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Perché ridurre la durata massima dei contratti a termine non spingerà il tempo indeterminato

Egregio Titolare,

 

dimostrato che gli imprenditori hanno ottime ragioni per decidere di assumere con contratti a tempo determinato invece che a tempo indeterminato, la domanda sorge spontanea: perché qualcuno pensa realmente che accorciare da 36 a 24 mesi la durata dei contratti a termine possa essere di spinta ai contratti a tempo indeterminato?

 

La prescrizione “inderogabile” è che “il contratto a tutele crescenti deve essere la forma privilegiata dalle imprese, e anche per questo servono limiti più stringenti ai contratti a termine”.

 

Nessuno, però, evidentemente vuole rendersi conto che se il contratto a termine costa meno, sia come cuneo che come fee per la fine del rapporto e che se le imprese navigano ancora in una ripresa nebbiosa ed incerta, tale da disincentivare impegni a lungo termine, i contratti stabili continueranno a languire.

 

Occorrerebbe far notare a chi propone di accorciare la durata massima dei tempi determinati da 36 a 24 mesi che l’idea non scalfirebbe minimamente l’attuale flusso delle assunzioni, perché non rende per nulla il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti maggiormente conveniente, né sul piano economico, né su quello della programmazione, visto che non incide minimamente sulle due grandi motivazioni che inducono le imprese a privilegiare le forme flessibili…

 

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Perché ridurre la durata massima dei contratti a termine non spingerà il tempo indeterminato
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