Per un sistema di istruzione e formazione professionale/1 – L’esperienza di Cometa Formazione. Intervista ad Alessandro Mele

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Bollettino ADAPT 8 giugno 2020, n. 23

 

Si inaugura con questa prima intervista una serie curata da ADAPT e dedicata all’istruzione e formazione professionale, intesa non solo come IeFP triennale e quadriennale regionale, ma ricomprendente anche i percorsi IFTS e ITS. Obiettivo è quello di approfondire le loro specificità, limiti e punti di forza, comprendere come hanno affrontato il periodo della c.d. fase 1, e ascoltare, dalla loro viva voce, come stanno lavorando per progettare un’offerta formativa capace (anche) di contrastare gli effetti più negativi della crisi economica e sociale in arrivo, favorendo l’occupabilità dei giovani e la crescita del sistema delle imprese.

 

In questa prima intervista risponde alle nostre domande Alessandro Mele, General Manager di Cometa Formazione (Como) e Segretario Generale dello IATH – International Academy of Tourism and Hospitality (Cernobbio). La sua esperienza spazia quindi dai percorsi secondari della IeFP ai percorsi terziari degli ITS. Entrambi hanno come origine comune l’esperienza di Cometa, una realtà finalizzata all’accoglienza famigliare di bambini provenienti da contesti di difficoltà e fragilità e alla loro educazione. Da questa radice comune, di matrice educativa, sono poi nate negli anni le esperienze formative sopra richiamate.

 

Che impatto ha avuto la pandemia sulle vostre attività formative? Come state gestendo la ripresa, e come immaginate lo svolgimento del prossimo anno formativo?

 

A. Mele: Come per ogni altra esperienza formativa, anche noi abbiamo subito un impatto violento e improvviso, che ci ha costretto ad assistere e affrontare la solitudine, lo smarrimento e l’angoscia dei nostri ragazzi, molti dei quali hanno anche situazioni famigliari complesse e problematiche, in cui d’improvviso si sono ritrovati immersi. Allo stesso tempo, è stato anche sfidante vedere il “salto” dei docenti in una forma di didattica 100% digitale: indubbiamente questo ha messo alla prova le loro competenze informatiche, ma soprattutto li ha provocati a costruire una nuova modalità di progettare e favorire i processi di apprendimento dei ragazzi, quest’ultimi coinvolti e chiamati a valutare questa costruzione.

Che cosa ha retto? Una relazione, che si era creata in presenza, tra docenti e alunni, e che ha permesso di vivere una vicinanza in una distanza fisica. Grazie a questa relazione siamo quindi riusciti a lavorare con profitto in questi mesi, e su questa certezza costruiremo anche i prossimi passi. Questi quindi i principali impatti: ma, fin da subito, abbiamo cominciato a lavorare per progettare il dopo. Per la ripartenza è infatti nato un laboratorio di ricerca e sviluppo di metodologie didattiche ed organizzative che durerà tutta questa estate, per preparare la riapertura di settembre. Non solo: stimolati dall’interesse suscitato da questa esperienza, abbiamo deciso di mantenerlo come elemento strutturale della comunità di persone coinvolte nella progettazione e realizzazione dei nostri processi di insegnamento e apprendimento.

 

Che ruolo immagina per l’istruzione e formazione professionale nel percorso di ripresa che ci attende? 

 

A. Mele: Indubbiamente l’istruzione e formazione professionale ha un ruolo strategico: ci troviamo all’alba di una crisi che si acuirà nei prossimi mesi, con picchi molto alti di disoccupazione (in particolare giovanile), e grossi problemi di reskilling e upskilling per tutto il mondo delle imprese. La competenza professionale sarà, per tutti i lavoratori e soprattutto per le imprese, la vera variabile critica capace di determinare processi di ripresa e crescita in un contesto economico e sociale profondamente mutato. A titolo esemplificativo, si pensi alle trasformazioni che già impattano nell’organizzazione e nella localizzazione della produzione (come e dove si produce), i cambiamenti nelle abitudini di vita e di consumo, sino al radicale ripensamento della nostra concezione dello spazio, del movimento, del valore delle relazioni, della dimensione dell’abitare e del lavorare. Sono cambiamenti che, se affrontati in maniera adeguata, non chiedono risposte limitate e settoriali, ma un globale ripensamento delle relazioni che intercorrono tra la l’educazione, la formazione, il lavoro, il mondo delle imprese, la società tutta.

