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Bollettino ADAPT 20 luglio 2020, n. 29
La Congregazione dei Giuseppini opera in Provincia di Bergamo dai primi anni del Novecento, attraverso la progettazione e realizzazione di corsi di formazione professionale. Ha ripreso le attività nel 1998 con il nome di ENGIM, Ente Nazionale Giuseppini del Murialdo. Protagonista di questa intervista è Giuseppe Cavallaro, Direttore Generale di ENGIM Lombardia. Con sede a Valbrembo (Bergamo), ENGIM Lombardia realizza corsi di IeFP triennali e quadriennali inerenti i settori agricolo, elettrico, informatico, ristorazione, manutenzione veicoli a motore , termoidraulico e percorsi IFTS, tra cui quello per Junior System Administrator, realizzato in collaborazione con diverse aziende del territorio bergamasco, tra cui Aruba ed Experim del gruppo Sorint Lab
Che impatto ha avuto la pandemia sulle vostre attività formative? Come state gestendo la ripresa, e come immaginate lo svolgimento del prossimo anno formativo?
G. Cavallaro: Può sembrare strano, ma l’impatto, nella sua drammaticità, è stato anche stimolante. La chiusura è arrivata subito dopo le vacanze di carnevale, ricordo di aver passato un fine settimane tra decreti e riflessioni. Ci siamo attivati subito, anche se ci sentivano impreparati: non abbiamo mai avuto una predisposizione per la formazione a distanza, date le attività e i metodi che utilizziamo nei nostri corsi. La prima settimana il centro è stato completamente chiuso, la seconda le attività erano sospese ma i docenti hanno potuto recarvisi per registrare e iniziare a predisporre le lezioni a distanza. Poi, sono arrivate le indicazioni di Regione Lombardia, sia per quanto riguarda i tirocini che la formazione a distanza, e noi ci siamo adeguati ad esse, pensando anche di continuare con lo svolgimento di alcuni tirocini anche a distanza. D’altronde, quando le mansioni lo consentivano e l’azienda continuava a lavorare, perché interrompere? Successivamente ci siamo concentrati con una forte azione congiunta a livello nazionale insieme agli altri ENGIM regionali quando le misure restrittive sono diventate ancora più stringenti, sulla formazione a distanza, attivando le piattaforme Moodle, Microsoft Teams, Google Meet, miscelando formazione sincrona e asincrona. Abbiamo monitorato l’efficacia di queste attività a distanza, notando che solo l’8% degli allievi era in difficoltà, e ci siamo attivati di conseguenza. Anche senza laboratori e lezioni in presenza, abbiamo raggiunto le 990 ore previste, non una di meno. Quando Regione Lombardia da metà maggio ha permesso di riattivare anche i tirocini, ci siamo subito adeguati. I feedback ricevuti da docenti, studenti e famiglie sono stati molto positivi. Probabilmente ci ha aiutato l’essere una realtà piccola e quindi molto flessibile, siamo riusciti a dare ascolto e rispondere alle diverse esigenze. Di certo dopo questa esperienza non vogliamo abbandonare la formazione a distanza, con la quale siamo riusciti anche a raggiungere studenti disabili, svantaggiati, in difficoltà o con stili cognitivi non adeguati alle lezioni in presenza.
Fortunatamente le terze e le quarte avevano già svolto gran parte del tirocinio, non c’è quindi stata questa mancanza, mentre ovviamente l’assenza dei laboratori, almeno in parte si è fatta sentire. Ciò che ha retto sono state le relazioni interpersonali e l’adozione di una logica didattica incentrata sulla realizzazione di project work, chiedendo agli studenti di collaborare tra di loro e lavorare per un fine concreto. Ad esempio, gli studenti dei corsi per elettricisti e meccanici hanno progettatto l’ampliamento degli impianti dell’ospedale da campo. La pratica, l’esperienza con la realtà non può essere fatta venir meno e noi non vediamo l’ora di abbracciarla: allo stesso tempo, da questa esperienza guadagniamo la consapevolezza del valore della formazione a distanza, e vorremmo quindi proporre, dal prossimo anno formativo, una didattica integrata, digitale e laboratoriale, a distanza e in presenza, ad esempio alternando le ore di presenza fisica degli studenti in classe tra mattina e pomeriggio. Oppure anche sviluppando i laboratori proponendo un’alternanza tra fasi di osservazione in presenza e attività a distanza.
