La legge di stabilità, che in questi giorni sta passando il vaglio delle commissioni del Senato della Repubblica, proroga – con esclusione del “comparto sicurezza” – al 31 dicembre 2015 il blocco della contrattazione collettiva e degli scatti retributivi per i dipendenti pubblici.
L’obiezione da parte delle rappresentanze sindacali a questo ennesimo intervento restrittivo del Legislatore è nota. Dopo l’incontro con il Ministro Madia chiusosi con un nulla di fatto, in ordine sparo, i sindacati della Pubblica amministrazione hanno iniziato una campagna di mobilitazione. La Cisl è stata la prima a scendere in piazza il 1° dicembre. Cgil e Uil manifesteranno il loro dissenso, invece, durante lo sciopero generale del 12 dicembre.
Ben presto, però, dalla piazza la protesta si sposterà probabilmente nei tribunali.
È del 28 novembre scorso, infatti, la notizia che le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative del settore pubblico hanno proposto un ricorso al Tribunale del lavoro di Roma, affinché il medesimo Tribunale sollevi la questione di legittimità costituzionale del decreto-legge n. 78 del 2010. È infatti questa la norma che, prorogata ormai di anno in anno, ha permesso un notevole risparmio di spesa corrente, congelando per tutti i comparti la parte economica dei contratti collettivi.
La Corte Costituzionale sul punto ha già avuto, dal 2010 ad oggi, diverse occasioni di pronunciarsi. Nel 2014 sono ben due le sentenze emesse che, in buona sostanza, fanno salva la disposizione del decreto-legge n. 78. La motivazione di fondo è che si tratta di interventi necessari sotto il profilo del contenimento della spesa pubblica, in un momento di perdurante crisi economica, per rispondere a più generali esigenze di interesse pubblico.
La prima sentenza (n. 61/2014) dichiara la non fondatezza delle numerose questioni di legittimità costituzionale proposte in via principale dalla Provincia autonoma di Bolzano che riteneva leso – per opera delle disposizioni dell’art. 9 del decreto summenzionato – il principio di autonomia che la stessa carta fondamentale le garantisce.
Una seconda occasione, più recente ed interessante nella prospettiva degli ultimi interventi, per ribadire la legittimità delle norme di cui al decreto-legge n. 78/2010, è stata offerta dal ricorso al Tribunale ordinario di Roma presentato da docenti ed insegnanti in servizio presso istituti scolastici pubblici Costoro lamentavano la sospensione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici disposta dal comma 23 dell’art.9 dello stesso decreto. Inoltre con stesso ricorso «il Tribunale rimettente sospetta dell’illegittimità costituzionale l’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010» che incide sul computo del trattamento di fine servizio. Con sentenza n. 219/2014 la Corte ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità circa l’art. 12, comma 10, non ravvisando alcuna lesione dei principi di cui agli artt. 41 e 97 Cost, stante la già intervenuta modifica legislativa sul punto, a seguito di precedente pronuncia della stessa Corte.
In seconda battuta, la sentenza dichiara non fondata la questione di legittimità relativa all’art. 9 comma 23, ritenendo l’intervento in esame «giustificato dalle notorie esigenze di contenimento della spesa pubblica, in presenza del carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato dei sacrifici richiesti».
Non solo. La Corte ricorda che ha già chiarito con precedenti sentenze come pure la proroga di tale disposizione è giustificata dalla politica di pareggio del bilancio – il cui obbligo è entrato in Costituzione, con la riscrittura dell’art. 97 – che necessita di periodi definiti ma certamente più lunghi rispetto a quelli previsti nel caso delle precedenti pronunce, risalenti al lontano 1992.
Lo spostamento della protesta dalla piazza ai tribunali non è detto che ottenga l’effetto sperato da parte delle organizzazioni sindacali. Fino ad ora, infatti, l’orientamento della Corte Costituzionale ha salvato l’impianto normativo in vigore, facendo leva sulle esigenze di contenimento della spesa pubblica, visto il preoccupante quadro economico che giustifica il superamento del vaglio della ragionevolezza richiesta per ogni norma del nostro ordinamento.
Due dunque sono i nodi aperti. In primo luogo, non è detto che il Tribunale di Roma giudichi fondate le motivazioni dei ricorrenti, anche in virtù delle numerose pronunce già intervenute sulla questione. In subordine, ammesso che il Tribunale sollevi questione di legittimità costituzionale, non è detto che la Corte muti il proprio orientamento, forte della nuova formulazione dell’art. 97 Cost. che prevede espressamente che: «Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico».
La via giudiziale mostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che la soluzione alla questione è prettamente politica. Spetta al Governo decidere se aprire un varco nella direzione sperata dai sindacati oppure no.
Marco Menegotto
ADAPT Junior Fellow
@MarcoMenegotto
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* Il presente articolo è pubblicato anche in Enti locali & Pa, Quotidiano del Sole 24 Ore, 10 dicembre 2014.
PA: la mobilitazione passa dalla piazza ai tribunali