È solo, prima di tutto, approfondendo questo contesto che è possibile poi lavorare per riconnettere questi elementi, disegnando di conseguenza un nuovo ruolo per l’istruzione e formazione professionale, che sappia valorizzare quanto appreso da questa crisi, e che non prescinda più da un utilizzo diffuso di tecnologie digitali. Ed è solo in questo contesto e in questo processo globale di ripensamento che la competenza personale e professionale potrà davvero essere il “motore” per la ripartenza.

 

Secondo lei, a seguito della pandemia, dovrete organizzare ex-novo corsi destinati alla formazione di nuove figure professionali, o ripensare alle competenze dei profili professionali in uscita?

 

A. Mele: Proprio su tematiche affini abbiamo da poco partecipato ad una virtual conference dell’Unesco – Unevoc a tema “New qualifications and competencies in TVET”, in qualità di rappresentanti per l’Italia della formazione professionale. È indubbiamente un punto cruciale per comprendere il valore, attuale e futuro, dei percorsi di istruzione e formazione professionale, ma deve essere inquadrato in un orizzonte più ampio. Mi spiego: la nostra risposta ai profondi cambiamenti richiamati nella risposta precedente è prima di tutto un’idea di scuola incentrata sull’apprendimento, in una prospettiva personalizzata sul discente, che sappia valorizzare plurimi e diversi “stili” di apprendimento.

Noi puntiamo molto su una didattica che sappia far emergere le competenze trasversali dei ragazzi, mettendoli in gioco con sfide reali e con la gestione di commesse e ordini altrettanto reali. È davanti alla sfida della realtà, nella difficoltà del lavoro, che i nostri ragazzi imparano, mettendosi alla prova e imparando a immaginare, a collaborare tra di loro, e infine a realizzare i loro progetti. Allo stesso tempo è necessario lavorare anche per costruire ecosistemi locali della formazione oltre la scuola, e partecipati anche da altri enti, in primis dalle imprese. Questa visione olistica della formazione, che coinvolge altri stakeholder oltre le “tradizionali” agenzie educative, non ha come obiettivo quello di formare giovani per un lavoro. Non si tratta di “piegare” la formazione e l’educazione all’addestramento professionale.

Si tratta invece di formare non ad un lavoro, ma ad una carriera, cioè ad un percorso che ha come orizzonte non lo svolgimento di un insieme di mansioni, ma la crescita integrale e lo sviluppo della persona. Così chiarito l’obiettivo, è evidente che per raggiungere questi risultati le istituzioni formative non possono chiudersi e arroccarsi nei loro metodi tradizionali, ma devono al contrario aprirsi alla realtà. Questa crescita integrale è infatti possibile solo valorizzando il talento di ogni ragazzo, obiettivo raggiungibile solo se si parte da uno sguardo nei confronti della formazione professionale capace di riconoscerne il ruolo formativo in senso pieno, non come una seconda scelta “inferiore” ai tradizionali percorsi di studio. Attualmente quindi stiamo lavorando per rinsaldare ulteriormente, in questo orizzonte, i legami con le aziende e con gli altri stakeholder, con i quali verrà potenziato il processo di progettazione dei profili professionali, pur mantenendo la radice educativa qui descritta.

 

Quali sono, a suo parere, le principali criticità che limitano le potenzialità della vostra offerta formativa, e come risolverle?

 

A. Mele: La nostra esperienza è piuttosto “felice”, perché storicamente Regione Lombardia ha investito, e investe ancora oggi con coraggio nella formazione professionale. Dobbiamo quindi “solo” sperare che continui nel solco già tracciato di difesa e promozione del sistema dell’istruzione e formazione professionale, soprattutto in quest’anno difficile e per la “fase 2” del prossimo anno formativo. Invece, la maggior parte delle regioni italiane soffrono l’assoluta mancanza di questa straordinaria possibilità di formazione, per i ragazzi e per le imprese: una mancanza quindi doppiamente problematica, che priva diversi territori della disponibilità di questi piccoli “laboratori dell’innovazione”, il cui valore è peraltro ancora parzialmente inesplorato e quindi potenzialmente ancora più impattante sulla crescita economica e sociale locale. Il tema delle risorse è, invece, un tema da affrontare, proprio per poter pensare di sviluppare il sistema e potenziarlo garantendogli una flessibilità capace di adattarsi alle necessità formative dei ragazzi e delle imprese, e quindi della realtà.

