La presente analisi si inserisce nei lavori della Scuola di alta formazione di ADAPT per la elaborazione del Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia. Per informazioni sul rapporto - e anche per l'invio di casistiche e accordi da commentare - potete contattare il coordinatore scientifico del rapporto al seguente indirizzo: tiraboschi@unimore.it
Bollettino ADAPT 15 febbraio 2021, n. 6
Il 3 dicembre 2020 Eni e le segreterie generali di Filctem CGIL, Femca CISL e Uiltec UIL hanno sottoscritto il nuovo modello di relazioni industriali a supporto del percorso di transizione energetica.
Tra i principali obiettivi perseguiti sembra opportuno sottolineare l’attenzione ai temi della salute, sicurezza e ambiente, concetti che, sebbene trattati separatamente nel protocollo, sono sempre più interconnessi fra loro. E’, infatti, solo favorendo le condizioni in cui i dipendenti lavorano che possiamo parlare di sviluppo e crescita della persona che lavora. Non solo, dunque, medicina del lavoro, igiene industriale e gestione delle emergenze sanitarie; in questa prospettiva sembra rimanere centrale la promozione della cultura della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro, effettuata, nel caso di specie, mediante un Comitato HSE che si occupa di politiche e progetti anche di carattere innovativo.
In primo luogo, per quanto riguarda il tema della “salute”, Eni sembra far propria, alla stregua di quanto già effettuato dal D.lgs. n. 81/2008 (cfr. art. 2, co. 1, lett. O), la definizione dell’OMS secondo cui sarebbe riduttivo identificare tale concetto con la sola assenza di malattia o infermità, indicando piuttosto la necessità di perseguire uno “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”. In questa direzione, dunque, oltre a prevedere dei servizi di assistenza sanitaria (materia inserita anche nel capitolo dedicato al welfare che, a sua volta richiama il tema della salute e del benessere dei lavoratori) e iniziative di prevenzione anche mediante attività di informazione e formazione dei lavoratori, vi è una chiara volontà di supportare il Sistema Sanitario Nazionale, impegno dimostrato da ultimo anche attraverso una significativa risposta all’emergenza sanitaria da Covid-19.
A tal proposito merita infatti sottolineare che, oltre alla già ricordata connessione che esiste tra ambiente, salute e sicurezza, assistiamo sempre di più alla necessità di collegare la salute pubblica e il sistema di sicurezza aziendale, come dimostrato dagli ultimi avvenimenti storici di carattere mondiale. In questa prospettiva il superamento della distinzione fra luogo di lavoro e azienda, porta a ritenere superato anche il binomio ambiente interno/ambiente esterno, arrivando a teorizzare altresì un progressivo superamento della distinzione tra lavoratori e cittadini, almeno in termini di tutele, con la conseguente necessità di ripensare il (mancato) collegamento che esiste attualmente tra salute sul lavoro e salute pubblica.
In secondo luogo, emerge come le Parti considerino il tema della “sicurezza” un valore essenziale in forza dell’obiettivo di eliminare il rischio di incidenti sul luogo di lavoro. A tal fine sono state predisposte una serie di misure con il compito di incrementare la sicurezza dei lavoratori, tra cui ad esempio: modelli organizzativi per la valutazione e la gestione dei rischi, piani di formazione e, infine, sviluppo di sistemi digitali che sono in grado di monitorare e prevenire situazioni di pericolo.
Ed è proprio lo sviluppo digitale lo strumento innovativo cui Eni ha fatto ricorso per migliorare la sicurezza sul lavoro. Ad esempio, durante la fase di emergenza da Coronavirus, è stata la digitalizzazione a permettere sia la protezione dei lavoratori sia l’integrità degli asset; infatti, in poche ore, 21000 postazioni nel mondo sono state portate in smart working. Ancora, basti pensare al progetto Smart Safety, per cui è stata sviluppata una serie di Dispositivi di Protezione Individuale dotati di sensore che, attraverso uno smart network, in caso di potenziali situazioni di pericolo o emergenza, riescono a inviare in tempo reale notifiche al lavoratore e a una consolle di monitoraggio, avvisando del relativo rischio.
