Politically (in)correct – Ancora in tema di efficacia erga omnes dei contratti collettivi

Bollettino ADAPT 3 maggio 2021, n. 17

 

Nel numero scorso del Bollettino ho commentato un articolo apparso sul lavoce.info del 7 di aprile, Se 866 contratti vi sembrano pochi?, a firma di Lucia Valente, – giuslavorista di vaglia e già assessore al Lavoro della Regione Lazio – nel quale veniva affrontata la questione ormai storica dell’estensione erga omnes dei contratti collettivi (segnatamente, come si arguisce dal titolo) allo scopo di contrastare la diffusione dei c.d. contratti pirata. Dell’articolo ho condiviso la premessa: è illusorio cercare una scorciatoia, aggirando l’articolo 39 della Costituzione, per attribuire una efficacia generale ai contratti di lavoro stipulati nell’ambito del diritto comune da parte di associazioni costituite ai sensi degli articoli 36 e seguenti del codice civile. È noto, infatti, che prima dello sviamento dell’attività legislativa imposto dalla pandemia, era in corso, in Senato, un dibattito rivolto ad affidare questa funzione all’articolo 36 della Carta, ampliando il concetto di retribuzione “proporzionata” e “sufficiente” fino a ricomprendere il trattamento economico complessivo previsto nei contratti stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative.

 

Lucia Valente, invece, affronta di petto l’esigenza ineludibile di riformare l’articolo 39, limitatamente al testo del comma 4 con le seguenti parole: “La legge stabilisce i requisiti affinché il contratto collettivo sia efficace in tutta la categoria alla quale esso si riferisce”. In attuazione di questa nuova norma costituzionale il legislatore ordinario – secondo Valente – potrebbe  indicare che: a) nel caso di conflitto fra due contratti collettivi riferiti alla stessa categoria, si applichi quello le cui associazioni firmatarie su entrambi i lati siano maggiormente rappresentative, secondo i criteri del Testo unico del 2014; b) nel caso in cui, nell’ambito di una categoria per la quale è stato stipulato un contratto collettivo nazionale con efficacia generale, venga stipulato un nuovo contratto collettivo riferito a una categoria più ristretta, la verifica della maggiore rappresentatività, effettuata sempre secondo gli stessi criteri, deve essere riferita alle imprese e ai lavoratori appartenenti a quest’area.

 

Nel commento precedente mi sono permesso di osservare che la modifica del comma 4 lascerebbe inalterate le prescrizioni di cui ai commi 2 e 3, sottoponendo le organizzazioni ad adempimenti estranei al profilo giuridico e fattuale che ne ha contraddistinto il ruolo svolto dal dopoguerra ad oggi. Lungo questo percorso si arriverebbe – a mio avviso e con l’aggravante della ossificazione legislativa – al medesimo stallo a cui è pervenuta l’applicazione del Testo Unico, in più dando corso ad un possibile contenzioso giudiziario sull’interpretazione delle norme attinenti al riconoscimento della rappresentatività. Così, se attualmente il sistema funziona, sia pure con problemi, sulla base del principio del reciproco riconoscimento – legittimo in un regime di diritto comune – ben più complicate diverrebbero le relazioni se fosse la legge a stabilire quali siano gli interlocutori “necessari”, perché abilitati a fregiarsi delle stimmate della maggiore rappresentatività. A questo punto però mi corre l’obbligo di avanzare delle proposte.

 

Quando ero deputato e vice presidente della Commissione Lavoro nella XVI Legislatura presentai, come primo firmatario, una proposta di legge costituzionale di riforma dell’articolo 39 che ne riscriveva il testo ad eccezione del fondamentale comma 1 (“L’organizzazione sindacale è libera’’). Il pdl consisteva in un solo articolo che riproduco:

 

PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

L’articolo 39 è sostituito dal seguente:

«Art. 39. – L’organizzazione sindacale è libera.

I sindacati e le associazioni imprenditoriali promuovono ed esercitano la contrattazione collettiva secondo i principî dell’autonomia e del reciproco riconoscimento.

Con decreti legislativi adottati ai sensi dell’articolo 76, il Governo può attribuire agli accordi e ai contratti collettivi, stipulati da associazioni dei datori di lavoro e da organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale, efficacia obbligatoria per tutti i lavoratori ai quali gli accordi e i contratti si riferiscono».

 

In sostanza, l’idea era (e resta) quella di una “costituzionalizzazione” dei principi e delle finalità alla base della legge n.741 del 1959; una legge delega – per sua natura di durata predeterminata – che consentì al Governo di allora di recepire, all’interno di decreti legislativi, gran parte dell’attività contrattuale di diritto comune, espletata nel dopoguerra fino a quella data; ciò, allo scopo di definire trattamenti economici e normativi minimi per tutti i lavoratori. Pur in presenza della norma costituzionale inattuata, la Consulta non sanzionò quella legge, come fece – correttamente – con una proroga che, ad avviso dei giudici delle leggi, tendeva a mantenere un sistema di estensione erga omnes dei contratti collettivi non conforme a quanto previsto dall’articolo 39. La proposta di revisione contiene, a mio avviso, tutti gli aspetti essenziali, compresa la riconferma del principio del reciproco riconoscimento (che è stato il caposaldo dell’ordinamento sindacale in assenza di una regolamentazione legislativa del criterio della rappresentatività). Un principio che rimane il presupposto della libertà sindacale e la via maestra di una prassi negoziale esercitata nell’ambito del diritto privato.

 

Ovviamente la legge ordinaria di attuazione dovrebbe essere diversa da quella del 1959, nel senso che il recepimento dei contratti collettivi tramite lo strumento della delegazione, sarebbe affidato alla discrezionalità del governo (a ciò delegato dal Parlamento) non necessariamente ad ogni tornata contrattuale, ma ogniqualvolta se ne riscontri l’opportunità, in coerenza con gli obiettivi di politica economica e salariale o per contrastare il dumping sociale. Una norma siffatta avrebbe anche un consistente effetto di moral suasion nei confronti delle parti sociali, inducendole a tener conto sia dell’adeguatezza che della sostenibilità dei rinnovi contrattuali. Senza derogare dai principi costitutivi dell’ordinamento sindacale italiano.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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