Per un sistema di istruzione e formazione professionale/4 – L’esperienza della Fondazione Casa del Giovane. Intervista a Bruno Chiarini

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Bollettino ADAPT 29 giugno 2020, n. 26 

 

La Fondazione Casa del Giovane ha sede a Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, e realizza percorsi formativi con l’obiettivo primario di una realizzazione integrale della persona. Tale finalità educativa si è concretizzata negli anni nella costruzione di percorsi di istruzione e formazione professionale connessi ai settori della ristorazione, dell’acconciatura e dell’estetica, svolti anche attraverso il ricorso all’apprendistato di primo livello: inoltre, la Fondazione è supportata nel raggiungimento di questi obiettivi da Scuola Centrale di Formazione, di cui è Socia.  Risponde alle nostre domande Bruno Chiarini, Direttore della Fondazione.

 

Che impatto ha avuto la pandemia sulle vostre attività formative? Come state gestendo la ripresa, e come immaginate lo svolgimento del prossimo anno formativo?

 

B. Chiarini: Ovviamente abbiamo dovuto abbracciare la didattica a distanza, alla quale fin da subito si sono dedicati i nostri docenti. Noi abbiamo all’attivo 24 corsi di istruzione e formazione triennali e quadriennali, numeri che hanno richiesto una complessa attività di riorganizzazione della nostra offerta formativa. Inoltre, noi da sempre progettiamo i nostri corsi prevedendo un alto monte ore di attività svolte in azienda tramite l’alternanza scuola lavoro, almeno 400 ore dal secondo anno in poi. Ciò nonostante, diversi elementi ci hanno permesso di “reggere” senza tradire questo modello.

Già da anni tutti i nostri allievi sono dotati di tablet, che utilizzavano al posto dei normali libri scolastici. La dimestichezza, di studenti e docenti, con questi strumenti ha quindi permesso una loro immediata adozione quando le attività formative sono state sospese. Non solo: grazie al progetto INN, a cui abbiamo partecipato, e a Scuola Centrale di Formazione, i nostri docenti avevano già ricevuto formazione specifica per fare della DAD uno strumento autonomo e non una semplice riproposizione della lezione frontale in aula. Dopo le prime settimane di stop forzato, abbiamo iniziato con orario ridotto e poi dopo altre due a tempo pieno, 30 ore di formazione per classe alla settimana.

Come si è mantenuto il contatto con la realtà “pratica” del lavoro? Grazie all’utilizzo di project work concordati tra aziende e studenti: quest’ultimi, anche se a distanza, hanno sviluppato progetti e ideato soluzioni per aiutare – concretamente – le aziende nostre partner ad implementare, ad esempio, specifiche misure per una riapertura in sicurezza. Oppure, alcune studentesse hanno progettato prodotti estetici a scarso impatto ambientale, sviluppando competenze green. Agli studenti verrà poi chiesto all’esame conclusivo di presentare il loro “capolavoro”, un prodotto multimediale di illustrazione del progetto che hanno seguito in questo periodo.

Abbiamo comunque lavorato molto per far sì che la DAD non si appiattisse a riproposizione dell’aula, a distanza. Attraverso una piattaforma online, i nostri studenti potevano accedere a contenuti sincroni, asincroni, interagire con i compagni, condividere i loro progetti. Certo, questi elementi non sostituiscono la viva esperienza nella realtà, ma sono una dimostrazione di come, anche all’interno di una crisi, se ne possono cogliere le opportunità per ripensare i propri metodi e strumenti formativi. È stato, non lo nascondo, faticoso e impegnativo per tutti: sono davvero da ringraziare sia i docenti che i tutor che hanno seguito, senza orari, gli alunni, supportandoli anche per quanto riguarda l’accesso a internet e l’utilizzo della piattaforma.

Ora attendiamo da Regione e Governo indicazioni chiare su come ripartire a settembre. La didattica in presenza non è un elemento di cui si può fare a meno, la formazione professionale richiede un’esperienza laboratoriale e pratica. Se non sarà possibile tornare completamente a svolgere i nostri percorsi in presenza, sarebbe utile far tesoro di quanto sperimentato in questo periodo, integrando le migliori pratiche di DAD e formazione a distanza con ore in presenza. Non nascondo che i settori produttivi a cui noi facciamo riferimento per le ore di alternanza, quello della ristorazione e dell’acconciatura ed estetica, sono un po’ in difficoltà, anche se riconoscono che i nostri ragazzi sono, per loro, risorse importanti per crescere: in questo senso, non sarebbe male se riuscissimo a ripartire insieme, in una logica di ancora più stretta collaborazione e reciproco sostegno.