Dal rapporto oggetto di analisi emerge infatti che Eni mira all’innovazione sostanzialmente attraverso due strumenti, uno che si può definire più soft, inerente alla smaterializzazione dell’organizzazione e al ricorso al lavoro da remoto, l’altro più hard, sviluppando strumenti tecnologici tali da supportare la sicurezza e la salute dei lavoratori. Tuttavia, rispetto al ricorso al lavoro da remoto nella forma del cd. smart working, pur evidenziando l’ampio uso che ne è stato fatto, il documento non sembra affrontare tale “novità” organizzativa del lavoro, senza dunque affrontare il tema di come garantire la tutela della salute nei nuovi luoghi di lavoro che esulano dalle tradizionali dinamiche che hanno governato (e governano) l’impianto normativo del d.lgs. n. 81/2008.
Per quanto riguarda invece il progetto Smart Safety non pochi dubbi sorgono circa il potere di controllo che il datore di lavoro mette in atto attraverso questo strumento.
Se infatti nel nostro ordinamento è l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori a disciplinare la materia affermando che è possibile, per mezzo di impianti audiovisivi e altri strumenti, controllare a distanza l’attività dei lavoratori in una serie ci circostanze, tra cui quella di garantire la sicurezza sul lavoro, tali strumenti possono essere installati o previo accordo collettivo stipulato dalle R.S.A. / R.S.U o previa autorizzazione dell’Ispettorato nazionale del lavoro. In ogni caso, il datore di lavoro ha l’obbligo di dare ai dipendenti un’informazione adeguata circa le modalità d’uso degli strumenti e di come vengono effettuati i controlli, nonché l’onere di rispettare la normativa sulla privacy nella raccolta e nel trattamento dei dati.
A livello giuridico, quindi, non si riscontrerebbero irregolarità nel momento in cui Eni rimanesse nei confini legali dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori; ma, sicuramente, la questione andrebbe analizzata nello specifico, cercando di capire quanto questi Dispositivi di Protezione Individuale dotati di sensore siano indispensabili per la sicurezza nel luogo di lavoro, in altre parole, capire se ci siano altri strumenti che non prevedono un controllo così diretto sul lavoratore ma che portano al medesimo risultato. Un controllo così mirato potrebbe, infatti, indurre a pensare a una sorveglianza delle performance piuttosto che promuovere esclusivamente una cultura della sicurezza.
Sullo stesso tema, Eni ha attivato altresì il Virtual Reality Training, ovvero sessioni di addestramento che coadiuvate da un sistema di simulazione della realtà virtuale permette agli operatori di addestrarsi in un ambiente quanto più fedele alla realtà.
Infine, il protocollo ricorda la realizzazione di un centro di competenza Safety Competence Center and Training HSE (a Gela) al fine di gestire un team di esperti di sicurezza il cui compito è quello di coordinare e supervisionare la sicurezza nelle attività e nei siti industriali Eni.
Oltre al tema della salute e della sicurezza, viene infine affrontato quello dell’“ambiente”. Anche in questo caso la strategia adottata prevede prevenzione, protezione, informazione e partecipazione dei lavoratori. L’obiettivo è quello di muoversi in un’ottica di sviluppo sostenibile, ridurre i propri consumi e minimizzare l’impatto delle proprie attività. Convertire il sistema energetico verso fonti rinnovabili significa incoraggiare un futuro “low carbon”; a tal proposito, Eni oltre ad aver avviato un percorso di decarbonizzazione che ha portato a un miglioramento di tutti gli indicatori, svolge la propria attività in conformità con quanto stabilito dagli accordi internazionali e dalle leggi nazionali dei paesi in cui opera.