 

Come giudica un possibile allargamento del ruolo dell’istruzione e formazione professionale, alla formazione degli adulti, specialmente disoccupati?

 

A. Mele: Alcune esperienze della IeFP triennale e quadriennale e ancor più gli ITS si sono sviluppate come aggregatori di competenze professionali, messe a disposizione per la formazione di giovani ma anche di adulti. È quindi qualcosa che, almeno in parte, già esiste. Gli ITS, infatti, come previsto dalla loro norma istitutiva, nascono come centri di aggregazione di competenze non solo per favorire la transizione dei giovani dalla scuola al mercato del lavoro con i percorsi biennali, ma per la formazione continua, anche in collaborazione con i fondi interprofessionali, per promuovere l’orientamento tecnico professionale, per il trasferimento tecnologico alle PMI e per diventare quindi punto di riferimento territoriale a vocazione globale per il sistema della formazione e delle imprese.

In tal senso, anche in qualità di Presidente dell’Associazione Rete Fondazioni ITS Italia ho proposto alla Task Force del Governo che ci ha interpellato sul tema, di creare un sistema di Business School per le PMI, valorizzando le migliori esperienze già in atto e quelle facilmente espandibili: a partire però dalle esperienze, soprattutto ITS, già operative e di successo, che sono uno straordinario deposito e laboratorio per la formazione di nuove competenze e profili professionali. In questa direzione, abbiamo anche promosso la presentazione di un emendamento al c.d. Decreto Rilancio, al fine di permettere l’utilizzo delle risorse del PON Spao per una azione di sistema per la realizzazione di questa rete di riqualificazione e sviluppo professionale nazionale, che ha come “nodi” gli ITS e potrebbe essere allargata alle migliori esperienze delle istituzioni formative territoriali.

 

Perché scegliere, oggi e domani, i percorsi di istruzione e formazione professionale? Che relazioni cambiare, o sviluppare, con il mondo della scuola, dell’istruzione terziaria e del sistema produttivo?

 

A. Mele: L’istruzione e formazione professionale è un sistema orientato a promuovere processi di apprendimento attraverso il fare, fortemente integrato con il sistema delle imprese e con tassi di straordinario successo di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, mediamente superiore ai percorsi statali, anche tecnici e professionali quinquennali. Ancora più specificatamente gli ITS promuovono questa modalità di apprendimento “integrata”, che permette di entrare nel mondo del lavoro attraverso un rapporto privilegiato con le imprese e con il loro personale. Il 70% dei docenti di questi percorsi arriva dal mondo del lavoro: i ragazzi in aula hanno così l’opportunità di studiare e costruire relazioni con quelli che poi saranno i loro tutor aziendali durante il periodo – obbligatorio – di tirocinio, e molto probabilmente anche le persone che saranno decisive ai fini della loro assunzione.

La IeFP regionale, i percorsi IFTS e ITS, sono sistemi formativi unici, per governance, metodi e strumenti messi in campo, e sono quindi da preservare, coltivare ed in parte da imitare anche da parte della Scuola e dall’Università, se solo si riuscisse a partire dai risultati raggiunti e non da pregiudizi, ancora oggi frenanti, verso il mondo delle imprese. Non solo: grazie ad una rinnovata attenzione a questi percorsi e al loro valore, e a partire da una più efficace costruzione di reti territoriali per le competenze attraverso un approccio olistico alla formazione, potremmo ulteriormente potenziarli grazie alla costruzione di vere e proprie “filiere professionalizzanti”, rese possibili dal 2015 ma ancora poco diffuse, che collegano i 3-4 anni della IeFP con il sistema IFTS e successivamente con gli ITS. Si tratterebbe indubbiamente di un’operazione complessa, anche perché gli ITS sono frequentati anche da ragazzi laureati alla triennale o alla magistrale, provenienti quindi da percorsi molto diversi e centrati sull’apprendimento di conoscenze, e non anche su abilità e competenze: ciò nonostante, la costruzione di questa filiera potrebbe essere una straordinaria opportunità per ripensare il ruolo e il valore della formazione professionale, come canale alternativo ma non inferiore a quello scolastico e tradizionale.

 

Matteo Colombo

ADAPT Junior Fellow

@colombo_mat

 

 

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