Giuseppe Di Giacomo, Benjamin Lerch (lavoce.info, 16 marzo 2022)
Le conseguenze dell’utilizzo dei robot sul mercato del lavoro si comprendono considerando la prospettiva aggregata, a livello d’impresa e a livello di lavoratore. Ne esce un quadro più ottimistico, dove però contano molto le competenze dei lavoratori.
Il caso dei robot industriali
“Siamo afflitti da una nuova malattia di cui alcuni lettori potrebbero non conoscere ancora il nome, ma di cui si parlerà molto negli anni a venire: la disoccupazione tecnologica”. Così John M. Keynes definì la situazione economica del Regno Unito nel 1930. Quasi un secolo dopo, il dibattito sull’impatto delle nuove tecnologie sul mercato del lavoro è più acceso che mai.
I robot industriali sono tra le tecnologie che hanno rivoluzionato i processi produttivi negli ultimi decenni. L’International Federation of Robotics (Ifr) li definisce come macchine programmabili per lo svolgimento autonomo di attività manuali (come assemblaggio, movimentazione dei materiali, imballaggio e saldatura). La stessa Ifr stima che lo stock globale di robot sia più che quadruplicato negli ultimi trent’anni, raggiungendo quasi 3 milioni di unità nel 2021. La crescita è legata principalmente all’industria automobilistica, elettronica e metallurgica dei paesi industrializzati, quali Corea del Sud, Giappone, Germania, Italia e Stati Uniti
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