Bollettino ADAPT 27 giugno 2022, n. 25
L’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) stima che ogni anno nel mondo 2,8 milioni di persone muoiono per incidenti o malattie legate al lavoro. Di questi, circa 400 mila lavoratori sono vittime d’infortuni mortali e 2,4 milioni sono le morti causate da malattie professionali. A queste cifre si aggiungono più di 374 milioni di lavoratori vittime ogni anno d’infortuni sul lavoro non mortali ma che provocano lesioni gravi e portano ad assenze dal lavoro. A livello europeo (dati della Commissione, 2021), nonostante negli ultimi trent’anni sono stati compiuti progressi significativi in materia di sicurezza e salute sul lavoro, (tra il 1994 e il 2018 gli infortuni mortali sul lavoro sono diminuiti di circa il 70%), nel 2018 si sono registrati ancora oltre 3.300 infortuni mortali e 3,1 milioni di infortuni non mortali; inoltre, ogni anno muoiono più di 200mila lavoratori a causa di malattie professionali. Per l’Italia si fa riferimento ai dati INAIL, tenendo conto che nel 2020 occorre considerare l’effetto Covid-19 con situazioni atipiche di lockdown e smart-working che ha comportato dati non direttamente confrontabili con il periodo pregresso, oltre che nuovi elementi per lo studio dei dati relativi alla salute e alla sicurezza del lavoro (SSL).
Ciò premesso, dal 2016 al 2020 gli infortuni sul lavoro sono diminuiti del 12,8%, le malattie professionali del 39,5%, ma gli infortuni mortali sono aumentati del 13,7%. È uno degli aspetti che emerge dalla Relazione intermedia sulla attività svolta da parte della Commissione di inchiesta (Istituita con deliberazione del Senato della Repubblica il 31 ottobre 2019) sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Ma tra i problemi affrontati merita una attenzione particolare il tentativo di quantificare e qualificare il costo sociale ed economico degli infortuni e più in generale della inadeguata condizione di sicurezza e di tutela della salute nei luoghi di lavoro. La relazione, addentrandosi nel tema, avverte che il calcolo degli impatti economici e sociali della SSL nonostante gli sforzi di ricerca è finora riuscito a stimare probabilmente solo la punta dell’iceberg. A livello mondiale gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali sono costati nel 2019 circa 3.050 MLD di euro, quasi il 4% del PIL e a livello europeo circa 460 MLD di euro, oltre il 3,3 % del PIL. A livello italiano, secondo recenti stime dell’INAIL, il danno economico causato da infortuni e malattie professionali è risultato, nel 2007, pari a quasi 48 miliardi di euro, ovvero più del 3% del PIL. È appena il caso di sottolineare che questo dato non è affidabile per una valutazione da ritenere attuale, tanto più in conseguenza degli effetti non ancora approfonditi della pandemia da Covid-19. Un altro dato significativo – ancorché teorico – è la stima del ROP (Return On Prevention) ovvero il ritorno dell’investimento in sicurezza e prevenzione da malattie e infortuni, che risulta pari 2,2: ovvero ogni euro speso in Salute Sicurezza sul Lavoro (SSL) genera un valore più che doppio.
Impatto economico
Secondo la Commissione di inchiesta, il principale problema nelle valutazioni degli impatti economici della salute e sicurezza sul lavoro è dato dal fatto che né le aziende né le istituzioni raccolgono documentazione sui costi correlati. Nei principali studi esaminati per valutare l’impatto economico i costi vengono così articolati: 1. Costi diretti: facilmente quantificabili in termini monetari. 2. Costi indiretti non definiti univocamente e che necessitano di altre stime (riduzione della produttività della forza lavoro dovuta all’infortunio, costi di sostituzione per l’assenza del lavoratore infortunato e degli straordinari necessari a recuperare il tempo perso, costo delle attività di indagine, compilazione di verbali e rapporti con le autorità di controllo, costi di retraining nel caso in cui al lavoratore infortunato venga modificata la mansione). 3. Costi intangibili che non rientrano nella contabilità aziendali e sono difficili sia da individuare che da stimare (es. danno reputazionale) e spesso richiedono la «quantificazione economica» di un impatto soprattutto sociale (es. dolore e sofferenza morale e psicologica).
Il sistema normativo europeo si basa su un approccio tripartito secondo il quale i lavoratori, i datori di lavoro e i governi sono strettamente coinvolti nello sviluppo e nell’attuazione delle misure in materia di SSL). Questo approccio segna anche il percorso per articolare l’impatto delle voci di costo: per il lavoratore, per l’azienda e per la società.
I costi per il lavoratore
Ovviamente il «costo» maggiormente rilevante per i lavoratori riguarda certamente la perdita della qualità della vita, o, addirittura, la morte prematura risultante dagli infortuni o dalle malattie. La traduzione di questo impatto in termini economici – avverte la relazione – è difficile e a volte distorto. È previsto l’utilizzo di indici sintetici che misurano l’onere totale associato alle malattie, espresso in numero degli anni di vita in buona salute persi a causa di un decesso precoce o di una salute precaria o per/con disabilità. Inoltre possono essere calcolati altri costi indiretti e/o intangibili rilevanti. Ad esempio, i lavoratori con problemi di salute possono avere prospettive economiche peggiori rispetto a quelli in condizioni di salute migliori; possono acquisire debiti o perdere beni produttivi, come una casa o un’automobile. Inoltre gli impatti economici sul lavoratore coinvolgono direttamente la famiglia e la comunità di appartenenza.
