Politically (in)correct – I contratti pirata: quando la moneta cattiva caccia quella buona

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Ricordate la banana “Cichita 10 e lode”? Era la sola ad esporre il bollino blu a prova della sua qualità. Non ci saremmo mai aspettati, allora, che quel bollino avrebbe esteso la sua influenza fino a diventare il contrassegno dei contratti di lavoro “in regola col sindacato”. La proposta è venuta dal presidente del Cnel Tiziano Treu, in occasione di un’intervista a Il Sole24Ore.

 

Dove sta il problema? Nonostante le tante giaculatorie riservate alla c.d. contrattazione di prossimità, Il numero dei contratti collettivi nazionali – ha affermato Treu – continua ad aumentare. Sono infatti 868 quelli censiti nella banca dati del Cnel nell’ultimo aggiornamento di settembre; ma di questi solo 300 sono considerati regolari. É per contrastare tale situazione che è in arrivo l’applicazione di un bollino blu ai contratti firmati da organizzazioni rappresentative.

 

“La quota prevalente, al netto dei contratti scaduti, è rappresentata dai cosiddetti contratti pirata – ha detto Treu nell’intervista – che presentano condizioni economiche o normative al di sotto degli standard contrattuali dei settori di riferimento”. Il presidente del Cnel definisce “preoccupante” il fenomeno dei contratti al ribasso siglati da associazioni datoriali non rappresentative con sindacati, anch’essi privi di effettiva rappresentanza. Questo vuol dire che la gran parte degli oltre 500 contratti sono irregolari, presentano condizioni peggiorative per i lavoratori, specie per risparmiare sul costo del lavoro, e fanno concorrenza sleale a imprese e associazioni datoriali corrette.

 

Tutto vero. Ma, per rimediare, è sufficiente un’indicazione sostanzialmente improntata ad una sorta di moral suasion? Evidentemente no, perché chi applica i contratti pirata sa benissimo ciò che fa; e lo fa di proposito. Spunta allora l’idea di una sanzione: le aziende che non applicano contratti “bollinati” saranno escluse dagli appalti pubblici, dagli incentivi e da qualunque altra agevolazione.

 

A noi non sembra essere una soluzione efficace e risolutiva del problema. Soprattutto un regime sanzionatorio indiretto di questo tipo non determinerebbe, in tutti i settori dell’economia, quelle “convenienze” a mettersi in regola indotte dall’esibizione del “bollino blu”, visto che la gran parte delle imprese non partecipa ad appalti e non riceve incentivi.

 

Certo. C’è sempre l’articolo 36 della Costituzione posto a salvaguardia del diritto ad una retribuzione “proporzionata” e sufficiente” che per decenni ha significato – secondo una giurisprudenza consolidata – la rispondenza a quanto previsto dai contratti nazionali. Ma ciò è stato possibile perché l’assetto delle relazioni industriali era assai più semplificato di oggi e la situazione di fatto (il ruolo riconosciuto al sindacalismo storico nella stipula dei contratti) faceva aggio su quella di diritto. Ma come la mettiamo adesso che l’articolo 19 dello Statuto si è trasformato in una tautologia, in base alla quale le Rappresentanze sindacali aziendali (RSA) possano essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nella unità produttiva?  In pratica è questo il principale requisito della rappresentatività e non è difficile per i ‘’sindacati pirati’’ inserirsi in tale quadro di rapporti, in modo ritenuto legittimo.

 

É necessario, allora, ricorrere – come hanno chiesto con una visibile faccia di tolla i sindacati storici – all’attuazione dell’articolo 39 Cost.? Non ne sono persuaso. Non si combatte, però, la pirateria contrattuale barricandosi all’interno di una norma incartapecorita da mezzo secolo, che finirebbe per ibernare ad aeternum l’attuale assetto incentrato sul contratto nazionale di categoria. La caccia ai pirati va data sul mare aperto, non dagli spalti delle fortezze edificate sulle sponde.

 

L’articolo 39 è una sorta di Ghino di Tacco (un bandito del Medioevo che veniva evocato ai tempi della prima Repubblica da Eugenio Scalfari per indicare Bettino Craxi). Emerge con chiarezza il ruolo ostativo che l’articolo ha svolto. Inapplicato e inapplicabile non solo per motivi politici, ma anche per la sua impostazione giuridica, l’articolo ha impedito una regolazione dei problemi della rappresentanza e della rappresentatività del sindacato. Si è determinata cioè una tautologia dell’assurdo: i criteri delineati dall’articolo non erano praticabili ma, nello stesso tempo, per il loro rilievo di carattere costituzionale hanno impedito che venissero individuati percorsi legislativi diversi e meglio corrispondenti al modello che nel frattempo si era venuto a delineare.

 

Fino a quando – grazie alla prassi di unità sindacale, la situazione di fatto ha consentito, in pratica, al sistema di funzionare egualmente – non si sono posti i problemi emersi quando il patto unitario tra i sindacati maggiormente rappresentativi è entrato in crisi. Ma in Italia le riforme costituzionali non sono un’impresa facile, soprattutto se si tratta di articoli contenuti nella Prima Parte che, non se ne comprendono i motivi, è ritenuta immodificabile. Quando ero deputato (e vice presidente della Commissione Lavoro) presentai nel luglio 2010 un progetto di legge costituzionale che modificava radicalmente l’articolo 39 nella convinzione che fosse quella la misura necessaria per sbloccare il problema. Il pdl consisteva in un solo articolo che riproduco:

 

PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

  1. L’articolo 39 della Costituzioneè sostituito dal seguente:
          «Art. 39. – L’organizzazione sindacale è libera.
    I sindacati e le associazioni imprenditoriali promuovono ed esercitano la contrattazione collettiva secondo i principî dell’autonomia e del reciproco riconoscimento.
    Con decreti legislativi adottati ai sensi dell’articolo 76, il Governo può attribuire agli accordi e ai contratti collettivi, stipulati da associazioni dei datori di lavoro e da organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale, efficacia obbligatoria per tutti i lavoratori ai quali gli accordi e i contratti si riferiscono».

 

Si trattava, in sostanza, di una “costituzionalizzazione” dei principi e delle finalità alla base della legge n.741 del 1959, una legge delega – per sua natura di durata predeterminata – che consentì al Governo di allora di recepire, all’interno di decreti legislativi, gran parte dell’attività contrattuale di diritto comune, espletata nel dopoguerra; ciò, allo scopo di definire trattamenti economici e normativi minimi per tutti i lavoratori.

 

Una proroga del provvedimento fu dichiarata incostituzionale proprio perché tendeva a mantenere un sistema di estensione erga omnes dei contratti collettivi non conforme a quanto previsto dall’articolo 39. La proposta di revisione contiene, a mio avviso, tutti gli aspetti essenziali, compresa la riconferma del principio del reciproco riconoscimento (che è stato il caposaldo dell’ordinamento sindacale in assenza di una regolamentazione legislativa del criterio della rappresentatività). E che rimane il presupposto di una prassi negoziale esercitata nell’ambito del diritto privato.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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