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Bollettino ADAPT 3 aprile 2023, n. 13
Molti dei nodi organizzativi e gestionali del PNRR italiano sembrano giunti al pettine negli ultimi giorni. Il governo ha ammesso diverse difficoltà arrivando anche a sostenere come sarà impossibile beneficiare della totalità delle risorse teoricamente a disposizione perché non verranno rispettati i tempi comunicati all’Europa. Non è questo il luogo nel quale ripercorrere tutte le cause che hanno portato a questa situazione, la cui gravità è facile da intuire. Piuttosto è interessante, stimolati da un recente rapporto Eurofound analizzato proprio in questo Bollettino (vedi V. Virgili, Il coinvolgimento delle parti sociali nell’implementazione dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza: evidenze dall’ultimo report Eurofound ), approfondire quale sia stato il coinvolgimento delle parti sociali e dei territori nell’implementazione del PNRR e se questo possa aver influito sugli esiti.
Sappiamo infatti che il governo ha cancellato il “Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale” che era stato istituito dal Dpcm 14 ottobre 2021 avente funzione consultiva sulle diverse materie connesse all’attuazione del PNRR con la specifica di un suo intervento per favorire il superamento di circostanze che rendessero difficile o bloccassero l’attuazione degli interventi. Questa funzione era possibile, almeno sulla carta, dal momento in cui nel tavolo erano coinvolti i rappresentanti delle parti sociali, del Governo, delle Regioni, delle Province autonome, degli Enti locali, di Roma capitale, delle categorie produttive e sociali, del sistema dell’università e della ricerca, della società civile e delle organizzazioni della cittadinanza attiva. Da un lato una così grande eterogeneità di soggetti potrebbe spaventare, portando ad immaginare un consesso difficilmente operativo e flessibile, in grado di intervenire sui diversi dossier aperti, soprattutto per il fatto che si trattava di un tavolo nazionale, difficilmente in grado di supportare a livello locale gli interventi che necessitavano accompagnamento. Dall’altro, però, quanto si sta sempre più chiarendo nelle ultime settimane potrebbe suggerire altro. Infatti tra i limiti emersi nella capacità di portare a compimento, o almeno avviare, gli interventi locali per cui già sono stati stanziati i finanziamenti c’è quello che questo processo è sostanzialmente affidato ai comuni che però non hanno le capacità per riuscire ad attuarlo. A questo si aggiunge il fatto che spesso i comuni, soprattutto quelli piccoli, non hanno una piena autonomia politica, nella misura in cui sono parte di un ecosistema territoriale complesso partecipato da molti soggetti, proprio quelli che siedono nel Tavolo permanente.
Per questo un coinvolgimento territoriale dei soggetti coinvolti potrebbe aiutare nella soluzione di quelle complesse situazioni di impasse che bloccano gli interventi e che probabilmente continueranno a bloccarli. Allo stesso tempo una condivisione delle competenze specifiche tra diversi soggetti che le possiedono, con il monitoraggio di un soggetto esterno come il tavolo, potrebbe aiutare a risolvere situazioni di finanziamenti che non hanno il personale per portarli avanti. Chiaramente non si tratta di una soluzione che facilmente interviene e risolve il problema che è complesso e radicato su molte storture del nostro Paese. E soprattutto è chiaro che così come era pensato, il Tavolo era destinato all’inefficienza data dalla sua natura nazionale, quando ciò che serve è proprio la costruzione di tavoli territoriali. Ma pensare che una maggior efficienza si possa raggiungere attraverso un processo di disintermediazione che, attraverso una supposta governance centrale forte, agisca e risolva i problemi che si verificano a livello locale è un approccio destinato a fallire, e il rischio di buttare il bambino con l’acqua sporca è dietro l’angolo. Al contrario, andrebbe ancor di più rafforzato, con una forte declinazione a livello territoriale nella forma dei Patti o di altre reti locali, il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati a che il PNRR funzioni. Questo è qualcosa che sta accadendo in alcuni territori per quanto riguarda i capitoli del lavoro e della formazione, e avremo modo di valutare gli esiti, ma dovrebbe essere allargato anche agli altri capitoli di intervento, perché lavoro e crescita economica non sono certo distinti da capitoli quali infrastruttura, innovazione tecnologica o interventi ambientali.
Il mero coinvolgimento degli enti locali potrebbe far pensare ad un approccio non centralista ma, al contrario, si tratta dell’illusione che tutto possa essere portato a termine dalla sola ramificazione territoriale dello Stato, senza un vero approccio sussidiario che si declina invece in una vera azione di co-progettazione dei diversi soggetti che i territori possono offrire, non andremo lontano. Tutto questo si scontra con una struttura della rappresentanza che a livello regionale è spesso debole e non organizzata, e quindi di un disallineamento tra le strutture veramente operative sul territorio (quelle provinciali) e un indebolimento della corrispondente dimensione amministrativa, con un rafforzamento della dimensione regionale che spesso risulta indebolita nella sua efficacia da una eccessiva eterogeneità territoriale nel suo interno. Il PNRR poteva essere, per la sua spinta riformatrice (almeno nelle intenzioni) anche occasione per intervenire su questo scollamento.
Francesco Seghezzi
Presidente Fondazione ADAPT
Scuola di alta formazione in Transizioni occupazionali e relazioni di lavoro