Ma a questo punto emerge un altro problema: come gestire i trasporti degli studenti, spalmati su orari così diversi e fino al tardo pomeriggio? È necessario affrontare in una logica territoriale e integrata le problematiche connesse al post-covid, non si può ragionare a comparti stagni, ma collaborare a diversi livelli e con diverse responsabilità. Questo è un altro insegnamento che speriamo di aver guadagnato da questa difficile esperienza.
Che ruolo immagina per formazione professionale nel percorso di ripresa che ci attende?
G. Cavallaro: Da questa esperienza abbiamo e stiamo imparando tantissimo. Ci auguriamo anche che la rinnovata attenzione a determinati mestieri, prima relegati all’essere ritenuti “inferiori” ad altre professioni più nobili, la loro – come è stata definita – essenzialità durante la pandemia spero ci abbia consegnato un nuovo modo di pensare, ad esempio, agli Ausiliari Socio Assistenziali (ASA) e agli Operatori Socio Sanitari (OSS), che noi formiamo. Ma anche i mestieri più pratici, come gli artigiani che qui a Bergamo hanno collaborato alla costruzione dell’ospedale per la gestione dell’emergenza. Ma anche nei settori dell’agricoltura o degli elettricisti: in sintesi, abbiamo vissuto l’opportunità di guardare con uno sguardo nuovo al valore sociale e pubblico di determinate attività che spesso sono “svalutate”, insieme alla formazione professionale che si occupa di formarle. È stata la possibilità di un riscatto comune, di mestieri fondamentali e della formazione che ne accompagna la costruzione. Allo stesso tempo emerge il ruolo strategico della formazione professionale nelle azioni di apprendimento per gli adulti nell’ottica del reskilling anche implementando la logica duale per gli over 30 e sperimentando contesti di apprendimento “aumentati” attraverso strumenti digitali Insieme a questo nuovo sguardo sul lavoro, mi immagino che la formazione professionale avrà un ruolo determinante nel percorso di ripresa. Già molte aziende si stanno rivolgendo a noi per apprendisti o tirocinanti, vogliono ripartire investendo sui giovani, ne hanno bisogno. Poi ovviamente non è semplice fare un ragionamento unico, è necessario distinguere per settori. Quello della ristorazione è comprensibilmente più in difficoltà. Comune e trasversale è però l’esigenza, più o meno cosciente e sentita, di una maggior simbiosi con le istituzioni formative, in una logica di piena integrazione tra processi di apprendimento e di lavoro. Nel percorso di ripresa che ci attende, la flessibilità e la capacità di dialogo dell’istruzione e formazione professionale sono elementi cruciali per accompagnare le aziende in processi di riqualificazione, di inserimento di nuove risorse umane, di innovazione repentini e subitanei. Bisogna stare al passo con la realtà e con le sue molteplici esigenze, e la formazione professionale è sicuramente pronta a questa sfida.
Secondo lei, a seguito della pandemia, dovrete organizzare ex-novo corsi destinati alla formazione di nuove figure professionali, o ripensare alle competenze dei profili professionali in uscita?
G. Cavallaro: Sicuramente saranno – e sono già – necessarie nuove competenze. È questo un percorso che abbiamo già iniziato, soprattutto con ASA e OSS, inserendo competenze digitali per permettere l’assistenza della persona anche a distanza: dal saper installare strumenti (monitor, pc, cellulari) e applicazioni (whatsapp, skype) presso il domicilio della persona assistita, a saper intervenire e assisterla anche attraverso di essi. Collaboriamo anche con la Diocesi di Bergamo in quanto ci siamo resi conto anche dell’importanza di competenze relazionali che sappiano intercettare anche i bisogni religiosi delle persone assistite. La persona è da accompagnare a 360°, non ridotta a “paziente” o “assistito”.