I costi per l’azienda/datore di lavoro
I costi degli infortuni e delle malattie professionali aumentano i costi dell’impresa (nel breve termine) e diminuiscono i profitti (nel lungo periodo), anche a causa della mancanza di produttività (giornate di assenza del lavoratore, misure per riorganizzare il lavoro, sostituzione del lavoratore). In dettaglio, gli effetti sui costi comprendono: assenza della persona infortunata; interruzione nei processi di produzione; riorganizzazione del lavoro; primo soccorso; eventuale spesa per reclutamento/sostituzione di personale temporaneo e ricadute sui colleghi; formazione di chi sostituisce l’infortunato/deceduto; eventuali danni ai macchinari; aumento dei premi assicurativi. Quanto agli effetti sui profitti vengono segnalati: perdite di produzione (in base all’occupazione del lavoro, alla qualifica, ai tempi di produzione), danno di immagine dell’azienda; scarsa soddisfazione lavorativa.
In tema di costi aziendali occorre inoltre considerare, secondo la Commissione di inchiesta, che la maggioranza degli infortuni, in particolare l’82% di tutti gli infortuni sul lavoro e il 90% degli infortuni mortali avvengono all’interno di piccole e medie imprese. È evidente che le imprese di questa tipologia sia dal punto di vista finanziario che dal punto di vista organizzativo sono strutturalmente più soggette ai problemi che si generano in seguito a fatti di gravità (anche di rilievo penale) come gli incidenti sul lavoro.
I costi per la società
Sicuramente molto significativo è anche l’impatto sociale, ancorché difficilmente quantificabile, che riguarda i risvolti degli infortuni e delle malattie sul lavoro sulla qualità della vita Inoltre le variabili esaminate possono anche trovare una «quantificazione economica» ed essere utilizzate nella valutazione degli impatti economici, prevalentemente nei costi intangibili. Secondo la letteratura internazionale – spiega la relazione – i «costi sociali» devono essere intesi come la somma di tutti i costi collegati all’infortunio e alla malattia del lavoratore e possono essere espressi in termini di impatto sull’abilità della persona colpita da infortunio nel perseguire le sue principali attività sociali, incluso il lavoro, la cura dei membri della famiglia. Le conseguenze sociali riguardano in modo diretto il lavoratore infortunato, ma l’impatto si estende anche ai membri della famiglia, ai colleghi di lavoro, alle compagnie di assicurazione, ai costi sanitari formali pagati dal settore pubblico/dall’assicuratore; alle spese generali/di amministrazione del settore pubblico/dell’assicuratore, al tempo impiegato di caregiving informale da parte della famiglia e della comunità; alle spese vive dei lavoratori per prodotti e servizi sanitari, compresi i costi delle risorse associati alla ricerca di cure.
Le stime sulla ripartizione dei costi
I costi per caso per l’Italia ammontano a 54.964 euro. L’incidenza stimata dei costi totali sul PIL è significativamente superiore ai dati europei conosciuti, e vede la percentuale più alta per la Polonia (10,2%), mentre per l’Italia raggiunge il 6,3%. I costi per persona occupata (cioè il costo per ogni dipendente nella forza lavoro), ammontano a 4.667€ per l’Italia. I costi totali più elevati da sostenere sono quelli a carico del lavoratore (ammontano al 67% in Italia) e, successivamente, dei datori di lavoro (20%). I costi più bassi vengono sostenuti dalla società / settore pubblico, con il 13%.
Lo sfruttamento del lavoro
La Commissione, poi, individua una stretta correlazione tra la mancata tutela della SSL e lo sfruttamento del lavoro, l’altro aspetto dell’inchiesta. Questa condizione di sfruttamento del lavoro si concentra nel settore agricolo, dove maggiormente si registra lavoro irregolare con ricorso a manodopera sottopagata, priva di condizioni di lavoro e umane dignitose, di provenienza extracomunitaria. Si nota, altresì, una specificità di genere che grava sulle lavoratrici per lavori faticosi per condizioni, orari, retribuzioni. Le evidenze dimostrano che il reato di intermediazione illecita di manodopera si registra in ogni campo lavorativo: edilizia, sanità, assistenza, case di cura, logistica, call-center, ristorazione, servizi a domicilio, pesca, cantieristica navale. Altro elemento da porre in evidenza riguarda la diffusione su tutto il territorio, nelle campagne, soprattutto nelle province ad alta vocazione agricola, nelle periferie metropolitane, per l’edilizia o per trasporti, per il facchinaggio (e le cooperative spurie), per i lavori di manutenzione. Ma non ci si deve limitare al lavoro irregolare e sommerso. Gli incidenti sul lavoro – osserva la Commissione – coinvolgono quasi esclusivamente operai e manovalanza di vario tipo, a dimostrazione che – in forza dello studio della causalità dei singoli incidenti – sono vittime sempre gli anelli deboli della catena lavorativa. Di conseguenza – suggerisce la Relazione – se si vuole misurare l’efficienza del nostro sistema di prevenzione, non si deve trascurare un’analisi volta a valutare in che misura incida sulla morte o lesione di un operaio o di un agricoltore la gerarchia funzionale delle posizioni di garanzia all’interno di un’impresa. Se a subire quasi sempre gli eventi lesivi sono gli operatori della fascia più bassa dell’attività lavorativa, evidentemente vi è un sistema organizzativo del l’impresa che non presta la dovuta attenzione a tutti gli obblighi della sicurezza e che scarica sui lavoratori i deficit strutturali e organizzativi dell’ambiente di lavoro.
Membro del Comitato scientifico ADAPT