 

Che ruolo immagina per l’istruzione e formazione professionale nel percorso di ripresa che ci attende? 

 

B. Chiarini: La formazione professionale potrebbe avere un ruolo fondamentale, in primis di sostegno alle aziende nel trovare lavoratori qualificati e così ripartire. Noi ci rivolgiamo soprattutto ad un mondo produttivo artigianale, costellato di piccole realtà, nel quale osserviamo che uno strumento importante per tanti datori di lavoro è l’apprendistato di 1° livello, che oggi vede coinvolti 15 nostri studenti. Questa alleanza tra formazione professionale e attività produttive può aiutare quest’ultime ad innovarsi e tanti giovani a costruirsi un mestiere.

Sarebbe quindi importante avere una maggiore attenzione da parte dello Stato, anche per l’acquisto di quelle tecnologie che cercano di sostituire o quanto meno ripensare la nostra didattica tradizionale, prevalentemente manuale e pratica. Ci sono tanti piccoli ostacoli burocratici che ancora limitano lo sviluppo della formazione professionale ma anche dell’apprendistato, che se adeguatamente attenzionati potrebbe davvero fare di questi percorsi uno dei principali – se non il principale – investimento in innovazione, anche a sostegno di tutta quella popolazione di imprese artigianali che grazie a queste partnership innescano processi di sviluppo e acquisiscono lavoratori qualificati, di cui hanno seguito attentamente la crescita e partecipato al processo di apprendimento.

 

Secondo lei, a seguito della pandemia, dovrete organizzare ex-novo corsi destinati alla formazione di nuove figure professionali, o ripensare alle competenze dei profili professionali in uscita?

 

B. Chiarini: Più che su nuove figure professionali è necessario concentrarsi fin da subito sulle nuove competenze da inserire all’interno dei nostri percorsi di formazione. Un elemento ormai imprescindibile, anche nei settori con cui collaboriamo, è il digitale: basti pensare alle app per gestire le prenotazioni dal parrucchiere, o l’acquisto online e la consegna a domicilio di cibo (delivery).

Di certo però non basta aggiungere ore dedicate a queste tematiche, serve ragionare anche su nuovi metodi con cui queste competenze vengono costruite, o almeno al ripensamento o potenziamento di quelli già presenti. Ad esempio, noi ora più che mai vogliamo puntare sull’impresa formativa non simulata, integrando ancora di più processi di apprendimento e processi produttivi. Crediamo infatti che le principali competenze che verranno sempre più richieste saranno quelle maturate a stretto contatto con la realtà, e quindi ci vogliamo concentrare soprattutto sul potenziamento dei nostri metodi formativi e pedagogici.

 

Quali sono, a suo parere, le principali criticità che limitano le potenzialità della vostra offerta formativa, e come risolverle?

 

B. Chiarini: Indubbiamente la burocrazia è un fattore problematico e che limita le nostre potenzialità, ho infatti già ricordato gli effetti che genera su quelle dell’apprendistato di 1° livello. La gestione dotale di Regione Lombardia negli anni ha funzionato bene, forse andrebbe incrementato leggermente il valore di ogni dote per ricomprendere anche altri elementi e permettere un potenziamento dell’offerta didattica. Di grande aiuto gli accordi siglati in Conferenza Stato Regioni che hanno definito univocamente gli standard minimi formativi identificando le competenze di base, tecniche e professionali. Più in generale, ritengo che la strutturazione dell’istruzione e formazione professionale sia ancora troppo frammentata a livello regionale, servirebbe invece un maggior riconoscimento a livello nazionale. Non aiuta in primis gli studenti una così grande differenziazione, con studenti che possano accedere a percorsi formativi di qualità solo perché a monte la loro Regione ha voluto investire su questo fronte, mentre altre no. Una maggior collaborazione tra livelli regionali e livello nazionale potrebbe anche favorire una migliore gestione dei fondi europei, incanalando risorse su determinate filiere o settori, potenziando anche la diffusione del 4° anno per l’ottenimento del diploma professionale, a cui agganciare specifiche abilitazioni professionali. Quest’ultimo punto potrebbe essere particolarmente importante per implementare l’efficacia occupazionale, anche a lungo termine, di questi percorsi, e il loro valore agli occhi degli studenti.

