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Lo ammetto. Non mi aspettavo che la Confindustria e le Confederazioni storiche – con un ultimo colpo di reni dopo mesi di melina – arrivassero, il 28 febbraio scorso, a sottoscrivere il testo di un accordo sulle relazioni industriali poche ore prima dell’apertura dei seggi elettorali (anche se le ratifiche avverranno nella prossima settimana). È stato un atto di coraggio e di dignità; come tale va riconosciuto al di là del merito.
In una campagna elettorale nella quale è emerso di tutto e del suo contrario, ma nulla di importante (perché non possono essere tali i miasmi dell’antipolitica, i frutti avvelenati della demagogia e il riemergere della “passioni tristi” dell’Europa), l’accordo costituisce un segnale in controtendenza dove sono stati individuati i problemi reali del Paese, con l’impegno delle parti sociali ad affrontarli e a risolverli per quanto di loro competenza.
I media hanno dedicato all’evento uno spazio di gran lunga inferiore a quello riservato ad episodi marginali del dibattito politico, dimostrando una volta di più la loro partecipazione alla costruzione di una realtà fittizia che l’opinione pubblica si è abituata a considerare vera, quando basterebbe guardare fuori dalle finestre o passeggiare per le strade per accorgersi che l’Italia dello sfascio – ostentatamente presentata come tale – non esiste, è soltanto un’invenzione, una sorta di Truman show a sfondo sadomasochista.
Ciò premesso, suscita simpatia, quasi tenerezza la trojka che sta al vertice delle Confederazioni, ormai in età da poter fare da padri e da madri (quanto meno da zie) a quei ragazzotti che agitano la loro giovinezza come una clava e la loro incompetenza alla pari della natura del “buon selvaggio” (caro a Jean Jacques Rousseau) non ancora contaminato dalla società.
Quando ho saputo dell’accordo mi è tornato in mente il poema “De reditu suo” di Claudio Rutilio Namaziano che nel 415 d.C. abbandonò Roma per tornare in patria in Gallia e sfuggire così alle devastazioni dei barbari, da lui descritte durante il viaggio con l’animo lacerato dal rimpianto per la perduta grandezza di Roma: “O Roma, nessuno, finché vive, potrà dimenticarti… Hai riunito popoli diversi in una sola patria, la tua conquista ha giovato a chi viveva senza leggi. Offrendo ai vinti il retaggio della tua civiltà, di tutto il mondo diviso hai fatto un’unica città».
Ma ormai sarà il caso di spendere qualche considerazione sull’accordo. Ad occhio, più che significative innovazioni vi sono contenute delle sistemazioni, delle codificazioni, delle riorganizzazioni di quanto la contrattazione collettiva ha prodotto, un po’ alla rinfusa, negli ultimi anni (in particolare le iniziative di welfare contrattuale ed aziendale), nel tentativo di inserire tutto quanto nello schema tradizionale dei due livelli di contrattazione classici (nazionale e decentrato).
Si cerca di fornire alcune linee guida per gli istituti che hanno il compito di adeguare le retribuzioni al costo della vita (in sostanza riconoscendo, però, che le categorie possono agire – ex ante o ex post – come meglio ritengono). Viene ribadito l’impegno nella formazione del personale anche attraverso il potenziamento delle istituzioni preposte.
Ha suscitato interesse il nuovo approccio alle grandi questioni della rappresentanza e della rappresentatività, non solo perché anche la Confindustria ha accettato di far misurare le sue. Fino a pochi anni or sono (si può arrivare fino al Testo Unico del 2014) il problema del “chi rappresenta chi” si poneva soprattutto a fini interni al sistema, in conseguenza dei contrasti tra i sindacati e della conseguente stipula di intese separate. Oggi la verifica si svolge tra chi sta dentro l’assetto tradizionale e chi lo assedia dall’esterno. In altre parole, non si tratta più di decidere chi è legittimato a stipulare i rinnovi contrattuali di vecchio conio, ma chi svolge la sua attività negoziale secondo le regole e chi ne sta accuratamente fuori conquistandosi il diritto di agire sul mercato della contrattazione collettiva con “accordi pirata”, attraverso i quali si svendono diritti dei lavoratori in cambio del riconoscimento di un potere negoziale con appresso le prerogative sindacali che ne fanno da corollario. Un intento meritorio, certamente arduo da perseguire lungo il sentiero stretto tra quanto dispone l’articolo 39 Cost. (il convitato di pietra inattuato ed inattuabile ma che impedisce, tuttavia, ogni possibile diversa soluzione) e l’articolo 19 dello Statuto dopo le amputazioni subite nel referendum del 1995 (che consente ai sindacati “pirata” di insediarsi a livello d’azienda stipulando contratti applicati in quella sede). Viene riconfermata la procedura di certificazione della rappresentatività affidata all’Inps e al (redivivo) Cnel, dalla quale – è bene sottolinearlo – in ben quattro anni non è emerso un solo dato. Nonostante la buona volontà, infatti, è assai improbabile raggiungere la Luna spingendo sui pedali di una bicicletta.
Membro del Comitato scientifico ADAPT