Sì a interventi sulle pensioni alte per finanziare le misure a sostegno degli esodati. No all’abolizione dell’articolo 18: basta il contratto di inserimento. Lo spiega al Corriere il Ministro Poletti.
Ministro, il Nuovo centrodestra vuole togliere l’articolo 18 ai nuovi assunti. Lei che dice? «Che se ci infiliamo nel solito braccio di ferro sull’articolo 18 non portiamo a casa nulla risponde il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti -. E che invece c’è bisogno di un cambiamento di passo culturale che recuperi il valore positivo dell’impresa, come infrastruttura sociale indispensabile per la crescita e la creazione di lavoro. Quindi più che partire dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, cioè dai licenziamenti, sarei per partire dall’articolo 41 della Costituzione che tutela l’impresa e le sue finalità sociali e dall’articolo 46 che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione dell’azienda. Dobbiamo cioè uscire dal vecchio conflitto impresa-lavoro e ragionare su partecipazione responsabile, condivisione, cooperazione».
Quindi non può essere l’abolizione dell’articolo 18 il «segnale forte» chiesto dal presidente della Bce, Mario Draghi, al presidente del Consiglio, Matteo Renzi? «No. Oltretutto sarebbe in contraddizione con la linea decisa dal governo. Se avessimo voluto togliere l’articolo 18 lo avremmo fatto con il decreto col quale siamo intervenuti su contratti a termine e apprendistato. Invece noi abbiamo scelto una strategia in due tappe: il decreto appunto e il disegno di legge delega nel quale affronteremo tutti gli aspetti del mercato del lavoro, riscrivendo lo statuto, come ha detto Renzi, dagli ammortizzatoti alla revisione dei contratti, compresa l’introduzione del contratto di inserimento a tutele crescenti». Quello che dovrebbe consentire il licenziamento nei primi tre anni.
Ma perché le imprese dovrebbero ricorrervi, se possono già utilizzare il «suo» contratto a termine senza causale, sempre per la durata di tre anni? «Infatti, questo è un tema importante. Non basta introdurre il contratto a tutele crescenti, se non si rende il contratto a tempo indeterminato, e il contratto a tutele crescenti lo è, un contratto meno oneroso per l’impresa, alleggerendo il carico fiscale e contributivo».
In ogni caso si va verso un approfondimento del solco tra nuovi assunti e chi invece lavora con la garanzia dell’articolo 18. «Sì, c’è un problema su questo versante e andrà approfondito. Favorire la convenienza dei contratti a tempo indeterminato sarebbe già una prima risposta. Credo che lavoreremo su questo».
E togliere del tutto l’articolo 18? «Non lo chiede nessuno nella maggioranza». Sempre Ncd chiede un emendamento alla legge delega per strutturare da subito questo nuovo contratto. «Nel disegno di legge delega il contratto di inserimento è previsto in forma sperimentale. Credo che sia sufficiente. E anche i tempi previsti sono rapidi. I decreti di attuazione della delega arriveranno al massimo entro sei mesi». Restiamo ai giovani.
Che risultati si attende dal programma europeo Youth Guarantee? «Siamo partiti a maggio. In quattro mesi si sono iscritti già 16o mila giovani ai quali daremo una risposta in termini di formazione, tirocinio, stage o opportunità di lavoro».
Non crede siano pochi, considerando 2 milioni di giovani che non lavorano e non studiano? «No. Tenga conto che è la prima volta che si fa una cosa così in Italia. Piuttosto sono preoccupato perché ancora una volta sta emergendo la difficoltà del Sud di mettere in campo iniziative adeguate alle molte iscrizioni di giovani al programma».
Ministro, la disoccupazione, non solo giovanile, è molto alta. E ci sono centinaia di migliaia di lavoratori in cassa integrazione. Se ci sarà la ripresa, una parte di questi rientrerà al lavoro, una parte sarà nel frattempo andata in pensione, un’altra parte rischia di finire esodata, senza lavoro né pensione. Lei ha promesso un «ponte» per costoro verso la pensione. Di che si tratta? «Questo è il tema che abbiamo in lavorazione, ma è strettamente legato alle risorse che avremo a disposizione. Stiamo elaborando opzioni diverse in vista della legge di Stabilità. Dovremo vedere in che misura distribuire il costo di questo piccolo ponte o scivolo che dir si voglia tra lavoratori, imprese e fiscalità generale».
Tra le ipotesi allo studio c’è anche il «prestito pensionistico»: il lavoratore cui manchino 2-3 anni alla pensione prende un anticipo di 6-700 euro che poi restituirà in piccole rate al raggiungimento dell’età pensionabile? «Si tratta di un’ipotesi che aveva formulato il mio predecessore, Enrico Giovannini, e che stiamo valutando insieme ad altre».
Queste ipotesi riguardano solo i lavoratori delle aziende in crisi o potrebbero esserci interventi più generali per reintrodurre elementi di flessibilità nell’età pensionabile? «Naturalmente partiamo dalle situazioni di emergenza e quindi dai lavoratori delle aziende in crisi. Ma stiamo valutando anche misure di flessibilizzazione, che però non mettano in discussione le attuali età di pensionamento, nel senso che chi volesse uscire uno o due anni prima verrebbe penalizzato. Anche qui bisognerà vedere che risorse avremo a disposizione».
Per intervenire a favore di chi resta senza lavoro e pensione si potrebbe creare anche a un ammortizzatore sociale universale? L’Aspi ancora non lo è, lascia fuori i lavoratori precari. «Nella delega stiamo lavorando su un ammortizzatore universale. Ma va risolto il problema di chi lo paga. Dovrebbero farlo le imprese, anche quelle che finora non lo hanno fatto, ma poi ci vorrebbe un intervento a carico della fiscalità generale. E qui torniamo al problema delle risorse».
Ministro, lei è favorevole o contrario a un contributo di solidarietà sulle pensioni alte o al ricalcolo delle pensioni col metodo contributivo per intervenire su quelle che sono esageratamente alte rispetto ai contributi versati? Ci sono ipotesi allo studio su questo? «Sono favorevole a interventi di questo tipo a patto che siano collegati agli interventi di cui ho parlato prima a sostegno dei lavoratori che altrimenti rischierebbero di finire esodati. Credo cioè che le risorse eventualmente recuperate con un contributo di solidarietà o con il ricalcolo contributivo dovrebbero restare nel sistema previdenziale in una logica di solidarietà per chi soffre di più. Ipotesi se ne sono fatte tante in passato. Adesso bisognerà fare delle scelte».
Ma le pensioni alte sono così poche che si raccoglierebbero briciole. «Dipende da dove si fissa l’asticella». Un’ultima domanda sulla prossima legge di Stabilità. Dopo il bonus a favore dei lavoratori, le imprese reclamano un taglio consistente dell’Irap.
Ci sarà? «L’Irap va ridotta perché oltretutto ha l’insana caratteristica di colpire le imprese a più alta intensità di lavoro. Ma anche qui non si scappa: dovremo fare i conti con le risorse disponibili».