Politically (in)correct – Alla ricerca del reddito di cittadinanza perduto

Bollettino ADAPT 8 luglio 2019, n. 26

 

Per evitare la procedura di infrazione il governo ha effettuato – attraverso la forma pudica di un assestamento di bilancio – un taglio di 7,5 miliardi che ha ridotto il deficit di bilancio di una misura ritenuta congrua dalla Commissione. Nell’atto di contrizione sono ricompresi risparmi di 1,5 miliardi provenienti dagli stanziamenti (in due appositi Fondi comunicanti presso il ministero del Lavoro) destinati alle due misure-bandiera contenute nel contratto di governo: il reddito di cittadinanza (RdC), quota 100 e gli interventi minori in materia di pensioni. Rispetto alle valutazioni prospettiche che sono state compiute da molti osservatori, probabilmente i risparmi saranno più consistenti, ma è stato opportuno non smobilitare, a metà anno, il finanziamento di due istituti che potrebbero avere ancora qualche sussulto di permanenza in vita. 

 

Poi vi sono state recentissime modifiche legislative alla disciplina del RdC che potrebbero ampliare la platea dei beneficiari. Il c.d. decreto crescita ora convertito in legge ha disposto che il calcolo dell’ISEE (che resta il requisito basilare per avere accesso al RdC) possa fare riferimento – se più conveniente per i cittadini – al reddito e al patrimonio del primo anno precedente (e non solo, quindi, del secondo anno precedente). In questo modo si risolvono i problemi per i richiedenti che avevano lavorato nel 2017 cui, di fatto, era precluso l’accesso al beneficio. Pertanto, la valutazione delle domande sulla base del reddito corrente consentirà ai disoccupati in situazioni particolari, dunque anche se percettori di sussidio o disoccupati da oltre 18 mesi, di ottenere il RdC

 

E’ tuttavia illusorio ritenere che tale modifica possa ampliare più di tanto la copertura prefigurata per un istituto assistenziale che avrebbe dovuto eliminare la povertà. La discrepanza tra i residenti considerati in condizione di povertà assoluta (con le loro famiglie) e il numero dei beneficiari dell’assegno resta rilevante. Un bilancio di questi primi mesi è stato compiuto da Natale Forlani per Itinerari previdenziali (l’autorevole Centro Studi che si è assunto il compito di smentire la fake news in circolazioni in materia di politiche sociali). Purtroppo i dati, comunicati dall’Inps, su cui è possibile lavorare non sono aggiornati, ma risalgono a fine maggio.  Le domande inoltrate a quella data sono state 1,252 milioni. Di queste: 960mila quelle lavorate, 674mila quelle accolte, 277mila quelle respinte, circa 9mila quelle da verificare ulteriormente. Poco meno di 300mila vengono classificate “da elaborare”.  Circa 170mila domande sono state inoltrate da cittadini di origine estera, tra queste 128mila arrivano da parte di extra-comunitari (il cui destino è assai precario, dal momento che, oltre a risiedere da almeno 10 anni, devono documentare anche la situazione patrimoniale di cui dispongono in patria, senza che siano ancora stati emanati i decreti riguardanti le modalità). Sono circa 2 milioni le persone appartenenti ai nuclei familiari che hanno ricevuto il riconoscimento della prestazione. Le percentuali di distribuzione territoriali delle domande inoltrate sono in buona sostanza simili a quelle rilevate nei precedenti aggiornamenti, con grande prevalenza, il 57%, delle richieste provenienti dalle regioni del Sud e delle Isole.

 

 

Sempre l’Istituto fa sapere che la prestazione media per nucleo familiare è intorno ai 540 euro, mentre è di 210 euro il valore medio delle pensioni di cittadinanza erogate, circa 81mila

 

Niente viene comunicato sulla struttura dei nuclei familiari, sui minori coinvolti, sul numero dei non autosufficienti e sulle potenziali persone da coinvolgere nelle politiche attive del lavoro e nei progetti di inclusione sociale. La cosa – secondo Forlani –  non deve destare sorpresa. Era già del tutto evidente che lo sforzo primario delle istituzioni e dell’ente erogatore sarebbe stato concentrato sull’erogazione dei sussidi a prescindere dalla concreta possibilità di mettere a punto un sistema di controllo ragionevole dei requisiti dei percettori e della gestione congiunta delle informazioni tra istituzioni ed enti competenti per la messa a punto dei servizi dedicati all’inserimento lavorativo e sociale. C’è quindi da presumere che, prima o poi, la verifica sarà compiuta e si porranno problemi di prestazioni non dovute. Il che solleverà un mare di polemiche perché nessuno vorrà restituire l’indebito. I talk show ci andranno a nozze. Sempre che non si muova prima la Guardia di Finanza che periodicamente monitora le regolarità delle certificazioni ISEE. 

 

C’è poi – la si vede ad occhio nudo –  la virtualità (salvo che per le assunzioni dei navigator) dell’avvio delle politiche attive attraverso i Centri per l’Impiego. E’ questa – sostiene Forlani – una criticità che mina la credibilità e l’efficacia del RdC. Gli scopi dichiarati dai proponenti erano principalmente due: attivare una massiccia politica attiva del lavoro e scoraggiare gli atteggiamenti opportunistici sanzionando i rifiuti delle offerte di lavoro, ovvero il diniego a partecipare ai programmi di formazione e per i lavori socialmente utili, con la perdita dei sussidi. Tutto ciò appartiene ancora all’immaginario.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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