 

Come giudica un possibile allargamento del ruolo dell’istruzione e formazione professionale, alla formazione degli adulti, specialmente disoccupati?

 

B. Chiarini: È una possibilità che spero si concretizzi, dato che spesso i Centri di Formazione Professionale sono anche accreditati, a livello regionale, ai servizi al lavoro, potendo quindi così contare su una stretta collaborazione con le aziende anche in fase di placement, capacità quest’ultima che potrebbe tornare utile anche per gestire le fasi di ricollocazione professionale e più in generale le transizioni lavorative. Indubbiamente, in un settore come il nostro, è necessario raggruppare imprese con bisogni comuni, dato che nel settore artigiano sono spesso di piccole dimensioni e ragionare in termini di singoli fabbisogni può essere poco efficace. Al contrario, raggruppamenti di piccole imprese potrebbero meglio focalizzare i loro fabbisogni e di rimando costruire insieme agli enti di formazione professionale un’offerta sartoriale e costruita sulle loro esigenze.

 

Perché scegliere, oggi e domani, i percorsi di istruzione e formazione professionale? Che relazioni cambiare, o sviluppare, con il mondo della scuola, dell’istruzione terziaria e del sistema produttivo?

 

B. Chiarini: Indubbiamente le relazioni con gli enti citate andrebbero incoraggiate. Con le imprese negli anni i rapporti sono migliorati, ma si può fare di più. Andrebbe sicuramente incentivata la collaborazione azienda CFP per una formazione diffusa, coinvolgente diverse aree aziendali che contribuisca a ripensare la logica stessa del fare impresa. Ovviamente anche i rapporti con l’istruzione statale possono migliorare: indubbiamente potenziando le possibilità di accedere al quinto anno per il conseguimento del diploma, ma anche imparando gli uni dagli altri le proprie specificità e punti di forza. La nostra offerta potrebbe poi essere potenziata se ad essa si collegassero percorsi IFTS e ITS, costruendo così una filiera formativa che arriva al livello terziario non accademico, permettendo ai giovani di proseguire gli studi e alle aziende di corrispondere in maniera diversificata ai loro molteplici fabbisogni formativi.

Noi, per esempio, siamo un punto di riferimento per un’utenza che non solo ha obiettivi, ma anche caratteristiche diverse da quelle degli studenti della scuola statale. Il punto, quindi, non è pensare la istruzione e formazione professionale come un ripiego rispetto all’istruzione ma come un’opportunità con una propria dignità, dei propri strumenti e metodi. Che non è concorrenza: noi scegliamo di proporre un metodo dove allo studio e al desiderio di conoscere si arriva attraverso il reale coinvolgimento nelle cose. Non quindi un apprendimento “inferiore”, ma diverso. È necessario capire che esiste questa intelligenza, che passa dalle mani: le aziende lo stanno riscoprendo, soprattutto quelle del settore artigiano con cui collaboriamo, e che sono sempre più intenzionate a rapportarsi con il mondo dell’istruzione e formazione professionale. Non solo: molti dei nostri ex allievi sono poi diventati piccoli imprenditori. Scegli la IeFP anche perché, nell’esperienza concreta dell’alternanza scuola lavoro a contatto con gli artigiani del nostro territorio impari ancora un mestiere, acquisendo competenze che non sono solo professionali, ma anche un senso di appartenenza e di riconoscimento sociale.

Il tema della disabilità ci sta particolarmente a cuore abbiamo quarantacinque studenti in fascia debole seguiti da personale qualificato. È un servizio ulteriore che però fa capire come la mission della formazione professionale sia proprio quello di aiutare la persona a crescere e maturare, a partire da ciò che è e da ciò che desidera, senza pregiudizi e con la certezza che ognuno può dare il suo contributo.

 

Matteo Colombo

ADAPT Junior Fellow

@colombo_mat

 

Per un sistema di istruzione e formazione professionale/4 – L’esperienza della Fondazione Casa del Giovane. Intervista a Bruno Chiarini