Uno degli aspetti maggiormente positivi della bozza del Jobs Act di gennaio era l’aver presentato un documento organico e completo, non concentrato unicamente sulla questione delle regole del mercato del lavoro come avevano fatto, invece, i due precedenti Esecutivi guidati da Mario Monti e da Enrico Letta. Questo approccio sistematico giustificava ampiamente la presenza della riforma dell’apparato amministrativo all’interno del manifesto programmatico dell’allora sindaco di Firenze. Il documento presentato al termine del Consiglio dei Ministri di ieri torna, invece, a separare nuovamente il destino del comparto pubblico dal resto del progetto riformatore. La “svolta buona” per la Pubblica Amministrazione è rimandata così al prossimo mese di aprile. Questo, però, non esclude la possibilità di effettuare uno screening completo per verificare quanto di ciò che è stato annunciato ad inizio anno sia già presente nelle linee di intervento esplicitate ieri dal Premier.
Nulla sembra esserci in materia di spending review. Il documento dell’8 gennaio a tal proposito ipotizzava di vincolare ogni risparmio di spesa corrente alla riduzione fiscale sul reddito da lavoro. Tuttavia la revisione della spesa non è nemmeno citata nelle slide di presentazione del Primo Ministro. Questo non significa che la questione sia finita su un binario morto. Al contrario, il Commissario Straordinario, Carlo Cottarelli, ha presentato all’Esecutivo e alla Commissione Bilancio del Senato il proprio piano di lavoro. Come spesso accade vi è un balletto sulle cifre effettivamente recuperabili. Il Primo Ministro punta a 7 miliardi di euro già nel 2014, mentre molto più prudente appare il Commissario che parla di “soli” 3-5 miliardi. Si tratta di un aspetto rilevante perché gli importi serviranno come copertura per una parte delle iniziative che il Governo intende promuovere, prima fra tutte, la riduzione dell’Irpef. Un’eco di revisione della spesa si può rinvenire nella proposta presentata ieri di vendere un centinaio di auto blu entro il mese di aprile. Si tratta invero di una misura più ad effetto che di reale portata per il bilancio pubblico. Altro segnale nella direzione di una corposa spending review si rinviene nell’idea di abolire il CNEL.
Le politiche in una materia strategica come l’“Agenda digitale” si limitano, per ora, a qualche semplificazione burocratica che si può ritrovare ad esempio nella proposta di “smaterializzare” il DURC. Nulla di più. Completamente assente risulta essere la proposta di eliminare l’iscrizione alle Camere di Commercio che, invece, era citata nella versione di inizio anno del Jobs Act.
Altra assenza dal documento presentato dal premier Renzi riguarda lo status dei dirigenti pubblici. In questi mesi la lotta alla “cattiva” burocrazia e ai “Mandarini di Stato” è stato uno dei cavalli di battaglia preferiti del nuovo Primo Ministro, ma di concreto in questo senso nel Jobs Act non vi è nulla. Non si tratta di un passo indietro perché il Presidente del Consiglio ha chiarito che il dossier sarà in agenda a partire da aprile. Poche sono ancora le indiscrezioni disponibili sulle linee di azione che l’Esecutivo vorrà seguire. Non aiuta a farsi un’idea, sul punto, nemmeno il sito del Ministero per la semplificazione e per la pubblica amministrazione sul quale tutto tace e sembra rimasto fermo con gli aggiornamenti alla precedente gestione di Palazzo Vidoni.
Gli stessi punti 7 e 8 del documento di gennaio risultano “non pervenuti”. Pesa il silenzio sul tema della trasparenza amministrativa che si collega anche al silenzio sull’obbligo di rendicontare on-line i soldi pubblici utilizzati per la formazione professionale. Se si pensa allo sperpero di denaro o, al contrario, al suo mancato utilizzo, l’assenza di un’indicazione in questo senso pare rilevante. Sul tema si segnala invece l’inizio dell’iter parlamentare per l’affidamento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione al Magistrato Raffaele Cantone.
Unico punto di reale contatto tra il documento di inizio anno e quello di ieri risulta essere la proposta di una Agenzia di riferimento per le politiche attive e passive del lavoro. Nel testo programmatico di gennaio il tema era solo abbozzato e si parlava di una “Agenzia Unica Federale” per coordinare e indirizzare i centri per l’impiego, la formazione e l’erogazione degli ammortizzatori sociali. Ora, invece, il profilo della proposta renziana si è fatto più completo. Si parla in modo esplicito di una delega per revisionare i servizi per il lavoro e di politiche attive. La proposta è di istituire una “Agenzia nazionale per l’impiego” a partecipazione statale e regionale, vigilata dal Ministero di via Veneto. In attesa di vedere nel concreto come questa idea si specificherà, quel che spicca è il cambio di nome da “Federale” a “Nazionale”. Occorrerà vigilare se dietro a questa nuova etichetta si nasconda il passaggio da una visione sussidiaria a una più centralista, oppure no. Il documento presentato ieri sembra propendere per la seconda ipotesi. Si prevede, infatti, un coinvolgimento delle Parti Sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali della istituenda Agenzia e meccanismi di raccordo a livello centrale e territoriale sia con l’Inps e sia con gli enti che esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità.
La delega per un ulteriore procedimento di semplificazione delle procedure e gli adempimenti connessi alla costituzione e gestione del lavoro rappresenta un elemento presente sottotraccia nel documento del gennaio scorso e ora pienamente esplicitato. Il collegamento con la promozione della “Agenda digitale” è qui più che mai evidente. Il tentativo è quello di dematerializzare il rapporto con il servizio pubblico. Obiettivo ambizioso che ormai da quasi un decennio ritorna ciclicamente tra i programmi di Governo.
Dare un giudizio complessivo sulle politiche del nuovo Esecutivo in materia di pubblico impiego è allo stato attuale impossibile. Al netto dei piccoli interventi segnalati, infatti, la parte più corposa del documento dedicata alla PA è quella relativa allo sblocco dei suoi debiti. Occorrerà quindi aspettare fino ad aprile per conoscere quali saranno le reali linee di intervento per dar vita alla “svolta buona” del comparto amministrativo. Per ora si può solo dire che l’aver “spacchettato” i due ambiti lascia un po’ di amaro in bocca. Si perpetua così la falsa dicotomia tra pubblico e privato, mentre è evidente che solo una buona Amministrazione Pubblica può essere di supporto ad un buon mercato del lavoro. E la riforma di questo, senza la riforma di quella, rischia di arenarsi. Per l’ennesima volta.
Umberto Buratti
Assegnista di ricerca Università di Bergamo – ADAPT Senior Research Fellow
@U_Buratti