Il decreto firmato il 13 aprile 2016 dai Ministri del Lavoro e dell’Economia attuativo delle disposizioni contenute nell’art. 1 comma 284 della Legge di stabilità 2016, disciplina le modalità di riconoscimento del c.d. “part-time incentivato” per i lavoratori prossimi alla pensione.
La norma si applica ai dipendenti del settore privato a tempo pieno e indeterminato che matureranno entro il 31 dicembre 2018 i requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia. Questi lavoratori, potranno trasformare il proprio rapporto in part-time ottenendo mensilmente dal datore una somma corrispondente ai contributi Inps a carico azienda dovuti per le ore non prestate. Per il periodo di prestazione lavorativa ridotta, l’Inps riconoscerà al dipendente la contribuzione figurativa, consentendogli di maturare gli stessi diritti pensionistici del lavoro full time. Il decreto licenziato recentemente dai dicasteri Lavoro ed Economia, declina l’iter di accesso all’agevolazione che, è lecito anticipare, richiede numerosi (e disincentivanti) passaggi burocratici. Prima di tutto il dipendente dovrà ottenere dall’Inps la certificazione che attesti l’accesso alla pensione entro il 31 dicembre 2018. D’intesa con l’azienda stipulare un contratto part-time, ed infine ottenere il nulla osta della Direzione territoriale del Lavoro e dell’Inps. La normativa, sebbene si preoccupi di favorire un’uscita graduale dal lavoro e una staffetta generazionale, sollecita alcuni spunti di riflessioni.
In primis, la norma colpisce una platea ridotta di soggetti. Stando alla circolare n. 7 del 19 aprile 2016 della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, <<risultano interessabili dalle disposizioni in esame gli uomini e le donne che al mese di aprile 2016 hanno un’età anagrafica non inferiore a 63 anni e 11 mesi>>. E ancora, sottolineano i Consulenti, <<restano altresì esclusi i lavoratori che entro il 31 dicembre 2018 pur non maturando l’età pensionabile perfezionerebbero comunque un diritto a pensione diverso da quello di vecchiaia>>, quale, ad esempio, il pensionamento anticipato. Da non dimenticare che la riforma riguarda il solo settore privato, escludendo ad oggi la schiera dei dipendenti pubblici.
Meriterebbe poi una spiegazione, l’esclusione di tutti quei dipendenti che hanno già in essere un rapporto part-time, e che potrebbero avvicinarsi gradualmente alla pensione in cambio di un’ulteriore riduzione dell’orario di lavoro.
Un secondo aspetto, riguarda la necessità per il dipendente “pensionabile” di trovare un accordo con il datore. Un passaggio non scontato, se si pensa che l’imprenditore sarà costretto a privarsi anzitempo di ore di lavoro da parte di soggetti di elevata professionalità ed esperienza, sia pure a fronte di una riduzione del costo del lavoro che, sempre stando alla circolare della Fondazione Studi, raggiungerebbe il 33% in caso di orario part-time pari al 60% di quello ordinario. La norma lascia paradossalmente da solo il lavoratore, senza richiedere l’assistenza di un rappresentante sindacale o, soprattutto per le aziende di grandi dimensioni, la necessità di un accordo aziendale con i sindacati. Quali conseguenze potrà avere un eventuale diniego del datore di lavoro? Non potrà di certo essere classificato come comportamento anti-sindacale. Forse il lavoratore avrà diritto ad un risarcimento del danno? Ma sulla base di quali parametri? La norma tace. Di certo c’è che senza prevedere un’obbligatorietà e un sistema sanzionatorio il peso specifico della riforma diminuisce drasticamente.
Un altro tema che è necessario sottolineare riguarda l’impianto di accesso all’agevolazione: la certificazione rilasciata dall’Inps e, come se non bastasse, il doppio invio del contratto a DTL e Inps stessa, rappresentano un iter burocratico che non ha eguali negli altri sgravi contributivi riconosciuti dall’Ente previdenziale. Il rischio è di penalizzare il ricorso ad una misura che già sconta l’handicap di rivolgersi a un numero ridotto di soggetti.
Non si comprende poi, come il legislatore non abbia previsto vincoli per le aziende, per esempio il rispetto della regolarità contributiva (leggi DURC), richiesta invece per altre agevolazioni, una fra tutte l’esonero contributivo triennale / biennale. E ancora: escludere tutte quelle aziende che nei 6 o 12 mesi precedenti hanno fatto ricorso a licenziamenti collettivi o ad ammortizzatori sociali. Tutti elementi che in altre norme, hanno lo scopo di tutelarne il principio ispiratore. Così com’è stata approvata, la norma è lasciata in balia di sé stessa, con il pericolo che venga utilizzata in maniera fraudolenta e per fini lontani anni luce da quelli che l’hanno animata. Saranno sufficienti, è lecito chiedersi, le task force di ispettori per tutelarne la corretta applicazione?
Una provocazione: per ogni pensionato che usufruisce del part-time incentivato perché non introdurre un corrispondente obbligo per l’azienda di assumere un giovane, anch’egli ad orario ridotto, che si alternerebbe nello stesso posto di lavoro, per esempio con un apprendistato professionalizzante? Le imprese avrebbero il duplice vantaggio, da un lato, di garantire un graduale “passaggio di consegne” e di professionalità, adottando una visione di lungo periodo. Dall’altro, il datore godrebbe di un minor costo del lavoro determinato dal part-time del pensionato e dagli sgravi Inps – Inail per l’apprendista. Un’occasione persa, insomma, per rilanciare l’istituto dell’apprendistato che, stando ai dati Inps dell’Osservatorio sul precariato periodo gennaio – dicembre 2015, sconta un calo del 20% rispetto all’anno precedente. L’apprendistato consentirebbe anche un flusso di contributi “reali” che compenserebbero in parte quelli “figurativi” riconosciuti dall’Inps per il part-time incentivato. Una soluzione che garantirebbe una certa sostenibilità economica, permettendo di rendere strutturale una riforma che, ad oggi, prevede uno stanziamento di soldi pubblici solo per gli anni 2016, 2017 e 2018, con limiti di spesa tassativi, che escluderanno, allo sforamento del budget, le istanze in sospeso.
Il legislatore dovrebbe chiedersi se la via da seguire è quella di prevedere una serie di misure intermedie, ognuna con una portata limitata, slegate l’una dall’altra senza un disegno uniforme, prive di vincoli per poter essere applicate correttamente. O, al contrario, costruire una filiera normativa che colleghi giovani e anziani, strutturale e in grado di autotutelarsi. Solo in questo modo si eviterà di lasciare non solo le norme, ma soprattutto le persone, in balia di sé stesse.
Paolo Ballanti
Human Resources & Payroll
Partner Società Cooperativa (Centro servizi Confcooperative Ravenna)
@paoloballanti
* Si segnala che le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’amministrazione di appartenenza.