Bollettino ADAPT 7 settembre 2020, n. 32
Sarà l’esordio del neo presidente di Viale dell’Astronomia nell’esercizio delle sue funzioni istituzionali e, in un certo senso anche del segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri (omen nomen?), che siederà, dall’altra parte del tavolo, in mezzo ad Annamaria Furlan e Maurizio Landini, che di trattative ne sanno una più del diavolo.
Per fare il punto sull’aria che tira e sulle posizioni in campo ci serviamo – come altre volte – dell’analisi di Nunzia Penelope, cronista da lungo tempo di relazioni industriali e di problematiche sindacali, che sul Diario del Lavoro, un giornale on line dedicato a questi temi, ha voluto descrivere il quadro dell’incontro di oggi. “Ma al di la’ delle questioni e degli scenari di fantapolitica – scrive Penelope con riferimento agli attacchi sempre più frequenti di Confindustria al governo – c’è intanto qualcosa di molto concreto da affrontare ed è la stagione dei rinnovi contrattuali ormai alle porte. Bonomi ha affermato di voler fare contratti ”rivoluzionari”, ma nella lettera sopra citata (alle strutture della sua associazione, ndr) i sindacati intravvedono invece, semplicemente, i podromi di una disdetta del Patto delle Fabbrica. O quanto meno di una sua sostanziale revisione. Scelta singolare, visto che tutte le piattaforme predisposte per i rinnovi sono state costruite sulla base di quel patto. E c’è da chiedersi quanto le federazioni di categoria aderenti a Confindustria possano essere entusiaste all’idea di ricominciare daccapo, dalla ridiscussione di un accordo interconfederale, prima di poter sedere al tavolo con le controparti. Inoltre, Bonomi rispolvera in pratica una vecchia idea fissa di Confindustria, quella che il salario si distribuisca tutto in azienda; trascurando il fatto che la maggior parte delle piccole imprese vive, invece, di contratto nazionale’’.
In effetti, scomodare la “rivoluzione” in un ambiente dove di rivoluzioni non se ne fanno più da mezzo secolo (al massimo, scoppia di tanto in tanto una rivolta) ha inquietato gli interlocutori (e forse anche qualche azienda e categoria aderente); come se ci fosse la necessità di farsi sentire dopo anni in cui la più importante associazione imprenditoriale (che in un tempo lontano metteva in fibrillazione i governi soltanto con un comunicato stampa) non viene neppure più invitata ai tavoli del negoziato con il governo. Poi c’è il mistero della lettera agli associati, inviata dal presidente Bonomi alla fine di agosto: un testo molto ampio che sembrava voler parlare a nuora (il mondo dell’impresa) perché suocera (governo, partiti e sindacati) intendesse. Certo, fino ad ora la presidenza di Carlo Bonomi – che pur aveva acceso tante speranze – resta ancora una narrazione rinviata alla prossima puntata. Soprattutto quando si presentò sul red carpet degli Stati generali, distribuendo ai presenti un libro, contenente dei pregevoli saggi di economisti difficilmente traducibili in proposte di politica economica di un protagonista della vita sociale (e non di un editore). A leggere però quel che Bonomi scrive non sembrano esservi particolari motivi di sorpresa. Tanto meno un disegno esplicito da giocare in politica. “Nell’attivismo diciamo cosi’ politico della Confindustria – scrive ancora Penelope – c’e’ chi legge un obiettivo basico: mettere in crisi il governo, che già dopo il voto del 20 settembre potrebbe traballare vistosamente, puntando su un governo istituzionale o tecnico, ma soprattutto, puntando a un cambio della guardia al Mise, dove far sedere una persona di maggiore ”fiducia” per la Confindustria rispetto all’attuale titolare’’ (se non andiamo errati alla direzione di quel ministero siede ora Marcella Panucci, già ex DG di Confindustria). Ma – detto tra di noi – potrà sembrare originale, stramba, la posizione di un presidente degli industriali che si atteggia a principale avversario del governo in carica (il suo predecessore non disdegnava gli incontri “separati’’ (rispetto agli altri ministri competenti) con Matteo Salvini nella sede del Viminale), ma è difficile non convenire su talune delle sue critiche alla linea di condotta del Conte 2 (come lo era stato del Conte 1 da presidente dell’Assolombarda).
È difficile dare torto a Carlo Bonomi quando scrive, nella sua lettera a tutte le strutture, “Vengo ora al punto più rilevante per noi e per le nostre imprese: il lavoro e gli ammortizzatori sociali. La scelta operata dal Governo è stata di estendere gli ammortizzatori e vietare per legge i licenziamenti. Vista la severità delle misure di lockdown, che si sono rese necessarie di fronte al morso del COVID, quella scelta poteva essere giustificata. Ma protrarla a oltranza – sostiene Bonomi – è un errore molto rischioso: hanno avuto accesso alla cassa-COVID, secondo l’ultimo aggiornamento INPS, oltre 5,5 milioni di italiani; se a questi sommiamo tutti coloro che beneficiano dei diversi regimi di sostegno diretto pubblico, la quota di italiani sotto l’ombrello della protezione statale oltrepassa quota 8 milioni di cittadini. Per noi imprese, restare ancorati all’idea della CIG – cioè tentare di congelare il lavoro dov’era e com’era – è in molti casi un errore profondo, poiché ritarda le riorganizzazioni aziendali, i nuovi investimenti e le nuove assunzioni che pur son necessarie e a cui dobbiamo pensare. Per alcune, poi, questa “anestesia” potrebbe significare, al “risveglio”, l’avvio di procedure concorsuali.
Più si protrae nel tempo il binomio “CIG per tutti/no licenziamenti” più gli effetti di questo congelamento potrebbero essere pesanti, in termini sociali e per le imprese’’. Il problema è che questa è la linea con la quale i sindacati hanno messo il governo con le spalle al muro: “Caro Conte, noi non ti siamo ostili, se tu fai quel che chiediamo’’. Ecco qua: cig ad libitum per tutti, blocco dei licenziamenti, difesa ad oltranza delle imprese decotte (quelle che stanno da anni al Mise); poi arriveranno requisiti pensionistici alleggeriti (domani è il turno del ministro Nunzia Catalfo al cui tavolo si deciderà il superamento della riforma Fornero, all’indietro, ovvero tornando alle regole in vigore alla fine del “secolo breve’’). In fondo lo stesso Mario Draghi non ha detto cose diverse da Bonomi: «Gli incentivi devono creare nuovi lavori, non salvare quelli vecchi». Con queste poche parole dell’ex presidente della Bcw viene messa in discussione la politica in cui è restato impigliato il governo italiano, che non riesce ad uscire dalla fase 1 e continua a portare avanti una linea di condotta fondata su provvedimenti, disseminati in centinaia di articoli, rivolti a sostituire il reddito e i fatturati, come se le risorse promessa da Bruxelles servissero a restare in attesa, congelando la struttura produttiva e occupazionale esistente come se il problema fosse quello di tirare avanti, senza toccare nulla, ma sfruttando le copiose risorse messe a disposizione dalla Ue, non per aspirare alla ripresa o cambiare modello di sviluppo basato sulla green economy e la digitalizzazione, ma per combinare il pranzo con la cena il più a lungo possibile, stretti attorno ai nostri sacrosanti diritti.
Membro del Comitato scientifico ADAPT