Anche in questo caso, nonostante il nesso sempre più inevitabile tra la salute e la sicurezza (dei lavoratori) e l’ambiente (circostante), sembra che il protocollo trascuri un aspetto fondamentale, parlando di salute e sicurezza oggi: a tal proposito, Eni pare concentrarsi, ancora una volta, sulla gestione della salute e la sicurezza nel tradizionale luogo di lavoro, limitandosi a valutare il tema della sostenibilità senza, tuttavia, effettuare le dovute connessioni con la disciplina in materia di salute e sicurezza e la sua attualità nei nuovi contesti di lavoro. Al contrario muovendosi, così come dichiarato dalle Parti, in una direzione innovativa, in un momento storico come questo in cui il lavoro esce dal tradizionale contesto lavorativo, il protocollo avrebbe potuto affrontare la tematica della relazione che c’è tra luogo di lavoro e ambiente circostante, tradizionalmente non pensato per ospitare la prestazione di lavoro e lontano dal controllo diretto, nonché dalla disponibilità giuridica del datore di lavoro, il quale, nonostante la distanza, non è esente da responsabilità in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
È evidente come questi temi siano strettamente collegati tra loro e come Eni abbia considerato centrale la prevenzione per incrementare la cultura della sicurezza, salute e ambiente, esplicata attraverso percorsi di formazione, per cui è previsto, per il quadriennio corrente, un impegno di circa 1.5 milioni di ore su tematiche HSE; attività connessa alla Formazione di Base e agli Aggiornamenti per i RLSA e RLSSA, al fine di migliorare il Ruolo del Rappresentante dei Lavoratori su tematiche HSE.
Un altro tema che viene affrontato nel protocollo a supporto dei temi di salute, sicurezza e ambiente è quello dell’Asset Integrity, il cui compito è quello di garantire una continuità operativa e la sicurezza delle attività. A tal fine, Eni riserva una spesa media annua di oltre 2 miliardi di euro e tenendo sempre ferma l’idea che sia la trasformazione digitale ad essere la leva fondamentale per lo sviluppo e la crescita, è stato un programma di Change Management a promuovere un nuovo approccio al lavoro sostenendo una serie di percorsi di formazione e valorizzazione delle competenze dei lavoratori.
L’importanza che Eni riserva a questi temi la si evince anche dalle affermazioni nella sezione dedicata agli “Appalti” dove le parti condividono il principio di valorizzazione delle imprese che operano nel rispetto delle regole etiche e nell’impegno per la promozione ed il rispetto delle condizioni di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Nonostante sia evidente l’impegno di Eni al fine di migliorare le sue pratiche aziendali, è noto che, oggigiorno, le imprese multinazionali governano il commercio mondiale e numerosi sono i casi, in questa prospettiva, in cui queste decidono di investire in paesi sottosviluppati per ottenere vantaggi competitivi, come scarso potere sindacale o manodopera a basso costo (vedi ad esempio Coca- Cola, Bayer, Chiquita). Piuttosto, per garantire uniformità di tutele tra i paesi dovrebbe essere il diritto internazionale a disciplinare la materia, diritto che però si dota di strumenti di soft law, attualmente non in grado di sanzionare efficacemente i comportamenti irresponsabili.
Spesso, quindi, le stesse imprese si dotano di codici di condotta interni per motivi prettamente economici, ovvero trasmettere al consumatore l’idea che stia comprando beni o servizi in linea con il rispetto dei diritti fondamentali. Negli ultimi anni, la tendenza di queste imprese che vogliono creare valore e accrescere, così, il loro vantaggio competitivo è quella di ricorrere a strumenti di responsabilità sociale d’impresa per ridefinire le policy aziendali, al fine di migliorare la loro immagine e ottimizzare la loro reputazione.
Con questa chiave di lettura si potrebbe leggere lo sforzo di Eni, tant’è che proprio nel protocollo in questione viene affermata la necessità di porre l’attenzione sul benessere psicofisico e sul miglioramento della qualità di vita dei lavoratori come fattore determinante per la crescita sana dell’azienda, in coerenza con obiettivi e dinamiche di business.
ADAPT Junior Fellow