Politically (in)correct – Giorgio Napolitano e le politiche del lavoro

Bollettino ADAPT 25 settembre 2023, n. 32

 

Ho conosciuto personalmente Giorgio Napolitano. Eravamo nella seconda metà degli anni 80 e ricoprivo l’incarico di segretario generale della federazione dei chimici della Cgil (Sergio Cofferati era il mio “aggiunto”). Una domenica notte rientravo a Roma da Bologna dove risiedevo. A Firenze salì Napolitano dopo aver preso parte – lo capii in seguito – ad un incontro con i “miglioristi” toscani.  Trovandoci nello stesso scompartimento, mi presentai ed iniziammo a parlare. La conversazione proseguì fino all’arrivo a Termini. Ho rivisto Napolitano tanti anni dopo al Quirinale, in occasione di una celebrazione della Festa del 1° Maggio, dove ero stato invitato nel mio ruolo di vice presidente della Commissione Lavoro della Camera.

 

Ma non è di questi ricordi personali che intendo parlare per associarmi, nel mio piccolo, al ricordo di una personalità che ha attraversato da protagonista gran parte della storia della Repubblica. Ritengo più interessante soffermarmi su due iniziative del Presidente in materia di norme sul lavoro in cui fui indirettamente coinvolto in quanto relatore dei provvedimenti in questione. La prima occasione riguardò il parere, obbligatorio ma non vincolante, che la Commissione Lavoro della Camera stava preparando sullo schema di aggiornamento del d.lgs. n.81/2008 in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Era sorto un problema che riguardava la responsabilità del datore rispetto a quelle del “preposto”; ciò aveva sollevato le proteste dell’opposizione che accusava il governo di voler proteggere i “padroni” in caso di infortunio. Il Quirinale si interessò della questione. Ricordo che entrai in contatto con uno stretto collaboratore del Presidente, quel Loris D’Ambrosio che anni dopo divenne la vittima di quella pagliacciata giudiziaria della trattativa Stato/Mafia. Con il consigliere giuridico di Napolitano concordai una formulazione che poi il governo assunse nel testo del decreto. Ma il compito di “fare l’impresa” mi toccò da relatore alla Camera, in Commissione e in Aula, del c.d. Collegato Lavoro (che dopo ben ventisette mesi e sette letture) trovò la pace nella legge n.183 del 2010).

 

Questa legge fu il provvedimento più importante dell’iniziativa dell’ultimo governo Berlusconi; intervenne, con i suoi 50 articoli, in molte materie importanti (magari in tanti suoi passaggi si caricò anche di norme spesso ultronee), tra le quali vanno ricordate la razionalizzazione delle impugnative delle risoluzioni dei rapporti di lavoro, la tipizzazione delle clausole del licenziamento, le deleghe in materia di lavori usuranti e per la riforma degli ammortizzatori sociali. Il provvedimento fu oggetto di un messaggio di rinvio alle Camere, ai sensi dell’articolo 74 della Costituzione, da parte del presidente Giorgio Napolitano. Il messaggio si soffermava in particolare sull’articolo 31, recante norme sull’arbitrato secondo equità nelle controversie di lavoro. Scriveva Napolitano che, pur ritenendo apprezzabile un indirizzo normativo teso all’introduzione di strumenti arbitrali (compresi quelli che introducono la possibilità di un giudizio secondo equità) volti a prevenire e accelerare la risoluzione delle controversie, evidenziava tuttavia la necessità di definire, in via legislativa, meccanismi meglio idonei ad accertare l’effettiva volontà compromissoria delle parti, con riguardo al contratto individuale, e a tutelare il lavoratore, soprattutto nella fase di instaurazione del rapporto di lavoro. Inoltre, il messaggio metteva in luce che la possibilità di pervenire a una decisione arbitrale “secondo equità” non poteva in ogni caso compromettere diritti costituzionalmente garantiti, o comunque indisponibili, di cui era titolare il lavoratore; nel settore del pubblico impiego, tale possibilità andava altresì coniugata con il rispetto dei principi costituzionali di buon andamento, trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa. Napolitano aveva aspettato per tutto il tempo consentito a promulgare la legge e all’ultimo momento era intervenuto ai sensi dell’articolo 74, facendo proprie, in sostanza, le critiche della Cgil e della sinistra.

 

Il Governo e la maggioranza ritenevano che spettasse alla contrattazione collettiva definire un quadro adeguato di garanzie (della cui necessità nessuno aveva mai dubitato), tanto che il ministro Maurizio Sacconi volle prendere l’iniziativa di invitare le parti sociali a sottoscrivere un avviso comune che escludesse, nel contesto delle intese negoziali, la materia della risoluzione del rapporto di lavoro dal ricorso a procedure stragiudiziali. Nel suo messaggio il Capo dello Stato ha ritenuto indispensabile, invece, un ampliamento del perimetro delle garanzie presidiate dal precetto legislativo.

