Bollettino ADAPT 22 febbraio 2021, n. 7
È stato osservato (non poteva essere altrimenti) che nel discorso sulla fiducia, alle Camere, Mario Draghi ha saltato a piè pari alcuni dei temi più delicati e divisivi all’interno della colazione dei partiti che sostengono (volenti nolenti) il suo governo: temi, come quota 100, il reddito e la pensione di cittadinanza, che sono stati al centro del dibattito durante tutta la legislatura e che sono stati disarcionati dalla sella dell’attenzione soltanto dal virus malefico. Ci riferiamo a provvedimenti che opportunamente sono stati sottratti al rodeo del voto di fiducia, ma che sono di per è scritti – e per tanti motivi – nell’agenda del nuovo governo. Nelle stesse ore in cui Mario Draghi teneva a battesimo la sua “creatura” politica e vigilava sui suoi primi passi, il Centro Studi di “Itinerari previdenziali” presentava (vittima delle restrizioni antipandemiche e dello sviamento dell’attenzione dei media verso ciò che stava succedendo a Palazzo Chigi) l’VIII Rapporto sul sistema previdenziale italiano (2021), che, come è consuetudine, costituisce un monitoraggio accurato ed esaustivo dell’universo pensionistico, nel contesto delle sue correlazioni col fisco, l’occupazione e con gli altri settori del welfare. Non è facile poter disporre di un quadro di informazioni di una portata tanto ampia e onnicomprensiva, tale da consentire una visione già rielaborata ed organica e quindi di agevole comprensione. Gli argomenti da trattare sarebbero tanti e tutti di grande interesse, ma per gli obiettivi di questo articolo ci soffermiamo sugli effetti dei provvedimenti citati all’inizio che, a pensarci bene, rappresentano il “filo rosso” della continuità da parte di tre governi sostenuti da maggioranze differenti ognuna delle quali prometteva discontinuità rispetto a quelle precedenti.
Pensioni e dintorni
Il rapporto passa in rassegna le misure che, direttamente (le salvaguardie per gli esodati, opzione donna) o indirettamente (il pacchetto Ape) dal 2012 al 2018, hanno “depotenziato” la riforma Fornero. In totale in 7 anni circa 340mila lavoratori hanno beneficiato di requisiti molto più bassi di quelli previsti dalla legge Fornero, per un costo di circa 30 miliardi (quasi il 25% dei risparmi previsti dalla riforma). In questo contesto è arrivata Quota 100 (62 anni di età anagrafica e 38 anni di contribuzione) che, nel solo 2019, assieme alla proroga di Opzione donna, APE sociale e precoci, ha prodotto ben 264.765 nuove pensioni con requisiti più favorevoli; da questo numero sono escluse le 106,7mila cosiddette pensioni anticipate (poiché l’anticipo pensionistico è di soli 2 mesi, considerando i 3 mesi di attesa – la finestra – dalla data di decorrenza della pensione). Gli “scampati” alla legge Fornero in 8 anni sono stati 604mila. Il Rapporto, come già altre indagini, fa notare il progressivo desencanto nei confronti di quota 100:” Dopo un inizio sostenuto con oltre tremila richieste al giorno, le domande di Quota 100 si sono progressivamente ridotte: le prime centomila domande sono state presentate nelle prime nove settimane, mentre per le successive centomila ne sono passate trentadue.
Per il 2019 sono state 150,77 mila le pensioni con Quota 100, con un importo medio mensile di 1.983 euro e un anticipo medio di 24 mesi. Seguono APE sociale con 54,77mila domande ma con un anticipo di 3 anni e i precoci (41,28mila) con un anticipo medio di 19 mesi. Il costo totale di tutte le anticipazioni si attesta intorno ai 5 miliardi rispetto ai 3,968 miliardi previsti nel Decreto, imputabili oltre che a Quota 100, a APE sociale, precoci e in parte a Opzione donna i cui gli effetti finanziari di costo sono solo dovuti ad anticipazioni di cassa che saranno ampiamente recuperate nei successivi 10 anni di erogazione; per le anticipate (la sterilizzazione degli adeguamenti alla speranza di vita è stata fissata in 8 anni come per i precoci fino al 31 dicembre 2026), il costo, considerando le finestre trimestrali, è relativo a soli 2 mesi di anticipo rispetto al requisito Fornero fino al 2023, poi potrebbe aumentare se l’Istat registrerà un incremento dell’aspettativa di vita.
Reddito di Cittadinanza (RdC)
Il Rapporto ricorda i due obiettivi per cui fu istituito nel 2019 insieme a quota 100: aumentare l’occupazione e ridurre la povertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale.
Quanto al primo obiettivo il risultato è stato più che insufficiente: hanno trovato un impiego solo 39.760 persone, di cui il 65,2% a tempo determinato, il 19,7% a tempo indeterminato, il 3,9% in apprendistato. E questo nonostante l’assunzione dei 2.980 navigator, soggetti che avrebbero dovuto proporre ai richiedenti il RdC un posto di lavoro e che sono rimasti inattivi per il 2019 e gran parte del 2020, senza alcun provvedimento governativo e senza controllo dell’Anpal (l’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro) che li ha assunti. Va detto che un tale esito era previsto già in condizioni di normalità. È fin troppo ovvio che la pandemia con i suoi effetti ha aggravato una situazione di per sé problematica. Quanto al secondo obiettivo i nuclei che a fine 2019 beneficiavano del RdC erano 1,04 milioni, pari a 2,5 milioni di individui, oltre a 44.233 nuclei che beneficiavano ancora del REI. L’importo medio mensile è risultato di 493 euro e la spesa totale vale 3,8 miliardi di euro contro i 5,894 previsti dalla legge (oltre 7 miliardi per gli anni successivi).
Pensione di cittadinanza (PdC)
Da aprile 2019 a giugno 2020 le PdC in pagamento sono state 131.308, per un totale di 149.038 cittadini (in genere persone a carico), un importo medio di 240 euro mese e un costo complessivo di circa 500 milioni di euro. Si tratta – osserva il Rapporto – di un provvedimento che potrebbe produrre effetti negativi sulle contribuzioni e sul lavoro regolare poiché falsa tutte le regole pensionistiche; si pensi a un artigiano che ha versato contributi per tutta la vita e prende 850 euro di pensione lorda e che, eccedendo la no tax area, è soggetta a imposizione fiscale riducendosi così a non più di 8.000 euro l’anno.
Membro del Comitato scientifico ADAPT