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Bollettino ADAPT 14 ottobre 2019, n. 36
L’ampio dibattito suscitato dalle “disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali” (d.l. 3 settembre 2019, n. 101) ha messo in evidenza le molteplici potenzialità e criticità (si veda, da ultimo, la Nota del Direttore dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro del 30 settembre 2019) del testo normativo, con particolare riferimento alla disciplina del lavoro (non subordinato) tramite piattaforma.
Il decreto legge è entrato in vigore, come noto, solo in parte.
È certamente curioso (e verosimilmente anomalo rispetto a quanto previsto dall’art. 77, comma 2, Cost.) che un “provvedimento provvisorio con forza di legge”, recante disposizioni “urgenti”, entri in vigore, per una sua parte non secondaria, ma anzi cruciale (quella relativa alla “tutela del lavoro tramite piattaforme digitali”, finalizzata alla promozione di un’occupazione “sicura e dignitosa”), solamente decorsi 180 giorni dalla data in cui entrerà (se entrerà) in vigore la legge di conversione del d.l. (art. 1, comma 2, del d.l. 101/2019).
Un intervento normativo “urgente” che non entra immediatamente in vigore è, evidentemente, una contradictio in adiecto.
In ogni caso, oltre a porsi un possibile problema di legittimità costituzionale del d.l., si può forse ritenere che, con riferimento a tutto il testo della lettera c) dell’art. 1, comma 1, siamo di fronte ad una “norma apparente”, ad una sorta, potremmo dire, di bozza di lavoro, consegnata al dibattito politico e accademico, più che al mondo del diritto. Se è vero, infatti, che la legge non dispone che per l’avvenire, questo “avvenire” non dovrebbe essere incerto, come invece sembra che sia dal rinvio dell’entrata in vigore della disposizione ad un futuro che, ad oggi, non appare dalla certa individuazione.
Il fatto che questa porzione del d.l. sia, oggi, priva di forza di legge non è, peraltro, del tutto irrilevante in termini giuridici ed espone il sistema ad una grave incertezza interpretativa ed applicativa.
Invero, un effetto assai problematico di questo strano spacchettamento dei tempi di entrata in vigore della disciplina contenuta nel d.l., è dato dal fatto che attualmente, pur essendo già in vigore la parte espansiva dell’ambito di applicazione dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. 81/2015 sulla parasubordinazione etero-organizzata, il concetto di organizzazione della prestazione “mediante piattaforme anche digitali” resta privo di definizione normativa. L’art. 47-bis, comma 2, del novellando Capo V-bis del d.lgs. 81/2015, infatti, pur contenendo una disposizione definitoria estesa all’intero sistema del d.lgs. 81/2015, non è, ad oggi, giuridicamente efficace.
Come debba intendersi, dunque, oggi, l’allargamento della nozione di organizzazione “mediante piattaforme anche digitali” è materia consegnata all’interprete, non vincolato, per il momento, dalle limitazioni espressamente previste dal richiamato art. 47-bis, comma 2, norma che, ove confermata in sede di (eventuale) conversione del d.l., restringerebbe alla sola organizzazione delle “attività di consegna di beni” con fissazione del prezzo l’ambito di applicazione dell’ampliamento del meccanismo espansivo della “disciplina del rapporto di lavoro subordinato” quanto a “piattaforme digitali”.
Si noti, per inciso, che il problema non sussiste in ordine alle piattaforme “non digitali”, la cui definizione è (e resterà in futuro, ove il decreto dovesse essere convertito nel testo attuale) in ogni caso priva di una qualsivoglia definizione normativa.
La questione attiene, dunque, alle “piattaforme digitali”.
Come si preciserà meglio più oltre, la nozione di “piattaforma digitale”, per effetto della temporanea sterilizzazione dell’operatività dell’art. 47-bis, comma 2, è molto più ampia di quella che risulta, invece, da quest’ultima norma, che è, o, meglio, sarà (forse, un domani), molto più restrittiva.
Considerato che la ratio dell’intero impianto del d.l. sembra poggiare proprio sulla definizione di “piattaforma digitale”, contenuta in una parte del decreto allo stato inoperante, pare necessario evidenziare che l’ambito di applicazione attuale del nuovo testo del comma 1 dell’art. 2 del d.lgs. 81/2015 confligga con il sistema complessivo delineato dal d.l., il tutto con un significativo problema di coerenza e ragionevolezza dell’intervento normativo.
