Bollettino ADAPT 27 novembre 2023, n. 41
Il voto in Olanda ha proiettato una luce fosca sulle prossime elezioni del Parlamento europeo. Il Partito per la libertà (di estrema destra e sovranpopulista) di Geert Wilders, è quello che ha ottenuto più voti e di conseguenza il maggior numero di seggi. Nettamente sconfitti, invece, i socialdemocratici di Frans Timmermans (ambientalista radicale) e il centro destra di Dilan Yesilgoz considerata l’erede politica del premier uscente (e dimissionario), Mark Rutte.
Nella storia recente le votazioni in Olanda hanno più volte infranto progetti di ulteriore sviluppo istituzionale dell’Unione. In particolare nel 2003 gli olandesi precedettero di pochi giorni i francesi bocciando, nei referendum, la Carta costituzionale dell’Unione messa a punto dalla Convenzione presieduta da Valery Giscard d’Estaing. A determinare la caduta del governo Rutte (un premier rimasto al potere ininterrottamente per molti anni) è stata la politica dell’immigrazione che aveva diviso la coalizione di maggioranza. Rutte intendeva introdurre delle norme più rigorose soprattutto per quanto riguarda i ricongiungimenti familiari. Le medesime proposte sono state al centro del programma di Yesilgoz, ma l’elettorato ha evidentemente preferito l’originale ovvero il partito di Wilders da sempre su posizioni radicali verso gli stranieri e alleato della Lega di Matteo Salvini.
Il voto nel Paese dei tulipani è comunque un indicatore dei temi che condizioneranno il dibattito elettorale per la consultazione di giugno. In Italia su questo tema viviamo un momento di tregua, dovuto all’emergere sullo scenario del Mediterraneo di problemi ben più gravi, alla cattiva stagione che ha rallentato gli sbarchi e alle polemiche sulla legge di bilancio; ma l’immigrazione è un fiume carsico che riaffiora prima o poi in superficie con grande violenza. È utile, allora, prestare attenzione alle statistiche fornite nei giorni scorsi dall’Inps sul lavoro degli immigrati nel nostro Paese, allo scopo di avere chiare le dimensioni del fenomeno. In dieci anni (dal 2013 al 2022) la rilevazione è passata da 3.438.627 a 4.159.880 stranieri residenti ed evidentemente dotati di documenti regolariproprio perché censiti dall’Istituto di previdenza sulla base delle prestazioni erogate. Di questi 3.630.154 sono lavoratori (87,3%), 304.510 pensionati (7,3%) e 225.216 percettori di prestazioni a sostegno del reddito (5,4%). Il criterio di identificazione si basa su un metodo misto: la cittadinanza per i lavoratori non comunitari, il paese di nascita per gli altri.
Per ogni anno il soggetto è classificato nello stato di lavoratore, beneficiario di disoccupazione o pensionato a seconda della condizione nella quale ha trascorso la maggior parte del tempo nel periodo considerato; in questo modo ogni individuo viene contato una sola volta e la somma tra lavoratori, pensionati e beneficiari di disoccupazione non presenta alcuna duplicazione di soggetti. L’unità statistica di rilevazione è il cittadino straniero – presente negli archivi amministrativi Inps dei lavoratori, dei pensionati e dei beneficiari di disoccupazione – classificato come “non comunitario”, se in possesso di regolare permesso di soggiorno, oppure “comunitario”, se nato in un Paese dell’Unione europea. I comunitari sono ulteriormente suddivisi in “comunitario nato in uno dei Paesi esteri dell’UE a 15” (esclusa Italia ovviamente) e “comunitario nato in uno dei restanti Paesi esteri dell’UE”.
Se si analizza la distribuzione degli stranieri per area di provenienza, si osserva che, ad eccezione del 2014, gli stranieri non comunitari sono aumentati ogni anno. Gli stranieri comunitari dell’UE a 15 hanno segnato una leggera flessione nel 2014 (-1,1%) e 2020 (-2,2%), una contrazione marcata nel 2021 (-9,7% – a causa della definitiva uscita dall’UE del Regno Unito) e una ripresa nel 2022 (+3,1%). Gli stranieri provenienti dai restanti Paesi dell’UE hanno manifestato una tendenza alla contrazione: tra il 2013 e il 2022 sono diminuiti di circa 99.000 unità (-10,3%), tuttavia si osserva una lieve ripresa nel 2022 rispetto all’anno precedente (+0,5%). Analizzando i dati per singolo Paese, nel 2022 si confermava una forte presenza di romeni che con 707.166 soggetti rappresentano il 17,0% di tutti gli stranieri regolari presenti sul territorio nazionale. Seguivano gli albanesi (406.595, 9,8%), i marocchini (323.158, 7,8%), i cinesi (217.121, 5,2%), gli ucraini (205.710, 4,9%) e i filippini (131.002, 3,1%). Nel complesso queste sei nazioni totalizzavano circa la metà degli stranieri rilevati nelle banche dati INPS (47,9%).
