«I cosiddetti moderati sembrano gli ultimi giapponesi del liberismo, mentre il mondo sta andando da un’altra parte». Il riferimento è a Maurizio Sacconi, capogruppo al Senato del Nuovo Centrodestra, che ancora ieri a mezzo stampa è tornato all’attacco dell’articolo 18, in vista dell’incontro, domani, tra il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e i rappresentanti dei partiti di maggioranza per fare il punto sulla delega lavoro. Un provvedimento che in effetti non prevede alcun passaggio sull’articolo 18, i cui punti salienti sono piuttosto il contratto a tutele crescenti, l’introduzione del salario minimo garantito e la salvaguardia per gli ultimi esodati ancora «scoperti». Il colloquio con il presidente della commissione Lavoro alla Camera ed ex ministro (Pd) Cesare Damiano parte proprio da quest’ultimo punto.
Per il via libera alla sesta salvaguardia per gli esodati manca solo il sì del Senato, atteso nelle prossime settimane. Purtroppo, però, nemmeno questa tranche sarà risolutiva.
«La sesta salvaguardia riguarda 32.100 esodati. In origine il testo era molto più ambizioso, avendo l’obiettivo di risolvere radicalmente il problema; ma il fatto che l’Inps abbia valutato il costo di copertura dell’operazione in 47 miliardi da qui al 2022 ci ha bloccati. È vero che si tratta di una cifra tarata su calcoli di platee potenziali e non reali, ma anche diminuendola resterebbe troppo consistente. Abbiamo dovuto fare un compromesso, che comunque rappresenta un significativo passo avanti: le sei salvaguardie impegnano 11 miliardi e 600 milioni, per 172mila lavoratori sottratti allo scempio della riforma Fornero. A suo tempo l’Inps aveva calcolato un totale di 390mila esodati, numeri poi smentiti ma non sostituiti da altri. Noi comunque continueremo a batterci per la loro tutela, e per quella di tutti i lavoratori che vivono analoghe inaccettabili situazioni».
A chi si riferisce?
«Ad esempio agli insegnanti che non possono andare in pensione, pur avendo raggiunto i requisiti nel 2011, perché il ministro Fornero non ha considerato che l’anno scolastico non coincide con quello solare, bloccando in questo modo 4mila persone in uscita e altrettanti giovani che potrebbero entrare. Presenteremo sul tema un emendamento al prossimo decreto sulla Pa indicando nuove coperture, che credo verrà sottoscritto da tutti i gruppi. Io lo firmerò senz’altro, anche se la copertura non dovesse essere riconosciuta dalla Ragioneria».
Con la delega sul lavoro i moderati vogliono riaprire l’offensiva all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, peraltro già spuntato da precedenti provvedimenti: non lo trova un accanimento sorprendente?
«Sacconi e i suoi vogliono utilizzare la delega come un taxi, e questo non mi sorprende. La loro in realtà è una battaglia per esistere. Sorprende che si rispolveri un contenzioso ideologico, e che si dia a noi dei conservatori: il problema oggi non è eliminare l’articolo 18, ma abbattere il costo del lavoro per rendere appetibile per le imprese l’assunzione a tempo indeterminato. In questo senso è importante continuare con la diminuzione dell’incidenza dell’Irap, questo sì un nodo che interessa alle imprese. Siamo disponibili a consentire un periodo di prova, da 6 mesi fino a 3 anni, per poi far entrare un giovane con un contratto a tutele crescenti, che consiste nel dargli tutte le protezioni di cui gode il padre, articolo 18 compreso. Mi spieghino i moderati perché dovremmo creare due mercati del lavoro, perché dovremmo renderci complici della creazione di un apartheid. E mi spieghino anche che differenza ci sarebbe, allora, tra contratto a tempo determinato e a tempo indeterminato. Tra l’altro, con il decreto lavoro approvato a giugno è stata fornita più flessibilità alle imprese per quanto riguarda apprendistato e contratti a termine. Adesso, la delega in discussione al Senato deve ridare centralità al lavoro a tempo indeterminato, attraverso il contratto di inserimento».
L’introduzione del salario minimo la convince?
«Sì, se destinato al lavoro a progetto, a quello con voucher e per definire il costo standard del lavoro negli appalti al massimo ribasso. Non mi convince affatto, invece, se sostituisce il minimo stabilito con i contratti di categoria definiti dalle trattative sindacali. In sostanza, mi trova d’accordo se si traduce in una forma di protezione per tutti i lavoratori che non hanno un contratto di riferimento».
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Damiano: «Per le imprese abbattiamo l'Irap, non l'articolo 18»