La questione interpretativa attiene innanzitutto al significato del concetto di sistema di organizzazione tramite piattaforma non digitale. La dottrina ha già cominciato a porsi questa domanda, evidenziando, correttamente, che un sistema di organizzazione del lavoro non digitale “potrebbe essere un «sistema di smistamento di chiamate telefoniche»” (così E. Dagnino, Note tecnico-giuridiche al decreto-legge 3 settembre 2019, n. 101, e i prevedibili impatti sul settore del delivery, working paper Adapt n. 4/2019, pag. 5).
Il significato proprio della parola “piattaforma”, di per sé, non è particolarmente eloquente; se si esclude il linguaggio dell’informatica, dove la “piattaforma” tende ad essere identificata con la “struttura elaborativa rappresentata dall’hardware e dal sistema operativo di un computer”, il termine ad altro non si riferisce se non ad una superficie piatta (dall’evidente calco Francese sulla parola composta plate-forme; cfr., tra i tanti, il Vocabolario Treccani della Lingua italiana. Sul termine “piattaforma” si vedano le interessanti considerazioni di A. Casilli, En attendant les robots. Enquête sur le travail du clic, Paris, Seuil, 2019).
Più in astratto, la prestazione può dirsi organizzata, in senso lato, quando chi organizza il lavoro si avvale di modalità e procedure che possono avere la natura più varia.
Nella stragrande maggioranza dei casi, oggi, l’organizzatore si avvale “di un computer”. Semplificando, ad esempio, quando in una scuola si deve definire l’orario ad inizio anno, o qualcuno lo fa completamente a mano, magari ritoccando l’orario dell’anno precedente (verosimilmente avvalendosi quantomeno di un foglio “Excel”), oppure usa un programma/applicazione software che produce una bozza di orario su cui poi aggiunge dei ritocchi a mano.
Possiamo dire che nel determinare gli orari scolastici “le modalità di esecuzione della prestazione sono organizzate mediante piattaforma anche digitale”?
La risposta, verosimilmente, stando al solo testo della parte aggiunta al primo comma dell’art. 2 del d.lgs. 81/2015, sembra dover essere affermativa.
Se, tuttavia, volessimo considerare il testo dell’art. 47-bis, comma 2 (che, forse, sarà introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. c) del d.l. 101/2019), dovremmo considerare come piattaforme digitali “i programmi e le procedure informatiche delle imprese che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, organizzano le attività di consegna di beni, fissandone il prezzo e determinando le modalità di esecuzione della prestazione”.
Il testo pone un primo problema: qual è il soggetto del predicato verbale “organizzano le attività”? Sono le imprese che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, organizzano le attività, o, invece, si deve intendere che sono le piattaforme digitali, cioè “i programmi e le procedure” usati dalle imprese (o, comunque, di cui le imprese si avvalgono, magari in outsourcing), ad organizzare le attività?
Accedere alla prima o alla seconda interpretazione non è indifferente, se solo si consideri che esistono, oggi, procedure informatiche ad alto grado di autonomia, definite “intelligenze artificiali” capaci di prendere decisioni in modo autonomo. Un’interpretazione letterale del testo potrebbe indurre a ritenere che il perno della definizione poggi sull’impresa, soggetto che organizza le attività di consegna di beni, fissandone il prezzo e determinando le modalità di esecuzione della prestazione, attraverso programmi e procedure informatiche, senza che rilevi il carattere di maggiore o minore autonomia tecnologica della “piattaforma digitale”.
Se questo è il significato da attribuire alla “norma” si deve concludere, esemplificando, che usare un foglio “Excel” al posto di carta e penna per preparare i turni dei fattorini (se consegnano beni, naturalmente) implica il far uso di un “programma informatico” per organizzare le attività, donde la fattispecie dovrebbe rientrare nella definizione data dall’art. 47-bis.
Qualsiasi impresa, inoltre, organizza le modalità di esecuzione delle prestazioni facendo uso di un qualche strumento software, ad esempio digitalizzando le bolle di consegna, aggiornando automaticamente i dati dello storico di consegne per un cliente, o fissando in un calendario digitale le date di consegna previste. In altri termini, l’organizzazione delle attività e delle modalità di esecuzione delle prestazioni, al giorno d’oggi, passano sempre (o quasi) attraverso “programmi e procedure informatiche”, in (quasi) tutte le imprese.
