Nei giorni scorsi ho avuto una lunga conversazione con un nostra giovane concittadina che vive in Inghilterra dove sta preparando la tesi per un dottorato di ricerca in materia di diritto sindacale presso un’Università di quel Paese (mi ha confidato che è un po’ preoccupata per le conseguenze della Brexit). L’ho trovata molto informata e preparata; sull’attualità anche più del sottoscritto (ha saputo ricordare tutti i componenti, ad esempio, della segreteria della Cgil, cosa che io non sarei in grado di fare). Ma quando mi sono avventurato ad evocare il Protocollo Intersind-Asap della fine del 1992, la ragazza mi ha guardato con un lampo di panico negli occhi. Non ne aveva mai sentito parlare. A sua giustificazione mi ha detto di essere nata nel 1990, mentre negli anni ’60 del secolo scorso erano nati i suoi genitori. Per me sarebbe stato facile obiettare che, a suo tempo, aveva studiato le guerre puniche, sempreché non sapessi che di solito i programmi di diritto sindacale iniziano a partire dallo Statuto dei lavoratori (l’arcinota legge n. 300 del 1970 che poi è datata soltanto otto anni dopo il Protocollo).
Io non concordo con questa impostazione per diversi motivi. Innanzi tutto, perché lo Statuto non è un punto di partenza, ma di arrivo, per raggiungere il quale sono occorsi più di vent’anni di lotte e di sacrifici…
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