Bollettino ADAPT 17 giugno 2019, n. 23
“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico”. Nella società del web e del furore dei social, nell’epoca della peggiore tirannia travestita da democrazia diretta, mentre il Paese è prossimo al collasso, dove sono spariti i partiti e le associazioni di volontariato sono considerate covi del malaffare, dove uno è più uguale di uno e la solidarietà è una colpa, da alcuni mesi si avvertono segnali di cambiamento (in questo caso vero perché si ritorna ai valori classici di libertà e di giustizia che non tramontano mai): è ridisceso in campo il sindacato.
Dall’inizio dell’anno, dopo aver incassato un’umiliante emarginazione durante il percorso della legge di bilancio (sui contenuti della quale Cgil, Cisl e Uil non furono nemmeno consultate) si sono sviluppate una serie di iniziative di lotta: dalla manifestazione del 9 febbraio a quella dei pensionati, dalla mobilitazione del pubblico impiego fino allo sciopero dei metalmeccanici. Già i vertici confederali ipotizzano uno sciopero generale in autunno.
Il nuovo scenario che si sta man mano costruendo non era affatto scontato. L’esito del voto del 4 marzo aveva completamente rovesciato il quadro politico e sociale all’interno del quale, nel bene come nel male, erano convissuti i protagonisti della storia repubblicana. I gruppi dirigenti sindacali avevano perduto ogni tradizionale riferimento politico e, soprattutto, scoprivano, con rammarico, sorpresa e preoccupazione, di avere nelle proprie file ingenti infiltrazioni degli avversari, se non addirittura delle vere e proprie “quinte colonne”.
Ma il dramma non si esauriva a questo punto: le forze antisistema avevano saccheggiato le parole d’ordine, i programmi delle organizzazioni sindacali, tanto che uno dei dirigenti sindacali più brillanti – Marco Bentivogli – si era chiesto se non fosse stato il populismo di matrice sindacale a tirare la volata a quello di natura politica. Come sempre, l’attenzione era rivolta alla Cgil, l’organizzazione più importante, quella che più aveva risentito dello smottamento di settori della sinistra verso il “grillismo”, e che si avviava a cambiare il proprio gruppo dirigente nell’ambito del Congresso in corso di svolgimento, con due candidati alla segreteria generale. Al di là delle tattiche elettorali: Maurizio Landini e Vincenzo Colla. Gli osservatori – compreso chi scrive – sono stati indotti da vecchi schemi mentali a considerare il primo (e favorito) come possibile protagonista di un avvicinamento tra il Pd, le forze (anzi, le debolezze) alla sua sinistra e il M5S; mentre il secondo era ritenuto più ostile verso l’andazzo circolante nella Penisola. Vinse Landini (sulla base di un accordo politico con Colla).
I fatti hanno dimostrato ancora una volta che i giudizi sulla capacità di un dirigente di esercitare un ruolo nuovo ed importante vanno dati quando lo si è visto alla prova del fuoco. Landini si sta rivelando all’altezza dei compiti assegnati. Nessun segretario, prima di lui, aveva dovuto muoversi in un contesto così complicato in cui un governo sfidi il sindacato sul terreno della demagogia, avendo già aperto dei varchi importanti nella sua base. La Cgil, insieme alle altre Confederazioni, non si è lasciata irretire nella trappola di quota 100 e del reddito di cittadinanza. La stessa presa di distanza vi è stata con il salario minimo garantito, nonostante che il disegno di legge Catalfo raccogliesse ogni possibile istanza proveniente dal mondo sindacale tradizionale per quanto riguarda la rappresentanza, la rappresentatività e l’efficacia dei contratti.
Poi ci sono le iniziative di lotta effettuate e quelle annunciate. Si può dichiarare all’infinito che il sindacato sciopera “per” e non “contro”. Ma durante la Prima Repubblica i governi rassegnavano il mandato in presenza della dichiarazione di uno sciopero generale. In ogni caso – anche se le rivendicazioni sindacali hanno un colore rosso antico – Cgil, Cisl e Uil saranno in campo in autunno. E saranno diverse e contrarie alle possibili scelte che contrastino con la permanenza dell’Italia in Europa e nell’euro. In questa battaglia cruciale i sindacati rappresentano la “Vecchia Guardia”. È sorprendente il prestigio che Maurizio Landini gode tra i lavoratori. Come ultimo atto da segretario della Fiom riuscì ad ottenere un consenso ampio su di un rinnovo contrattuale che, qualche anno prima, avrebbe respinto chiamando quegli stessi lavoratori a scioperare. Da leader della Cgil ha preso in parola quegli iscritti che aveva incontrato in un autogrill nei pressi di Pescara, i quali avevano ammesso di aver votato Lega, ma lo invitavano a non fare sconti al governo giallo-verde.
Chiude il cerchio virtuoso la visita di Maurizio Landini in Vaticano, con le nobili parole del comunicato finale: “Francesco e Landini contro le ideologie della paura e della divisione. Si rischiano derive autoritarie”. Chapeau.
Membro del Comitato scientifico ADAPT