Perché è arrivata l’ora di riformare il terzo settore

«Lo chiamano terzo settore, ma in realtà è il primo». Così si legge proprio in cima alle linee guida per la riforma del cosiddetto “terzo settore”, presentate recentemente dal Partito democratico: un vero e proprio Civil Act, con il quale il Ministero del lavoro ha chiuso il mese di consultazione pubblica avviata dal premier Matteo Renzi il 12 maggio scorso. Occasione per parlarne sarà oggi alle 18 quando, a Palazzo Chigi, il Ministro Giuliano Poletti porterà in Consiglio dei Ministri il disegno di legge e il Governo riceverà la delega per affrontare la riforma.
 
Il testo prevede già i termini entro i quali dovranno essere emanati i decreti attuativi, che concretamente consentiranno di dare vita alla riforma, con l’obiettivo di costruire un nuovo modello di welfare partecipativo. I punti cardine previsti dal disegno di legge riguardano il riordino delle norme civilistiche, il servizio civile nazionale, la fiscalità compensativa, e fra gli altri anche quelle disposizioni sulle imprese sociali che solo in un primo momento sembravano non essere comprese dal testo ma inserite in un secondo momento a grande richiesta.
 
Ma cos’è realmente il terzo settore? Per chi se lo fosse dimenticato è bene ricordarlo. Innanzitutto non è il primo (lo Stato, che eroga servizi pubblici), e non è il secondo (il mercato dei privati, che produce beni e utili). Come indicato nelle linee guida, il terzo settore può essere definito come «l’Italia del volontariato, della cooperazione sociale, dell’associazionismo no-profit, delle fondazioni e delle imprese sociali».
 
Serve quindi un nuovo sistema capace di rispondere alla crescente domanda di nuovi fabbisogni: un welfare che si realizza non più solo attraverso le funzioni pubbliche, ma nel riconoscimento della sussidiarietà, del valore della famiglia, dell’impresa profittevole e non, come tutti i corpi intermedi che concorrono a fare comunità.
Ciò di cui si discuterà oggi, 10 luglio, a palazzo Chigi e nel dibattito dei prossimi giorni, è capire come mettere a sistema nuovi modelli virtuosi per ri-orientare l’attuale modello di welfare, ancora basato su un impianto prevalentemente risarcitorio e messo in discussione dalla crisi di questi ultimi anni.
 
Riformare il terzo settore alla luce del disegno di legge in discussione oggi in Consiglio dei Ministri, significa che un ruolo importante potrà essere giocato dal welfare locale e della cooperazione sociale, due fenomeni correlati e connaturati di tutte le potenzialità per essere identificate come “i protagonisti” di un rinnovato modello welfare state. I principi della mutualità, sussidiarietà e responsabilità sociale, si configurano come i tratti distintivi del processo di evoluzione e trasformazione dello stato sociale.
 
Le realtà territoriali sembrano essere i soggetti più indicati per coniugare i bisogni sia dei potenziali fruitori di servizi che delle imprese, attraverso un’azione sinergica con gli operatori del terzo settore e il movimento cooperativo, per una gestione del sistema secondo un approccio compartecipato piuttosto che basato su trasferimenti scarsi di risorse esclusivamente pubbliche. Se i decreti attuativi andranno in questa direzione il territorio locale diventerebbe così la naturale giusta dimensione per l’attuazione dell’integrazione tra le istituzioni, le organizzazioni non profittevoli, le associazioni rappresentative dei lavoratori, degli imprenditori e le persone, consentendo il pieno sviluppo della realtà locale.
 
La necessità è quella di migliorare la capacità di governance in materia di servizi alla persona, insieme all’opportunità di sviluppare reti di servizi sul territorio e favorire la crescita di un mercato del lavoro regolare, consentendo di incrementare una rete sostenibile di domanda ed offerta di servizi al fine di creare un modello integrato di tipo territoriale, con finalità sociali in grado di dare risposta ai fabbisogni delle persone. Ecco perché principi come mutualità, uguaglianza, equità e democrazia, consentono di bilanciare logiche di mercato e politiche di inclusione sociale. L’Italia, nell’ultimo decennio, ha visto crescere esponenzialmente il numero delle cooperative e il peso che esse hanno assunto nell’ambito del tessuto economico e produttivo. Merito della cooperazione è leggere i bisogni sociali e prendersene carico grazie all’intrinseca capacità di produrre “relazioni con la comunità”.
 
Negli ultimi anni, molte le cooperative sociali che si sono distinte per il loro spirito innovatore che le ha condotte a sperimentare percorsi innovativi di erogazione di servizi, quali: sanità leggera, attività di sostegno alle famiglie, riqualificazione urbana e territoriale, turismo sociale e attività finalizzate allo sviluppo locale, nonché quelle di nuova generazione di  inserimento lavorativo come l’agricoltura sociale, il settore delle energie rinnovabili e del turismo. Pertanto mediante una comprensione critica dei bisogni del territorio si potrà sviluppare l’azione degli enti gestori, con l’erogazione di servizi istituzionali e secondo differenti modelli di regolazione e il modello cooperativo sociale si trasforma in volano sia in termini di spazio dell’attività imprenditoriale sia in termini di valore sociale aggiunto per la comunità locale.
 
L’aderenza al territorio le porta “per natura” a rispondere a domande alle quali i sistemi di gestione tradizionali non riescono a dare risposta. L’origine di tali processi richiede una minore burocratizzazione, ma una forte valorizzazione delle dimensioni personali, emotive, empatiche.
Il terzo settore sembra finalmente essere pronto per una trasformazione radicale e la proposta di riforma assegna alle cooperative sociali e alle imprese sociali il ruolo di attori capaci di creare crescita e occupazione. L’incontro di oggi darà le prime indicazioni, sperando che alle buone intenzioni, seguano i fatti.
 
Andrea Gatti Casati
ADAPT Research Fellow
@GattiCasati
 
Valentina Sorci
ADAPT Research Fellow
@ValentinaSorci1
 
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Perché è arrivata l’ora di riformare il terzo settore
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