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Bollettino ADAPT 1° luglio 2024, n. 26
La trasformazione del lavoro indotta dalla Tecnologia (Robotica, Intelligenza Artificiale, Reti e Piattaforme, etc.) è argomento ampiamente dibattuto, soprattutto con riferimento a quali e quanti “lavori” nel medio/lungo termine scompariranno o verranno creati. Da qui le discussioni circa le competenze necessarie per affrontare il futuro.
Senonché il futuro è adesso e qui intendiamo condividere alcune riflessioni suggerite dall’uso (già oggi possibile) degli algoritmi della IA nella gestione delle competenze e nella costruzione dell’organizzazione aziendale. Mettiamo in parallelo Organizzazione e Competenze perché allargando l’output dell’algoritmo può risultare abbastanza semplice riorganizzare o creare funzioni aziendali sulla base delle competenze (e magari delle propensioni personali), senza avere cura dei ruoli attuali, delle posizioni organizzative e delle famiglie professionali dei lavoratori in esame.
Quanto questo approccio sia dirompente nei confronti della struttura rigida delle declaratorie e dei profili professionali fissati dai CCNL sarà chiaro al termine di queste brevi note.
Analizziamo la funzionalità dell’algoritmo “hrBeta” (chiamiamo così un algoritmo di cui abbiamo diretta esperienza). hrBeta nasce per semplificare il lavoro delle funzioni HR nella mappatura, gestione e sviluppo delle competenze dei collaboratori. È in grado di sistematizzare i gruppi di competenze (tecniche, manageriali) che si riferiscono a centinaia di Job Roles (profili professionali) pescando le informazioni da banche dati preesistenti, da input dell’azienda utilizzatrice, ma soprattutto, attraverso la lettura di tutti gli annunci di lavoro in pubblicazione, è in grado di fornire un output periodicamente aggiornato sul set di competenze che fa capo ad ogni posizione aziendale. Ottenuto questo, sarà quindi abbastanza agevole per la funzione HR pianificare percorsi formativi di consolidamento delle aree deboli delle competenze indicate importanti dall’algoritmo e ritenute critiche per l’Azienda. Se poi a ciascun profilo professionale aggiungiamo, oltre alla lista aggiornata delle competenze necessarie, anche le attività tipiche (“mansioni”) svolte dal ruolo, otterremo una Job Description ben fatta e aggiornata. Non secondario: la Job Description è poi arricchita da ogni collaboratore (su base volontaria) da interessi e attitudini personali (l’algoritmo ne terrà conto).
Sin qui ci siamo avvalsi dell’attività compilatoria dell’algoritmo attraverso la sua funzionalità tipica che è quella di trovare serie e ricorrenze statistiche all’interno di una mole considerevole di dati. Senonché le stesse competenze (e le conoscenze) hanno il “difetto” di ricorrere in tanti profili professionali diversi. Solitamente costruiamo e leggiamo le organizzazioni dall’alto verso il basso, fermandoci al nomen del ruolo a cui associamo una posizione organizzativa e un inquadramento contrattuale, fino al completamento dell’Organigramma. Se poi il nomen è simile a quelli nella lista dei profili del nostro CCNL evitiamo anche possibili conteziosi. Questo modo di procedere non ci rende immediatamente visibili le caratteristiche comuni (e trasversali) dei nostri collaboratori: peraltro non è nemmeno scontato che gli appartenenti alla stessa famiglia professionale esercitino le stesse competenze o detengano le stesse conoscenze.
Immaginiamo ora, in virtù di un cambio di strategia della nostra Azienda, di dovere costruire una nuova unità organizzativa dedicata alla vendita di prodotti a clienti finali (il cd business to consumer). Definiamo quindi il set minimo di competenze e conoscenze dei processi aziendali richieste per tale unità organizzativa. Indichiamo all’algoritmo di intercettare anche interessi comuni tra i membri del team (per agevolare l’affinità tra gli individui), e supponiamo che alcuni interessi personali siano indicativi di alcune competenze per noi utili. Ad esempio trattandosi di attività da svolgersi a contatto con il cliente finale, doti comunicative e di ascolto possono dedursi dal fatto che il collaboratore svolga attività di teatro o che svolga attività di volontariato.
Il punto fondamentale è che l’algoritmo sceglierà le persone sulla base delle conoscenze e attitudini possedute, non sulla base del ruolo, o della attuale posizione in azienda. Non si curerà dell’inquadramento, della qualifica contrattuale o dell’anzianità. Ometterà quindi tutti i criteri guida utilizzati dai contratti collettivi per definire lo sviluppo professionale.
