«Ma se non ci riesce un’azienda italiana a districarsi nel sistema Italia, come facciamo noi che siamo stranieri? Per quale motivo dobbiamo investire?».
Questa frase esprime bene il sentiment sull’Italia degli investitori internazionali nelle attività economiche.
Cui fa pendant quest’altra affermazione del capo degli industriali italiani, Giorgio Squinzi: «se mi fanno aspettare altri quatto o cinque anni per realizzare il nuovo headquarter della Mapei, cederò alle lusinghe del Canton Ticino e lo farò in Svizzera».
Insomma, parafrasando il titolo di un famoso film dei fratelli Coen, l’Italia “non è un Paese per imprese” (purtroppo!).
Di conseguenza non è un Paese che crea opportunità di lavoro né benessere per chi ci vive. A differenza dei Paesi, anche europei, che stanno facendo politiche business friendly, come la Gran Bretagna, che è riuscita a creare 1,5 milioni di posti di lavoro negli ultimi 4 anni. O come la Spagna, per citare un Paese Mediterraneo come noi, che grazie a riforme strutturali incisive, inclusa quella sul lavoro, sta ripartendo ad una velocità di crescita e di riassorbimento della disoccupazione decisamente superiore alla nostra.
Gli ostacoli presenti in Italia alla creazione e sviluppo delle imprese sono molteplici: l’eccessivo peso fiscale, l’invadenza pervasiva della burocrazia, la lentezza estrema della giustizia, le antiquate e pletoriche norme sul lavoro, l’alto costo dell’energia, il pesante ritardo infrastrutturale, la scarsa diffusione delle competenze in gestione aziendale, solo per citarne alcuni.
Dobbiamo ribaltare decisamente questa diffusa cultura anti impresa e trasformarla in una cultura pro-impresa: attrarre investimenti esteri in Italia è una priorità assoluta, sia perché porta opportunità di sviluppo, sia perché fa crescere le dimensioni medie delle aziende e di conseguenza le competenze manageriali .
Questa è una grande sfida per le parti sociali, ora che la concertazione con la politica pare essere andata in soffitta.
Sappiamo come è andata la vicenda: durante tutto l’anno scorso il precedente Ministro del lavoro, Enrico Giovannini, invitò ripetutamente le parti sociali ad individuare delle deroghe ai contratti esistenti, al fine di supportare il prevedibile incremento di lavoro temporaneo che l’Expo sta generando. Mesi di incontri e trattative che non hanno prodotto nulla!
Il nuovo Ministro Poletti, sostenuto da un Premier disruptive come Renzi, ha dapprima incontrato singolarmente tutte le parti sociali e poi ha autonomamente deciso il da farsi, con il Decreto-legge n. 34/2014, in cui ha liberato dall’obbligo di indicare la causale giustificativa sia per il contratto di somministrazione di lavoro tramite agenzia, sia per quello a termine, introducendo inoltre alcune semplificazioni burocratiche in tema di apprendistato.
Le parti sociali hanno così capito, con questo schiaffone, che il condizionamento che erano in grado di fare sui Governi in passato, subìto pesantemente anche dal Ministro Fornero e dal Premier Monti durante il percorso di riforma del lavoro sfociato nella legge n. 92/2012, non sarà più possibile con il Governo Renzi.
Dovranno pertanto ridefinirsi un ruolo. L’esperienza estera, in particolare quella tedesca, foriera della crescita economica di questi anni e del recupero di competitività del sistema manifatturiero, indica chiaramente la strada: quello della contrattazione aziendale e territoriale, capace di rendere residuale e progressivamente sempre meno rilevante la contrattazione nazionale. Un vero cambio di paradigma.
Solo così si potrà avere il recupero di produttività necessario con l’ adeguamento delle regole che normano i rapporti di lavoro alle reali situazioni aziendali. Dimostrando che, almeno per quanto concerne le parti sociali, per attrarre investimenti ed invertire il sentiment anti-impresa sanno prendersi le loro responsabilità.
I sindacalisti più avveduti ragionano già così e, anzi, sono entusiasti per questa nuova fase che si apre: meno frequentazione dei palazzi romani, più presenza costruttiva sul territorio nei luoghi di lavoro.
Antonio Bonardo
Group Director Public Affairs, GiGroup
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