 

La maggioranza e il Governo si adeguarono, seguendo quelle autorevoli indicazioni, secondo le quali era <la fase della costituzione del rapporto… il momento nel quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di lavoro>.  Questa preoccupazione, riferita al momento dell’assunzione, era ripetuta più volte nel testo del massaggio.

Così, al relatore ovvero al sottoscritto toccò l’onere (di intesa col governo) di “blindare” la clausola compromissoria, da sottoscrivere al momento dell’assunzione e che rappresentava la chiave di volta del provvedimento. Tale clausola, ai sensi dell’articolo 808 cpc, recitava: “Le parti, nel contratto che stipulano o in atto separato, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri…”  E’ chiaro, allora, che si trattava di un impegno che le parti assumono per il futuro e per tutte le controversie nascenti. Non avrebbe, allora, avuto senso sommare due adempimenti: sottoscrivere liberamente una clausola compromissoria all’atto della stipula del contratto e decidere, poi, tutte le volte in cui insorgesse una controversia, se adire il giudice togato o il collegio arbitrale.

 

È il caso di richiamare, in sintesi, il contesto di garanzie di cui fu circondata, a seguito del messaggio del Capo dello Stato, l’introduzione dell’arbitrato. Premesso che l’articolo 31 metteva in campo una serie molto ampia di opzioni per quanto riguardava le forme di risoluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro e che l’arbitrato irrituale secondo equità era solo una di queste, va ricordato, in proposito, quanto segue:

1. le clausole compromissorie nel contratto individuale possono essere pattuite solo laddove ciò sia previsto dalla contrattazione collettiva. Ed è tanto importante e costitutiva la definizione di un ambito negoziale di riferimento che è addirittura stabilita una procedura, conforme alle osservazioni del messaggio presidenziale, attraverso cui il ministro del lavoro e delle politiche sociali può intervenire in caso d’inerzia dei soggetti collettivi;

2. le parti devono recarsi davanti alle commissioni di certificazione le quali sono tenute ad accertare l’esistenza di un’effettiva volontà; le parti stesse possono farsi assistere da un legale di propria fiducia o da un rappresentante sindacale;

3. prima di poter sottoscrivere le clausole deve essere esaurito il periodo di prova o comunque devono essere trascorsi almeno 30 giorni dalla stipula del contratto;

4. il collegio è un soggetto terzo, che giudica secondo equità, ma che è chiamato ad attenersi comunque non solo ai principi generali del diritto, ma anche a quelli specifici della materia del lavoro ancorché derivanti da obblighi comunitari;

5. è precluso, conformemente a quanto pattuito nell’avviso comune, il ricorso all’arbitrato per le controversie riguardanti la risoluzione del rapporto di lavoro.

Purtroppo queste salvaguardie non bastarono a chiudere la partita. In sede di votazione il Pd   riuscì a far passare un emendamento alla Camera che faceva saltare l’effetto della clausola compromissoria, in quanto la decisione di adire il giudice o seguire la via stragiudiziale veniva spostata al momento dell’insorgere delle controversie. Non avrebbe avuto senso sommare due adempimenti: sottoscrivere liberamente una clausola compromissoria all’atto della stipula del contratto e rimettere in discussione quell’impegno ad ogni controversia. Si sarebbe in pratica precluso il ricorso all’arbitrato pur dichiarando di condividerne, come sostenevano talune forze di opposizione, l’introduzione nel sistema delle relazioni industriali. Ma uno strumento facilitatore del <rendere giustizia> al lavoratore non poteva trasformarsi in un pellegrinaggio davanti alle commissioni e agli organi di certificazione. Si resero però necessarie altre due letture del provvedimento, prima al Senato che ripristino il testo originale; poi di nuovo alla Camera per il voto finale.

 

Volli terminare la mia relazione in Aula il 18 ottobre del 2010 appropriandomi di una citazione dell’allora premier inglese David Cameron.

 

<Ci sono cose che fai per dovere… Ma ci sono cose che fai perché sono la tua passione. Le cose che ti infiammano al mattino, che ti guidano e che sei sicuro possano realmente fare la differenza per il Paese che ami>.

 

E aggiunsi, “per me è stato un grande onore aver svolto il ruolo di relatore di questo provvedimento’’.

 

Va ricordato che la legge n. 183/2010 conteneva anche una procedura a disposizione del ministro del Lavoro per superare l’inerzia delle parti, una norma che non è mai stata abrogata, ma neppure applicata. La “disfida del Collegato Lavoro” (7 letture di cui 4 alla Camera e 3 al Senato) non ebbe mai seguito.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

Politically (in)correct – Giorgio Napolitano e le politiche del lavoro