Comunicare, fare squadra, gestire lo stress: sono solo alcune delle cosiddette competenze trasversali. In inglese: soft skills. Tradotto: tutte quelle competenze che la scuola non insegna, ma che inseriamo – talvolta superficialmente e non senza un certo imbarazzo – in fondo ai nostri curriculum. Secondo una ricerca della agenzia per il lavoro Manpower, invece, rappresentano «l’insieme di qualità di un individuo in termini di conoscenze, capacità e abilità; doti professionali e personali; atteggiamenti» che costituiscono il vero valore aggiunto di un lavoratore. A detta di molti head hunter, le soft skills peserebbero più del 60 per cento nella definizione dell’intero processo valutativo. Ne è convinto Alberto Ascoli, direttore Risorse umane del network Kpmg, secondo cui i candidati migliori sono quelli «pronti a tutto e preparati a nulla», perché è più facile formare un tecnico specializzato (hard skills), ma è difficile trovare qualcuno disposto a mettersi in gioco, che sappia rapportarsi nel modo giusto e riesca a guidare un team di persone. La qualità più importante per un collaboratore, continua, è «saper leggere tra le righe. Le aziende cercano qualcuno in grado di gestire l’incertezza, che sappia cosa fare anche quando non c’è nulla da fare».