I cittadini stranieri sono a prevalenza maschile (56,2%) ma con differenze notevoli tra singoli Paesi. Il tasso più alto è detenuto da Pakistan (94,6%), Bangladesh (93,6%), Egitto (91,7%), Senegal (83,7%), India (78,8%) e Marocco (71,7%). Al contrario Ucraina, Moldova, Perù e Filippine sono Paesi per i quali prevale la componente femminile. Analizzando la distribuzione per età, va osservato che gli stranieri non comunitari sono generalmente più giovani di quelli provenienti dai Paesi comunitari. In particolare, nel 2022, quasi la metà (45,1%) degli stranieri non comunitari aveva meno di 39 anni (il 32,1% tra gli stranieri comunitari), il 44,3% tra i 40 e i 59 anni (contro il 52,5% degli stranieri comunitari) e il 10,6% più di 60 anni (contro il 15,4% degli stranieri comunitari).
Quanto alla distribuzione territoriale risultava che il 61,7% (2.569.713) degli stranieri comunitari e non comunitari risiedeva o aveva una sede di lavoro in Italia settentrionale, mentre il 23,5% (975.761) si trovava in Italia centrale e il 14,8% (613.458) nell’Italia meridionale e Isole. Questi dati non devono sorprendere. Essendo la grande maggioranza degli stranieri dei lavoratori è normale trovarli residenti nelle aree più sviluppate e con maggiori opportunità di occupazione. Rispetto alla popolazione residente, al Nord l’incidenza di stranieri regolarmente presenti nel nostro Paese era tre volte superiore che al Sud: 9,4 stranieri su 100 residenti in Italia settentrionale, 8,3 in Italia centrale e 3,1 in Italia meridionale e Isole. A livello nazionale tale incidenza si attestava nel 2022 a 7,1 stranieri su 100 residenti.
Nel 2022 gli stranieri dipendenti privati erano 3.140.197, con una retribuzione media annua di € 15.261,87, ma con differenze settoriali. I dipendenti del settore privato non agricolo erano 2.316.034 e presentavano una retribuzione media annua pari a € 17.490.98 (€ 19.311,42 per gli uomini e € 14.187,15 per le donne); nel settore privato agricolo lavoravano 285.395 stranieri, con netta prevalenza di genere maschile (73,5) e con una retribuzione media annua di € 9.061,97 (€ 9.600,62 gli uomini e € 7.567,18 le donne). I lavoratori domestici stranieri erano 538.768 e si caratterizzavano per una netta prevalenza femminile (gli uomini erano solo il 13,4%) con una retribuzione media pari a € 8.963,65 (€ 9.050,03 per gli uomini e € 8.950,23 per le donne).
Leggendo le statistiche, si conferma una impressione: sul piano della narrazione e della comunicazione relative sia alla povertà assoluta che al “rischio di povertà’’, le diverse agenzie nazionali non esitano ad impossessarsi degli indici di povertà degli stranieri allo scopo di permettere al duo Landini&Bombardieri di piangersi addosso. I dati (si veda da ultimo il Rapporto Caritas) mettono in evidenza che le persone in povertà assoluta (rientrano in questa categoria quanti non possono accedere a un livello minimo di consumi in grado di garantire una vita dignitosa), erano, nel 2022 5 milioni 673 mila (357mila unità in più del 2021 ); l’incidenza era salita da 9,1% al 9,7%; quanto ai nuclei, si contavano 2 milioni 187mila famiglie in povertà assoluta passando dal 7,7% del 2021 all’8,3% l’anno dopo.
Complessivamente, considerando le famiglie povere nel loro insieme (in totale 2milioni 187mila) emergeva che per quasi la metà di loro non ci fosse un problema di mancanza di lavoro: il 47% dei nuclei in povertà assoluta risultava avere infatti la persona di riferimento occupata. E qui si nota una delle tante differenze tra cittadini e residenti. Tra le famiglie povere di soli stranieri la percentuale saliva addirittura all’81,1%; tra gli italiani si attestava al 33,2%. Quanto alla cittadinanza, la deprivazione economica si manteneva al di sotto della media tra le famiglie di soli italiani, sebbene in leggero aumento (dal 5,8% al 6,4%) rispetto al 2021, mentre si raggiungeva livelli molto elevati (33,2%) tra i nuclei di soli componenti immigrati. Nell’insieme, le famiglie straniere in povertà assoluta erano 661mila (per un totale di circa un milione e 700mila persone) e costituivano circa il 30% delle famiglie in povertà in Italia pur rappresentando appena l’8,7% del totale dei nuclei residenti. Una situazione analoga si riscontrava per le persone a rischio di povertà, ovvero la percentuale di quanti vivevano in famiglie con un reddito netto equivalente inferiore al 60% della mediana della distribuzione del reddito netto equivalente. Tra i cittadini italiani, nel 2022, il rischio di povertà per gli occupati era al 9,9%, tra gli stranieri raggiungeva il 24,7% (28,0% per gli stranieri non EU).
Membro del Comitato scientifico ADAPT