La vertenza contrattuale che riguarda complessivamente 3,9 milioni di addetti ai diversi settori dell’industria metalmeccanica ed elettrica in Germania, segna una discontinuità. Ci piaccia o no. Dopo anni di ragionevolezza e moderazione dettate dalla crisi economico-finanziaria, la IG Metall (il più grande sin- dacato al mondo per numero di iscritti) ha innestato la quarta. Non perché abbia radicalizzato la propria linea, abiurando il recente passato. Ma per un cambio di fase e di prospettiva, dovuta alla crescita di produttività del paese in modo diffuso. La priorità per anni, anche nella stabile Germania (oltre un autentico terrore della crescita dell’inflazione), è stata la difesa e la creazione di lavoro. Anche a costo di accordi di concessione e di contenimento delle richieste contrattuali (ricordiamo, ad esempio, che nel rinnovo del 2013 non ci fu aumento dei salari). Al punto che il Financial Times nel novembre del 2016 evidenziava, con un grafico illuminante, come le retribuzioni in Germania non fossero riuscite ad aumentare di pari passo con la produttività del lavoro, dando – in questo modo – alle imprese tedesche un vantaggio rispetto alla concorrenza estera…
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