Non solo: tra le competenze connesse al mondo della salute e sicurezza, quelle legate all’igiene sono e saranno particolarmente importanti. Questo perché impattano su nuovi modelli organizzativi che riguardano soprattutto gli spazi di lavoro e la loro organizzazione, oltre che una responsabilizzazione dei singoli nel prendersi cura anche di questo aspetto, ad esempio sanificando la propria postazione e i propri strumenti. Gli stessi addetti alla pulizia potrebbero trasformarsi da esecutori a gestori.
Non stiamo lavorando tanto sulla creazione di nuovi profili quanto sull’adattamento di quelli che già ci sono. E su questo fronte, un aspetto particolarmente interessante su cui investire sarà quello di agganciare più percorsi formativi professionali a percorsi abilitanti, o almeno permettere un riconoscimento dei crediti più strutturato che favorisca ove necessario la spendibilità dei titoli. Oppure, allungare le filiere professionalizzanti prevedono l’abilitazione ad un livello più alto: ad esempio, perché non creare un ITS per il settore socio-sanitario e per il lavoro di cura? Anche per ampliare, sotto un’unica categoria – i servizi alla persona – tante e diverse opportunità formative e abilitanti. In questo mondo l’istruzione e formazione professionale sarebbe ancora di più un partner strategico per le aziende e, più in generale, un driver di sviluppo locale, contribuendo a regolare e costruire mercati del lavoro e a formare i giovani che vi vogliono entrare. Istruzione e formazione professionale che non vuol dire un ente unico, che da solo eroga tutto il necessario, ma una pluralità di realtà locali, ognuna che può fornire, ad esempio, certificazioni, o spazi laboratoriali, o percorsi accreditati. Unendo questi diversi pezzi potremmo esaltare le capacità non solo della formazione professionale ma del territorio, in termini di sviluppo economico e integrazione sociale.
Quali sono, a suo parere, le principali criticità che limitano le potenzialità della vostra offerta formativa, e come risolverle?
G. Cavallaro: Dovremmo sviluppare maggiormente delle “competenze di rete”, forme di collaborazione locale tra diverse istituzioni. L’offerta formativa locale non esprime al massimo le sue potenzialità perché non c’è una rete vera. Una volta c’era anche più spirito di collaborazione e condivisione tra gli enti. Si sono invece molto rinsaldati, rispetto al passato, i rapporti con le aziende. Ma queste relazioni possono e dovrebbero allargarsi anche al mondo dell’università, delle associazioni di categoria, con il mondo dell’istruzione: rapporti ci sono, ma ancora flebili e contingenti. Personalmente immagino un vero e proprio tavolo, o una cabina di regia, territoriale e chiamato a affrontare in un’ottica sistematica i temi della formazione, pensiamo ad esempio cosa si potrebbe fare, con un’azione congiunta, sull’orientamento. I progetti che vanno oltre l’ordinario sono mal supportati. Questo tavolo, con un suo coordinatore, avrebbe il compito anche di far emergere dalle persone idee, innovazioni e motivazioni, superando le divergenze e i conflitti tipici di un sistema competitivo, anche per gestire e incanalare sul territorio flussi di finanziamenti e progetti. Si potrebbe così esaltare e tirar fuori il meglio dalle caratteristiche di un territorio, riuscendo a costruire una visione d’insieme, in cui i diversi tasselli sono armonizzati insieme ai bisogni di tutti i partecipanti: come già detto, servirebbe però una figura di coordinamento professionale innovativa, che oggi non esiste, per gestire e far fruttare questi tavoli e queste relazioni.
