Qual è il giudizio dei direttori del personale sul provvedimento? Un’indagine esclusiva per Panorama e le opinioni degli esperti rivelano il punto debole: in mancanza dei decreti per mesi non succederà niente. E il governo rischia di perdere credibilità.
Superato con relativa facilità lo scoglio del Senato, la nave del Jobs act è arrivata alla Camera e vede il traguardo. Ma intanto a chi nelle aziende lo attendeva con grandi aspettative, si rivela alla fine per quello che è realmente: un vascello fantasma, un guscio vuoto. Perché, nonostante l’enfasi che ha accompagnato la sua navigazione, il provvedimento non avrà effetti concreti fino a quando non saranno operativi i decreti delegati, cioè tra mesi. «Il grande dibattito che c’è stato e i molti annunci ripresi dai media» sottolinea un documento dell’Aidp, l’associazione italiana dei direttori del personale, «hanno creato aspettative anche a livello internazionale che rischiano di rimanere ancora in attesa della normativa attuativa, dando una volta di più un’immagine d’inaffidabilità del nostro Paese».
All’Aidp Panorama ha chiesto di condurre un’indagine tra i suoi iscritti per dare una valutazione del Jobs act, invitandoli a rispondere a tre domande: che cosa mi aspettavo dal provvedimento, che cosa è successo davvero e che cosa adesso cambia in concreto per me. In sintesi, il minisondaggio mostra che i manager del personale si aspettano «un sistema di regole chiare, semplici e certe», un taglio al costo del lavoro, un impegno per «drenare risorse dalle politiche passive del lavoro e investirle a favore di politiche attive». Che cosa hanno ottenuto con il Jobs act? L’Aidp riconosce che il governo «ha avuto il merito di riprendere in mano il problema irrisolto del lavoro, cercando di imporre una nuova mentalità più in linea con quanto è stato già fatto con successo nella grande maggioranza dei paesi nostri concorrenti». Percorrendo la via della delega il governo ha da un lato avuto la possibilità di toccare alcuni punti centrali considerati tabù, come il demansionamento del lavoratore in caso di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale. Ma d’altro lato, «la stessa via della delega “a maglie larghe”, lascia ancora aperte le porte a mesi d’incertezza».
In conclusione, se i direttori del personale intervistati concordano con molti elementi contenuti nel testo passato al Senato, e con la visione complessiva dei rimedi necessari per superare la crisi occupazionale, rimangono «preoccupati di questa ulteriore dilazione e sospendono ogni giudizio di merito in attesa di verificare i reali contenuti di legge». Anche Stefano Colli-Lanzi, numero uno di GiGroup, la prima multinazionale italiana del lavoro, resta nel terreno degli auspici: «Ora,-ci auguriamo che con la legge delega si vada fino in fondo sulla strada della flexicurity. Questo significa riportare il tempo indeterminato, nella sua forma a tutele crescenti accompagnato da un supporto alla ricollocazione professionale, al centro della scena, sfrondando il mercato da forme di precarietà come i co.co.pro o le associazioni in partecipazione o, peggio ancora, le false partite Iva e delegando la flessibilità buona e vera al mondo delle agenzie per il lavoro».
Mantiene la linea della sospensione del giudizio Giordano Fatali, presidente e fondatore della Hrc Academy (il network che raggruppa direttori del personale e amministratori delegati): «Il Jobs act si configura come legge-delega» sottolinea Fatali «e le misure sono passibili di perfezionamenti, aggiustamenti e integrazioni su di un arco temporale che consta di un semestre almeno. Temo che sia assolutamente precoce stendere un giudizio onnicomprensivo sul provvedimento». Ciò detto, Fatali riconosce che «il Jobs act è un provvedimento indirizzato sulla buona strada: da imprenditore e, perché no, testimone delle dinamiche interne del mercato del lavoro, mi sento speranzoso quando guardo al focus sui centri per l’impiego e alla volontà semplificatrice che in concreto anima il tentativo di affermare una tipologia unica di contratto». Quel che è certo è che le attese sul provvedimento restano altissime, come testimonia Roberto Zecchino, vicepresident human resources & organization South Europe di Bosch: dal Jobs act si aspettava un provvedimento che «modernizzasse il Paese dando competitività al sistema, semplificare la vita delle aziende, ridurre la burocrazia e cambiare la “cultura del lavoro”». La strada sembra ancora lunga.
* Pubblicato su Panorama, 29 ottobre 2014, con il titolo.
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