Potrà indicare, quale coordinatore dell’unità organizzativa una persona che abbia un livello di inquadramento inferiore a uno o più componenti del team individuato.
In ogni caso, per l’azienda il Valore aggiunto che questi collaboratori possono garantire dipende da quello che sanno (e sanno fare). Specularmente il Valore di scambio (e quindi di negoziazione) che queste persone hanno a disposizione è correlato alle loro competenze, ma che ora sono da intendersi con un’accezione molto ampia di tale termine, andando a ricomprendere anche attitudini e caratteristiche personali: tutti elementi che sino ad ora non sono mai entrati nella negoziazione tra le parti.
Quello che sono, qui e ora, determina il valore di scambio azienda-lavoratore.
Dal punto di vista organizzativo, i gruppi di lavoro verrebbero creati sulla base dei processi da governare non in virtù dell’appartenenza ad una famiglia professionale; le relazioni tra gli individui ed anche la gerarchia, sarebbero regolate dalle “cose da fare”, ossia da come sono distribuite e assegnate le attività e non dalla posizione contrattuale di ciascuno. Certamente non si possono escludere conflitti.
Ormai molto lontani dall’assioma tradizionale posto a base delle transazioni di lavoro, secondo cui il lavoratore mette a disposizione le proprie energie e capacità per un certo tempo in cambio di un compenso; ma forse già oltre quello che si prefigurava da decenni, ossia il passaggio dal Pay for Position al Pay for Competence, a meno che per “Competence” non si intenda qualcosa ancora più ampio di quanto teorizzato nella letteratura tradizionale (ricordiamo Salganik o Weinert), giacché ora l’oggetto della transazione potrebbe essere il lavoratore tutto intero quale summa delle conoscenze, esperienze, attitudini, passioni e priorità personali, le quali in un preciso momento storico assumono particolare valore per l’Azienda, ma che al tempo stesso, costituiscono per il lavoratore il fondamentale elemento di distinzione e unicità.
Da più parti, e da tempo, si è auspicato l’avvento di un nuovo “Umanesimo” nella disciplina delle relazioni di lavoro. “L’uomo al centro” è riecheggiato in tanti scritti e convegni, quale auspicio affinché la trasformazione tecnologica non impoverisse la relazione lavorativa e non riducesse, oltre al numero dei “lavori” anche il contenuto professionale di ciascun “lavoro” (si veda ad es. l’ampio materiale pubblicato sul sito di AIDP, tra cui https://blog.aidp.it/omm-one-minute-meditation-luomo-al-centro-della-tecnologia/).
Di fronte a tali preoccupazioni, invece, ora parrebbe che la IA allarghi il campo di azione e aumenti la posta: il lavoratore potrebbe avere più monete di scambio. Come potrebbe rispondere l’Azienda, ossia come potrebbe valorizzare (compensare?) questa nuova “unicità” dell’individuo?
Nel gioco infinito della negoziazione azienda-collaboratore, entrano poi ulteriori fattori ancora indecifrabili dall’algoritmo, tra i quali, la motivazione, le priorità individuali, i perché personali. Ma il lavoratore sta anche in virtù di tali fattori, che però cambiano nel tempo.
Abbiamo aperto il vaso di Pandora, abbiamo usato gli algoritmi per indagare le persone e ora ci rendiamo conto di avere troppi elementi di valutazione da gestire. È una complessità impossibile da governare con una struttura contrattuale che mette a disposizione delle parti solo retribuzione, inquadramento e qualche benefit.
Se il lavoratore viene messo in condizione di rivendicare la propria unicità (che è il risultato della complessità del suo essere), è necessario che l’Azienda abbia a disposizione i mezzi per valorizzarla. E’ necessario che la negoziazione del rapporto di lavoro investa tutto quello che le parti ritengono, in un dato momento storico, conveniente negoziare, ma soprattutto che sia possibile rivedere le condizioni nel tempo senza preclusioni o posizioni acquisite, giacché le condizioni dello “stare” e i perché individuali (e aziendali) sono mutevoli.
Se volessimo ipotizzare una condizione perché i contratti collettivi conservino in futuro una qualche utilità, potremmo auspicare un forte dimagrimento degli stessi, limitati a un corpus di diritti minimi e a una serie di regole che mettano in condizione le parti di negoziare e liberamente rivedere tutto il resto, in un continuo adattamento delle reciproche condizioni, non prevedibili oggi, ma possibili domani. Torna (meglio sarebbe dire: rimane) attuale lo schema dei diritti a cerchi concentrici del Libro Bianco di Marco Biagi.
Marco Crippa
Rely Consulting