L’intenzione del legislatore, verosimilmente, è un’altra, come si deduce dalla lettura del comma 1 del progettato testo dell’art. 47-bis, ove si predispone una “[…] tutela per i lavoratori impiegati nelle attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore […] attraverso piattaforme anche digitali”. Da questo testo emerge che ciò che il legislatore ritiene cruciale è l’impiego di lavoratori tramite piattaforme, intendendo, in questo senso, riferirsi alla gestione del lavoro tramite procedure automatizzate, cioè tramite procedure (software, programmi, applicazioni, algoritmi, o quant’altro, da intendersi come sinonimi) che sostituiscono l’intermediazione umana che solitamente collega/mette in contatto chi richiede il bene con chi lo consegna.
La locuzione “piattaforma digitale” non è univocamente definita nemmeno in informatica. Si potrebbe descrivere come un insieme di strumenti informatici (sia hardware che software) che, come una scatola di attrezzi, permettono di sviluppare ed eseguire delle applicazioni. In altri termini si tratta di una sorta di infrastruttura informatica, che abilita allo sviluppo di applicazioni. Ad esempio si parla di “piattaforma Java” perché “Java” non è solo un linguaggio di programmazione ma una serie di strumenti software che realizzano l’ambiente di sviluppo e l’ambiente di esecuzione dei programmi scritti in linguaggio “Java”. Altro esempio è la “piattaforma Rousseau”, che è un’infrastruttura software che gestisce la comunicazione tra gli iscritti abilitando lo sviluppo di servizi come la votazione online degli iscritti medesimi.
Questo secondo esempio, pur essendo più lontano dal concetto usato in informatica, è più vicino a quello che, verosimilmente, intende il legislatore del d.l. 101/2019.
Nella fattispecie oggetto del decreto legge, le imprese in questione (in genere), non usano un software / programma / procedura, ma un insieme di software/programmi/applicazioni che cooperano e realizzano un “ambiente di sviluppo” di servizi digitali, in questo caso di servizi di intermediazione tra chi richiede un bene e chi lo consegna. In questo senso è corretto che la norma non parli di “organizzazione delle attività tramite un software/programma/procedura”, perché il caso di un singolo software/programma/procedura sarebbe bypassabile.
La parola chiave che manca, in questo decreto legge, è intermediario, cioè il fatto che le imprese realizzino un’attività di intermediazione tramite strumenti software.
Questo problema è particolarmente evidente se si compara il testo italiano con la normativa francese, che invece di esprimersi in termini di organizzazione delle attività di consegna di beni attraverso piattaforme digitali, intese come “programmi e procedure informatiche […] che determinano le modalità organizzative”, utilizza la diversa formulazione di “impresa che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, opera in qualità di operatore di piattaforma mettendo le persone in relazione a distanza, per via elettronica, in vista della vendita di un bene, della fornitura di un servizio o dello scambio o condivisione di un bene (così l’Art. 242-bis del Code général des impôts, nel testo come modificato nel 2018 e richiamato dall’Art. L. 7342-1 del Code du Travail ai fini dell’operare della “responsabilità sociale” delle piattaforme).
L’operatore di piattaforma (che rappresenta una qualifica precisa per un’impresa), è definito dalla normativa francese come intermediario digitale, cioè infrastruttura software che mette in relazione persone. Non è secondario sottolineare che la normativa francese prosegue facendo riferimento al termine “transaction”, che è un altro termine con una chiara connotazione informatica: una transazione è la traccia del compimento di un’azione, come uno scambio tra un richiedente e un fornitore di un bene o un servizio. In qualche modo si può dire che un intermediario digitale “produce” transazioni.
Volendo tentare di fornire uno spunto per il miglioramento del testo “normativo”, posta la critica rispetto alla definizione della “piattaforma digitale” in termini di “programmi e procedure informatiche delle imprese che […] organizzano le attività”, si può suggerire, valorizzando l’esperienza d’oltralpe, il ricorso a termini più appropriati come “operatore di piattaforma” e “mettere persone in relazione a distanza, per via elettronica”, nella prospettiva di focalizzare l’attenzione sul fenomeno dell’intermediazione digitale (cfr. S. Quintarelli, Capitalismo immateriale. Le tecnologie digitali e il nuovo conflitto sociale, Bollati Boringhieri, 2019).
Andrea Sitzia
Professore Associato di Diritto del Lavoro
Università degli Studi di Padova
Silvia Crafa
Ricercatore confermato di Informatica
Università degli Studi di Padova