La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia. Per informazioni sul rapporto – e anche per l’invio di casistiche e accordi da commentare – potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it |
Bollettino ADAPT 15 marzo 2021, n. 10
Il Protocollo d’intesa per le politiche attive siglato il 4 marzo 2021 da Regione Lazio e dalle parti sociali è il tentativo di definire a livello territoriale un sistema di misure di formazione, riqualificazione professionale e sostegno dei lavoratori (per un’analisi del contenuto del Protocollo si rimanda a G. Impellizzieri, S. Rigano, A. Zoppo, Il Protocollo d’intesa per le politiche attive della Regione Lazio/1. Sintesi dei contenuti, in Bollettino ADAPT n. 10/2021). L’accordo conferma la pratica di collaborazione e interlocuzione che l’assessorato per il lavoro e la formazione ha assunto sin dall’inizio della legislatura regionale, attraverso la stipula, nell’aprile del 2019, del Protocollo per la salute e sicurezza sul lavoro.
Allo scopo di «rispondere in modo efficace ai cambiamenti che il mercato del lavoro ha subito non solo a causa della pandemia» e di rafforzare la tutela delle persone nel mercato del lavoro, durante la transizione da un lavoro al lavoro, dal non lavoro al lavoro, dalla formazione al lavoro» (così l’articolo 1 del Protocollo) è stato implementato un processo di concertazione, intesa come «metodo decisionale nel quale il Governo determina con le parti sociali gli obiettivi economico-sociali fondamentali» con l’impegno reciproco di assumere «la responsabilità di adoperarsi per la loro concreta realizzazione» (G. Giugni, Diritto sindacale, Cacucci Editore, pp. 202-203).
Non è la prima volta che un protocollo triangolare si occupa di politiche attive. Già il Protocollo Giugni Ciampi del 1993 e il Patto per il lavoro del 1996 (che pose le basi per il “Pacchetto Treu”) ebbero ad oggetto la materia della formazione dei giovani, la formazione continua e i servizi per il lavoro. Su questi temi sono state siglate anche intese bilaterali, senza la partecipazione dell’attore pubblico, come il documento «Proposte per le politiche del lavoro» sottoscritto il 1° settembre 2016 o il più recente «Patto per la fabbrica» del 9 marzo 2018 firmati da Confindustria e CGIL, CISL e UIL. Eppure l’attore pubblico riveste un ruolo essenziale, disponendo, a differenza delle parti sociali, delle risorse economiche necessarie per raggiungere gli obiettivi condivisi.
Il Protocollo per le politiche attive siglato dalla Regione Lazio può, quindi, considerarsi alla stregua degli accordi già menzionati, essendo però contraddistinto da un ambito di applicazione delimitato dai confini regionali. I moderni mercati del lavoro, d’altronde, enfatizzano l’importanza di strategie concertate a livello locale (L. Casano, La riforma del mercato del lavoro nel contesto della “nuova geografia del lavoro”, Diritto delle relazioni industriali, 3, 2017, pp. 634-686) e già nel 1996 Marino Regini riscontrava la necessità di affiancare alla concertazione nazionale una “micro concertazione” (M. Regini, The crisis of political exchange and the growht of microconcertation, in M. Regini, Uncertain Boundaries, Cambridge University Press, 1996, pp. 73-84).
