Per un sistema di istruzione e formazione professionale/14 – L’esperienza del Centro di Formazione Professionale Artigianelli. Intervista a Sante Pessot

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Bollettino ADAPT 31 agosto 2020, n. 31

 

Nel secondo dopoguerra Don Ernesto Ricci apre, a Fermo nelle Marche, la “Scuola di Arti e Mestieri”, più nota come “Artigianelli”. Più di mezzo secolo dopo, il Centro di Formazione Professionale Artigianelli continua la stessa opera del suo fondatore: promuovere l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, insegnandoli un mestiere. I corsi triennali e quadriennali offerti riguardano il settore meccanico, termoidraulico, grafico, alimentare e, soprattutto, calzaturiero.  Risponde alle nostre domande Padre Sante Pessot, Direttore del Centro.

 

Che impatto ha avuto la pandemia sulle vostre attività formative? Come state gestendo la ripresa, e come immaginate lo svolgimento del prossimo anno formativo?

 

S. Pessot: All’inizio della pandemia la sensazione diffusa era quella di un grande smarrimento. Non sapevamo come reagire, anche perché le stesse istituzioni erano in difficoltà e quindi non era chiaro come si sarebbe svolta la restante parte dell’anno formativo. Regione Marche è riuscita a legiferare, nell’arco di due settimane, e intervenire sulla formazione a distanza: da quel momento, ci siamo subito attrezzati e abbiamo trasferito tutte le lezioni online. È stato abbastanza impegnativo, soprattutto per gli insegnanti di laboratorio. Abbiamo dovuto accelerare su progetti su cui già da due, tre anni lavoravano, in primis la digitalizzazione della didattica, supportati in questo anche da Scuola Centrale di Formazione, di cui siamo soci, ma anche una formazione ad hoc dei docenti, utilizzo di piattaforme online, ecc… Alcuni insegnati erano dubbiosi a proposito dell’utilizzo di questi strumenti: quando si sono trovati “costretti”, ne hanno però scoperto e apprezzato diverse qualità.

Ovviamente il problema principale ha riguardato le ore di laboratorio. Inizialmente abbiamo utilizzato materiale già raccolto negli anni, video e dispense sulle diverse fasi di lavorazione, realizzati dagli insegnati. Una seconda fase è stata invece incentrata sulla progettazione di strumenti utili per il rientro a scuola, finita la pandemia: gli idraulici hanno progettato piantane per il gel, sia manuali che elettriche e con fotocellula, i meccanici strumenti per la nebulizzazione di scarpe e vestiti, gli studenti che lavoravano con le calzature hanno iniziato a realizzare mascherine. Fortunatamente comunque noi avevamo, all’inizio del lockdown, concluso le ore di stage, ne stiamo attivando ora di nuovi con i ragazzi del secondo anno: la pandemia non ha quindi avuto un effetto diretto su di essi, se non in termini di minore disponibilità delle aziende. Anche le riunioni a distanza hanno avuto i loro lati positivi, più concise ed efficaci rispetto a quanto accade in presenza.

Sicuramente abbiamo vissuto, con questa crisi, una straordinaria possibilità, che ci ha lasciato in eredita spunti con cui progettare i prossimi anni formativi. Per prima cosa, vorremmo non solo digitalizzare ma rendere laboratoriali tutte le lezioni, non solo quelle propriamente “di laboratorio”, e lavorare su progetti interdisciplinare e per unità didattiche. Per la ripresa, vorremmo lavorare in gruppi classe di sette ragazzi, dividendo la classe in gruppi affidati ad un insegante e ad un tutor, che comunque girano tra i diversi gruppi. Ovviamente dovranno cambiare anche gli orari, strutturati sull’alternanza tra presenza e distanza. È davvero, questa, un’opportunità per investire in questa direzione, innovando i metodi e gli strumenti per fare formazione.

 

Che ruolo immagina per formazione professionale nel percorso di ripresa che ci attende? 

 

S. Pessot: Penso che abbiamo ereditato da questa pandemia la certezza che solo investendo sulle competenze delle persone, ma ancora di più sulle loro conoscenze, possiamo essere competitivi ed essere in grado di rispondere alla presente e alle future sfide. Investire sulla resilienza dei territori e su filiere produttive corte e locali può essere strategico per promuovere lo sviluppo economico e sociale, e per poter affrontare shock economici e sociali come quello in atto. Ma anche per portare le tradizioni di un luogo, e tramandare mestieri incentrati sulla qualità e sul saper fare. L’esempio a noi più vicino è quello del settore calzaturiero. Anni fa era facile scegliere di andare a produrre all’estero: chi è rimasto in Italia, ha investito sulla qualità e per farlo ha dovuto investire allo stesso tempo sulla formazione, sui giovani – come quelli del nostro Centro di Formazione – desiderosi di imparare e “rubare con gli occhi” i segreti del mestiere, da lavoratori esperti e artigiani provetti. Oggi questa è una scelta che sembra vincente, e che quindi trova nella Istruzione e Formazione Professionale un alleato strategico per tramandare conoscenze e competenze, ma anche per innovare. Tutto, questo, in una logica di rapporti territoriali, in modo tale da innescare più facilmente processi di contaminazione reciproca.

Sta quindi la cambiando quella cultura, ancora oggi operante, per la quale la formazione professionale è una formazione “di serie B”. Essa non va pensata come strumento per il recupero del disperso, ma come percorso di assoluta qualità ed efficacia formativa. Il vero obiettivo all’orizzonte è quello di portare la scuola dentro l’azienda, e viceversa: non solo progettare percorsi comuni, ma immaginare vere e proprie funzioni aziendali che vengono svolte dentro la scuola, e attività formativa che vengono svolte dentro l’azienda, senza soluzione di continuità. Parte della lavorazione, mi riferisco ancora al settore calzaturiero, potrebbe essere svolta a scuola. Questo elemento farebbe definitivamente crollare ogni pregiudizio e dimostrerebbe, in modo tangibili, il senso e il valore di questi percorsi.

