Pandemia e lavoro da remoto: se c’è compatibilità, il lavoratore ne ha diritto

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Bollettino ADAPT 4 maggio 2020, n. 18

 

L’attuale situazione emergenziale e le correlate misure governative volte al contenimento del Covid-19 hanno ampiamente promosso il ricorso allo smart working. Il lavoro agile, infatti, permette di coniugare la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori con la prosecuzione delle attività lavorative.

La diffusione di tale strumento ed il prolungarsi dell’emergenza sanitaria hanno portato alla luce alcuni profili critici del lavoro “da remoto”.

Infatti, con l’ordinanza 502 del 23 aprile 2020 il Tribunale di Grosseto si è pronunciato, all’esito di un procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., in merito all’impossibilità per il datore di lavoro di ricorrere alle ferie “anticipate” qualora la prestazione di lavoro possa essere resa dal lavoratore in modalità agile.

 

In particolare, il caso di specie prende ad oggetto il rifiuto, da parte dell’azienda, di adibire al lavoro “da remoto” un dipendente addetto al servizio di assistenza legale. Nonostante all’intero reparto del ricorrente sia stato riconosciuto il diritto di lavorare da remoto, l’azienda propone al suddetto lavoratore il ricorso alle ferie non ancora maturate, in alternativa alla sospensione, non retribuita, del rapporto di lavoro. È necessario specificare come il soggetto in questione sia affetto da una grave patologia polmonare da cui deriva una riduzione della capacità lavorativa pari al 60%. Il dipendente lamenta, pertanto, il carattere illegittimo della negazione ad usufruire dello smart working, anche in virtù della personale condizione patologica in cui egli verte.

A parere della resistente, la motivazione di una simile decisione aziendale risiede nell’assenza del lavoro del dipendente, dovuta ad un periodo di malattia, durante il quale la società ha organizzato l’organigramma del personale e le relative attività utilizzando lo smart working. Pertanto, la modifica dell’assetto organizzativo aziendale, per il rientro al lavoro di un dipendente, avrebbe comportato il sostenimento di ingenti costi per l’azienda.

 

In linea con la giurisprudenza prevalente e la dottrina maggioritaria, il giudice sancisce preliminarmente l’ammissibilità di un provvedimento d’urgenza di condanna ad un facere infungibile. In particolare, l’ordinanza evidenzia come l’infungibilità di un’obbligazione non impedisca al soccombente di dare volontaria attuazione alla pronuncia di condanna e, al contempo, come quest’ultima risulti strettamente funzionale per la conseguente richiesta di risarcimento danni. Pertanto, secondo l’organo giudicante, esso appare il rimedio cautelare più idoneo per contrastare il pericolo imminente ed irreparabile di una lesione dei diritti soggettivi del ricorrente in attesa di un processo a cognizione piena.

 

Risolte positivamente le questioni pregiudiziali, il giudice verifica la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, quali presupposti affinché il lavoratore possa accedere alla tutela cautelare.

Nel merito, il Tribunale accerta il carattere pretestuoso delle decisioni aziendali, soprattutto in ragione della dimensione e del settore economico in cui opera la resistente. Si tratta, infatti, di una società per azioni volta alla fornitura di energia elettrica sul territorio nazionale. Motivazioni vaghe ed incomprensibili quali gli ingenti costi da sostenere per adibire la risorsa al lavoro agile non sono, dunque, sufficienti a giustificare il trattamento riservato al lavoratore.

A ciò si aggiunge la peculiare situazione sanitaria del ricorrente: è oramai noto come il Covid-19 gravi proprio sull’apparato respiratorio. In ordine allo svolgimento del lavoro in modalità agile per i soggetti considerati fragili risultano fondamentali le disposizioni della recente normativa emergenziale. In particolare, nel settore privato si prevedono titoli di priorità nel far ricorso allo smart working per il personale affetto da gravi patologie e con una ridotta capacità lavorativa.1

Nonostante il giudice non affermi il carattere generale delle previsioni pocanzi esplicate, essa ritiene che nell’ipotesi in cui sussistano le condizioni per il ricorso al lavoro agile il datore di lavoro non possa agire in maniera discriminatoria nei confronti dei dipendenti, specialmente laddove vi siano titoli di priorità per motivi di salute. Il ricorso alle ferie non ancora maturate in luogo dello smart working risulta essere, dunque, un trattamento penalizzante ed ingiustificato, volto a ledere i diritti fondamentali ed intangibili del lavoratore.

In altri termini, qualora il dipendente svolga mansioni compatibili con il lavoro da remoto il datore di lavoro non può proporgli la possibilità di usufruire le “ferie anticipate” o, in alternativa, la sospensione del rapporto e del relativo trattamento retributivo.

Accertata, dunque, la lesione dei diritti soggettivi del lavoratore il giudice ordina di adibire il ricorrente al lavoro agile con effetto immediato e sino al 2 maggio.

 

Chiarita la natura anticipatoria e discrezionale del provvedimento in esame, è bene evidenziare come le considerazioni trattate nell’ordinanza potrebbero produrre degli effetti nella gestione aziendale dell’attuale situazione d’urgenza. Emerge a chiare lettere come trattamenti discriminatori ed ingiustificati nei confronti dei lavoratori non possano essere giustificati e subordinati alla luce della riorganizzazione del lavoro causata dalla pandemia. Con tale affermazione non si nega la discrezionalità aziendale nella scelta degli strumenti contrattualistici che si ritengono più idonei al fine di proseguire con l’attività lavorativa.

Ciò che si evidenzia, invece, consiste nell’illegittimità di trattamenti ad personam, qualora sussistano le condizioni per adottare soluzioni omogenee per tutto il comparto aziendale, avendo riguardo delle effettive mansioni svolte dai dipendenti. L’esigenza di applicare gli istituti contrattuali ad una platea il più possibile allargata emerge anche nel DPCM 26 aprile 2020, laddove si sancisce la necessità di assicurare i medesimi ammortizzatori sociali per l’intera compagine aziendale, anche mediante opportune rotazioni. Si noti, dunque, come anche in un contesto emergenziale non possa eludersi il vaglio giudiziale delle scelte organizzative aziendali.

 

Concludendo, appare chiaro che lo strumento dello smart working rivesta un ruolo essenziale nella riorganizzazione aziendale in virtù delle caratteristiche intrinseche di un simile istituto. Ne viene, pertanto, raccomandata ed allargata la sua utilizzazione anche in deroga delle previsioni generali. Immotivate e discriminatorie esclusioni nel permettere lo svolgimento delle proprie mansioni in modalità agile, per di più unite a ragioni di salute, risultano un trattamento ingiustificato, volto a ledere i diritti dei lavoratori. L’attuale periodo di emergenza sanitaria ed economica ha portato alla formazione di nuove modalità di lavoro nelle quali, però, si insinua il rischio di trattamenti discriminatori inediti. L’ordinamento giuridico deve, dunque, vigilare sull’estrinsecazione degli atti lesivi dei diritti dei lavoratori ed evolversi egli stesso, enucleando nuove forme di tutela.

 

Sara Sansaro

ADAPT Junior Fellow

@sarasansaro

 

1Cfr. art. 39, comma 2 d.l. n. 18/2020

 

Pandemia e lavoro da remoto: se c’è compatibilità, il lavoratore ne ha diritto
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