassi. Inoltre, molti lavoratori part-time sono involontari (nel 2022 erano il 57,9%).
 
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Dal 2004, l’occupazione è cresciuta, ma si evidenzia un forte invecchiamento della popolazione lavorativa e una presenza di disoccupati e forza lavoro potenziale pari a circa 4,9 milioni di persone (dati del 2023).
 
Tra i cambiamenti dell’occupazione più significativi degli ultimi vent’anni si segnala l’aumento dei lavoratori a tempo determinato soprattutto fra i più giovani (dal 18,9% al 33,4% tra i 15-34 anni).
 
Il lavoro a tempo indeterminato, che oggi occupa il 66% dei lavoratori, è aumentato tra il 2004 e il 2023 solo tra gli ultracinquantenni. Si è registrata, invece, una diminuzione degli occupati indipendenti, con un’incidenza sull’occupazione passata dal 27,8% al 21,4%, da 1 milione 171 unità a 5 milioni e 38 mila unità nel 2023.
 
Solo nell’ultimo anno c’è stato un calo del lavoro a termine e un aumento dei lavoratori a tempo indeterminato.
 
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Se sul fronte occupazionale alcuni segnali di miglioramento ci sono, i dati sulla povertà lavorativa non sono incoraggianti. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2022 in Italia, gli occupati a rischio di povertà lavorativa erano l’11,5% (contro il 9,5% del 2010). I lavoratori part-time (nel 2022 il 19,9% era a rischio di povertà lavorativa contro 9,7% dei lavoratori a tempo pieno), a tempo determinato (16,2% contro 8,5% dei lavoratori a tempo indeterminato) o autonomi (17,0% nel 2022) hanno un rischio di povertà lavorativa doppio rispetto ai lavoratori standard. Altri fattori che contribuiscono sono l’istruzione e la cittadinanza. Nello stesso periodo, il rischio di povertà per gli occupati con istruzione primaria era del 18,7%, contro il 5,1% dei lavoratori con istruzione terziaria. Il rischio di povertà per i lavoratori di nazionalità italiana era di quasi 15 punti percentuali inferiore rispetto agli stranieri e di oltre 18 punti percentuali rispetto ai lavoratori provenienti dai paesi extra UE.
 
Allargando ulteriormente lo sguardo, i dati sulla povertà assoluta segnalano una situazione di forte crisi: secondo i dati del 2023 si trova in condizioni di povertà assoluta il 9,8 per cento della popolazione (tre punti percentuali superiori rispetto al 2014).
 

I dati sulla formazione
 
Per quanto riguarda la formazione, i dati mostrano un andamento positivo dell’istruzione a tutti i livelli e una diminuzione della dispersione scolastica. Tra il 2013 e il 2021, in Italia, c’è stato un miglioramento generale dei diplomati con laurea triennale (ISCED 6) e magistrale (ISCED 7), allineandosi ai livelli di crescita di Francia, Germania e Spagna. Tuttavia, l’Italia è in ultima posizione e in arretramento per quanto riguarda i dottorati e i titoli di specializzazione (ISCED 8).
 
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Tra i giovani di 25-34 anni, il livello di istruzione in Italia è mediamente inferiore rispetto ai paesi considerati. Secondo l’ISTAT, ciò è dovuto al fatto che molti giovani, come in Spagna, hanno solo la licenza media (22% nel 2022) e alla scarsa diffusione dei titoli universitari di ciclo breve e di formazione terziaria non accademica, prevalentemente a carattere tecnico (ISCED 5; in Italia erogati dagli ITS).
 
I dati differenziati per genere mostrano che le donne hanno un livello di scolarizzazione superiore rispetto agli uomini e beneficiano maggiormente del premio dell’istruzione sui tassi di occupazione: il 36% delle donne con al massimo la licenza media è occupata, rispetto all’80,2% delle donne con un titolo terziario. Il divario di genere resta elevato: nel 2023 era di 17,9 punti percentuali.
 
Considerando le professioni svolte e il mismatch verticale (sottoistruzione o sovraistruzione), la sovraistruzione è più frequente tra le donne (39,8% rispetto al 34,5% degli uomini), tra gli stranieri (52,0% contro il 36,9% degli italiani) e tra i laureati in materie socio-economico-giuridiche (45,7% contro il 18,2% tra coloro con un titolo terziario in agricoltura, veterinaria, medicina e farmacia, e 27,6% nei laureati in discipline STEM).
 
Conclusioni
 
I temi qui richiamati sono solo una parte di quelli raccolti ed analizzati annualmente dall’Istituto Nazionale di Statistica. Complessivamente, il Rapporto del 2024 fornisce una panoramica completa non solo del mercato del lavoro, ma anche dell’economia italiana e delle condizioni economiche delle famiglie e dei singoli individui. Ad esempio, viene evidenziato il ruolo chiave del reddito di cittadinanza come strumento di protezione sociale. Sui salari, invece, l’ISTAT sottolinea la mancanza di aderenza, negli anni, con l’aumento dei prezzi e un valore dei salari reali, anche a confronto con le altre economie europee, che è in forte calo.
 
I dati sull’occupazione segnalano certamente un andamento positivo, tuttavia donne e giovani risultano ancora svantaggiati e permane un forte divario territoriale. Intervenire sul bacino di inattivi, inoltre, potrebbe arginare il problema dell’invecchiamento demografico e del calo delle nascite (si veda, per un approfondimento, F. Seghezzi, J. Sala, La grande e inedita crisi dell’offerta di lavoro. Evidenze dalle ricerche di ADAPT). È necessario, inoltre, diminuire lo skill mismatch per  aumentare la produttività delle aziende e garantire salari più adeguati (sul tema si vedano i dati emersi dalla ricerca di Skill Alliance – L’apprendistato di alta formazione per il conseguimento del diploma ITS: dati, esperienze, prospettive).
 
In conclusione, i dati che emergono dal Rapporto ISTAT permettono di conoscere lo stato attuale e l’evoluzione del mercato del lavoro del nostro Paese e danno interessanti spunti per capire su quali fronti sia necessario intervenire.
 

Federica Chirico

Apprendista di ricerca ADAPT

@fedechirico

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