 

Secondo lei, a seguito della pandemia, dovrete organizzare ex-novo corsi destinati alla formazione di nuove figure professionali, o ripensare alle competenze dei profili professionali in uscita?

 

S. Pessot: Si dovrà lavorare meglio sulle competenze e pensarle a partire dalla pandemia che abbiamo attraversato, sarà ancor più necessario investire sulla salute e sicurezza. Dentro quindi le stesse figure professionali andranno inserite competenze utili ad uno svolgimento in sicurezza del proprio mestiere, così come una cultura diversa e più attenta alla salute sul luogo di lavoro. Anche su questo la formazione professionale può fare molto.

Più in generale, credo che oggi più che mai vada favorito il dialogo con le imprese, soprattutto per accompagnare i giovani a maturare uno spirito e una mentalità imprenditoriale più matura. Spesso gli imprenditori lamentano una dimensione di stacco, di lontananza, con i propri collaboratori, come se prima di essere lavoratori fossero dipendenti, subordinati. Le aziende dove questa logica monistica e separatista era debole sono quelle che sono riuscite meglio delle altre ad affrontare la crisi, perché hanno potuto contare sulla collaborazione di tutti. Nel vivere il lavoro c’è un’appartenenza, un destino comune che fa saltare ogni gerarchia o struttura posticcia. Riuscire a trasmettere questa visione e questo desiderio di partecipazione e collaborazione penso possa essere più strategico di qualsiasi altro investimento formativo.

 

Quali sono, a suo parere, le principali criticità che limitano le potenzialità della vostra offerta formativa, e come risolverle?

 

S. Pessot: La storia della formazione professionale in Regione Marche è altalenante, ora sono diversi anni che ci crede fortemente e la sta potenziando. È fondamentale, per una formazione di qualità, dare continuità formativa. Inoltre, per affrontare le innovazioni didattiche che vogliamo sperimentare, oltre il periodo covid-19, sarà fondamentale una flessibilità già in ambito progettuale. Certamente la dimensione di dialogo e confronto messa in campo dalla Regione in questi anni è un buon auspicio per il rafforzamento e l’innovazione del sistema.

 

Come giudica un possibile allargamento del ruolo della formazione professionale, alla formazione degli adulti, specialmente disoccupati?

 

S. Pessot: Storicamente non abbiamo mai investito molto sulla formazione degli adulti. Indubbiamente, il ruolo della formazione professionale in quest’ambito può essere cruciale. Sarebbe opportuno valorizzare il forte legame che abbiamo con le aziende, costruito in decenni di collaborazione. Il legislatore regionale, per l’individuazione dei fabbisogni, può contare su questa rete. Inoltre, noi, come in generale il sistema della formazione professionale, potrebbe mettere a disposizione spazi, personale docente qualificato e aggiornato sui processi di innovazione del settore interessato, una didattica innovativa, e soprattutto una capacità gestionale agile che permette di ottenere le risposte desiderate, in termini di proposte formative, in breve tempo.

 

Perchè scegliere, oggi e domani, i percorsi di formazione professionale, e in particolare i percorsi formazione? Che relazioni cambiare, o sviluppare, con il mondo della scuola, dell’istruzione terziaria universitaria e del sistema produttivo?

 

S. Pessot: La nostra è una società che cambia rapidamente, così come rapide sono le trasformazioni che abitano il mondo del lavoro: il tema della velocità è quindi fondamentale per intercettare il cambiamento. Alla agilità delle imprese va abbinata quella della formazione professionale, con l’obiettivo di costruire sistemi locali capaci di favorire l’occupabilità delle persone e lo sviluppo delle imprese locali. È quindi necessario collaborare, a 360°, tra sistemi formativi e tessuto produttivo: ogni logica di contrapposizione si rivela, oggi più che mai, fallimentare. La formazione professionale nasce e vive in questo orizzonte, ma non solo.

Noi partiamo dall’idea che una persona sta bene quando vede valorizzate le sue capacità e i suoi talenti. Formazione e lavoro altro non sono che percorsi dentro i quali favorire, promuovere a accompagnare questa scoperta: e la formazione professionale ha da sempre questa attenzione educativa. Ogni studente, anche quello più in difficoltà, può mettersi in gioco e compiere questo viaggio di scoperta, perché ognuno di noi ha dei talenti e delle qualità, tutte di pari dignità. Nel nostro territorio ci stiamo accorgendo che le aziende che meglio stanno affrontando questo periodo difficile sono quelle che riescono a sviluppare le competenze delle persone.

Indubbiamente le relazioni con gli altri enti formativi si possono migliorare: con istituti tecnici e professionali siamo in contatto, ma rischiano spesso di essere visti come quelli della “seconda scelta”. Abbiamo comunque in piedi delle collaborazioni comuni. A proposito delle aziende invece ho già detto: la vera sfida è quella di una piena integrazione tra apprendimento e lavoro, tra luoghi dello studio e del lavoro. La sfida, nel nostro territorio, è mettere in rete più soggetti e istituzioni per creare e/o potenziale una vera e propria filiera professionale che permetta ai ragazzi di continuare gli studi attraverso IeFP, IFTS e ITS collegati l’uno all’altro: questo potrà rendere ancora più efficace il sistema della formazione professionale.

 

Matteo Colombo

ADAPT Junior Fellow

@colombo_mat

 

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