Come giudica un possibile allargamento del ruolo della formazione professionale, alla formazione degli adulti, specialmente disoccupati?
G. Cavallaro: Sicuramente possiamo ritagliarci un ruolo centrale, anche perché da sempre quando facciamo formazione agli adulti non ci limitiamo semplicemente a trasmettere conoscenze: spesso abbiamo avuto a che fare con lavoratori o disoccupati provenienti da contesti migratori, o di fragilità. A loro quindi abbiamo fornito un’esperienza educativa e non solo formativa. Ovviamente questa formazione continua dovrebbe essere particolarmente robusta, almeno seicento ore destinate a materie tecniche e professionali gestite da formatori professionisti, il rischio opposto è quella di una formazione tutta interna, erogata solo dalle aziende. In questo senso, servirebbe forse prima di tutto una vera e propria formazione dei formatori. Non è scontato né semplice trovare chi, oltre a possedere una competenza, è capace di trasmetterla efficacemente.
Il vantaggio che, come istruzione e formazione professionale, abbiamo è l’accresciuta capacità di dialogo con le aziende, anche a seguito della “spinta” dal 2015 in poi, sul sistema duale. Prima si “consegnava” lo studente a fine percorso, oggi invece si negoziano i contenuti formativi con le aziende e si va in profondità del senso e degli obiettivi dei percorsi formativi. L’apprendistato, e il sistema duale più in generale, ti obbligano a questa attenzione.
Perchè scegliere, oggi e domani, i percorsi di formazione professionale, e in particolare i percorsi formazione? Che relazioni cambiare, o sviluppare, con il mondo della scuola, dell’istruzione terziaria e del sistema produttivo?
G. Cavallaro: La qualità della formazione erogata nei percorsi IeFP, IFTS e ITS sta salendo, grazie anche alla maggior sintonia e alla collaborazione con il sistema delle imprese. Queste relazioni permettono anche la creazione di una cultura dell’apprendimento continuo, dentro l’azienda stessa.
Indubbiamente, per alcuni settori la si sceglie perché garantisce un lavoro. Ma anche in questi, oggi più che mai ci si rende conto che essa rappresenta una straordinaria possibilità educativa per lo studente. Noi vediamo tutti giorni rinascere giovani che erano usciti dal primo ciclo di istruzione secondaria con una bassa o nulla stima di sé. L’istruzione e formazione professionale permette loro di scoprire la loro vocazione, mettendoli in contatto con adulti significativi che possono ridestare in loro anche un desiderio di apprendere, conoscere e studiare. Stare a fianco delle imprese significa anche poter acquisire ritmi e metodologie organizzative virtuose capaci di innovare la progettazione formativa.
Per raggiungere questi obiettivi, la collaborazione con le aziende più dinamiche e attente ai cambiamenti del mercato, anche in termini di fabbisogni formativi, è davvero fondamentale. Di rimando noi possiamo mettere in campo la nostra capacità di adattamento e flessibilità, progettando percorsi ad hoc e soprattutto nati dal reciproco confronto e dialogo. La vera sfida è poi fare dell’esperienza della formazione professionale una filiera vera e propria, che arriva a livello terziario con gli ITS. Questo potenziamento potrebbe da una parte abbattere pregiudizi che relegano la formazione professionale a una seconda scelta, inferiore e destinata a chi “non ce la fa”, ma anche offrire alle aziende diverse soluzioni per i loro diversi fabbisogni formativi e permettere percorsi di studio e carriera diversificati in base ai desideri e agli obiettivi di ognuno agli studenti. Forse, tra un po’ di tempo un’istruzione senza formazione professionale, la dovremo dimenticare: data la realtà in cui viviamo, rapida e cangiante, i fabbisogni educativi dei giovani, e il valore occupazionale e formativo dei nostri percorsi, la vera sfida riguarderà sempre di più la Scuola e l’Università, chiamate a ripensarsi in questo contesto.
ADAPT Junior Fellow