La convinzione che le politiche del lavoro dovessero essere differenziate, essendo differenti i contesti poiché non «esiste un unico mercato del lavoro, ma tanti mercati del lavoro» (D. Garofalo, Formazione e lavoro tra diritto e contratto. L’occupabilità, Cacucci Editore, 2004, p. 218) è stata anche alla base della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 che assegnò alle Regioni la competenza esclusiva in materia di formazione professionale e competenza concorrente in materia di politiche attive e servizi per il lavoro. Come rilevato in dottrina (A. Trojsi, Rapporti sovrapposizioni e interazioni tra Unione europea e sistema regionale italiano: focus su diritto e politica sociale (in specie del lavoro, dell’occupazione e della formazione professionale), in Federalismi, 5, 2018), è possibile evidenziare che, nell’esperienza dell’ultimo quindicennio, le Regioni hanno rinunciato al proprio ruolo di “ente regolatore” sul piano della produzione del diritto, limitandosi a esercitare la propria competenza come “ente di amministrazione”, chiamato a gestire e declinare le politiche del lavoro determinate a livello centrale (si pensi, ad esempio, al Reddito di cittadinanza). Alcune delle misure contenute nel Protocollo d’intesa, si pensi ad esempio al “Patto fra generazioni” o a “Torno Subito”, sono inedite e frutto dell’iniziativa delle Regioni, se non addirittura della concertazione con le parti.
In questa prospettiva, la scelta della Regione Lazio, vero soggetto promotore dell’intesa, come dimostrano anche gli ingenti stanziamenti provenienti da differenti forme di finanziamento (POR FSE 2014-2020 ancora in corso di esecuzione, POR FSE+ 2021-2027 e Nuova Garanzia Giovani), appare un tentativo di riappropriarsi di una competenza che, nel corso degli ultimi decenni, è stata erosa (si pensi al modello neocentralista confezionato dal Jobs Act e pregiudicato dal risultato del referendum costituzionale del 2016) o comunque rimasta inutilizzata.
Le parti sociali, trainate dalla Regione, hanno invece avuto un ruolo di rilievo nella definizione delle misure e dei soggetti beneficiari e saranno decisive in fase di esecuzione del Protocollo. All’articolo 6, le parti hanno inteso definire l’ordine di «priorità temporale» con cui devono essere avviate le diverse azioni, riconoscendo precedenza a Garanzia Giovani, Patto tra generazioni e “Pacchetto Anticrisi” e predisponendo un ordine di pubblicazione dei bandi regionali ed erogazione dei vari finanziamenti.
È, inoltre, di fondamentale importanza l’impegno che le associazioni sindacali e datoriali dovranno assicurare in fase di esecuzione del Protocollo, essendo chiamate ad agire attraverso la contrattazione collettiva e l’operato degli enti bilaterali, oltre a dover informare e proporre diverse misure di sostegno ai lavoratori e alle imprese. Come dimostrano già alcune prassi sviluppatesi a livello locale durante la prima e seconda ondata pandemica, spetterà infatti al sindacato svolgere una funzione di supporto nella ricerca del lavoro, di avviamento ai servizi per il lavoro e alla formazione, anche a favore di persone che hanno già un’occupazione ma che necessitano, in vista dei processi di conversione digitale ed ecologica, di migliorare il proprio patrimonio professionale.
Che sia o meno l’epoca di una nuova concertazione (F. Nespoli, Si fa troppo presto a dire concertazione, in Bollettino ADAPT n. 10/2021), non può che salutarsi con curiosità lo sforzo di realizzare a livello territoriale le politiche del lavoro con un rinnovato protagonismo delle parti sociali che hanno aderito, non va dimenticato, quasi all’unanimità, segnalando un consenso molto ampio, nella prospettiva di operare in una logica di rete e di sistema, e un’attenzione sempre maggiore alle politiche attive, confermando i cenni di interesse già mostrati con le centinaia di accordi collettivi sottoscritti per il Fondo Nuovo Competenze (sul punto si veda, La contrattazione collettiva in Italia (2020), VII Rapporto ADAPT, in particolare L’impatto del Fondo nuove competenze e contrattazione collettiva, che sarà presentato mercoledì 17 marzo 2021) e il rinnovo del CCNL Metalmeccanici (G. Impellizzieri, G. Machì, Verso un “sistema” della formazione nel settore metalmeccanico?, Bollettino speciale ADAPT n. 1/2021).
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena
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ADAPT, Università degli Studi di Siena
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