Bollettino ADAPT 18 febbraio 2019, n. 7
“la vita trascorsa è come la giornata di ieri che è passata,
come un turno di veglia nella notte”
Lo scorso 14 febbraio è morto a Roma Stefano Patriarca a seguito di una malattia improvvisa ed inesorabile che in pochi mesi lo ha strappato all’affetto dei suoi cari, allo studio, al lavoro e all’impegno civile. Per chi scrive Patriarca era un amico. Avevo condiviso con lui decenni di militanza sindacale e di confronto culturale perché ambedue – non sempre con le medesime opinioni – facevamo parte del Circo Barnum in cui si ritrovano coloro che si interessano di lavoro e di welfare sia pure con una caratteristica particolare: quella di arrivare alla teoria – e poi a praticarla con passione – partendo dalla pratica di un lavoro quotidiano, spesso condizionato da un ruolo di rappresentanza di interessi specifici, che restano tali anche quando riguardano genericamente il mondo del lavoro.
Negli ultimi anni era iniziata tra di noi una nuova collaborazione, fatta di scambi di opinioni, di scritti e di informazioni (Stefano era un osservatore privilegiato da quando era entrato a far parte del brain trust dei governi della trascorsa legislatura), di confronti che portavano quasi sempre ad ampie convergenze e condivisioni, in particolare in materia di pensioni (Patriarca veniva da lontano: aveva seguito, per incarico e a nome della Cgil nel 1995 il percorso della riforma Dini, insieme a Beniamino Lapadula, col quale raccontò quella esperienza nel saggio: “La rivoluzione delle pensioni”).
Non mi risulta che Patriarca fosse un collaboratore di ADAPT. Tuttavia, sono convinto che chiunque si sia occupato di politiche del lavoro e di welfare, si sia trovato, in diverse circostanze, a leggere e a meditare su articoli e saggi scritti da lui, scoprendovi sempre degli spunti interessanti. Ed è con questo spirito che intendo onorare, su di una pubblicazione prestigiosa come quella che mi ospita, il pensiero di Stefano Patriarca commentando uno dei lavori a cui si dedicò, quando era ancora a Palazzo Chigi, in occasione di un incontro-seminario riservato, svoltosi il 17 luglio 2017, tra i “tecnici” del governo ed un gruppo di dirigenti sindacali, nel momento in cui – dopo la legge di bilancio 2017, dove era stato varato il Pacchetto Ape e le altre misure – il governo e i sindacati tentavano di dare corso alla c.d. Fase 2 del programma in precedenza concordato: la fase che avrebbe dovuto impostare alcune riforme di carattere strutturale.
Patriarca riconosceva che, grazie alla riforma Fornero, era in corso una fase di stabilizzazione finanziaria del sistema pensionistico, contraddistinta da una frenata della spesa sul Pil che stava invertendo il processo di crescita degli ultimi 15 anni. L’Italia, tuttavia, rispetto agli altri Paesi presentava: un livello di spesa pensionistica superiore (16% PIL a fronte del 15% Francia, 12% Germania e Spagna); una speranza di vita più alta; un invecchiamento più veloce; un debito pubblico molto più elevato. Ciò premesso, Patriarca faceva notare (questa problematica è poi scomparsa nel dibattito) che non possiamo dormire sugli allori perché stanno emergendo criticità rilevanti: recenti previsioni demografiche segnalano un quadro in peggioramento rispetto al preoccupante trend di invecchiamento; nonostante le riforme il livello attuale dell’età di accesso al pensionamento è ancora molto inferiore all’età di vecchiaia (grazie alle pensioni anticipate e ai meccanismi di salvaguardia per i c.d. esodati, i precoci e le altre forme spurie di flessibilità in uscita).
Consapevole di tali criticità Patriarca evidenziava il peso dell’età nel pensionamento e la netta prevalenza dei trattamenti anticipati. Considerazioni, queste, assai importanti alla luce della piega assunta in seguito dal dibattito previdenziale fino ad arrivare a quanto disposto dal decreto n.4/2019 ora in conversione al Senato.
Un altro aspetto determinante, oltre al requisito della sostenibilità, è quello del tasso di sostituzione (rapporto tra pensione ultima retribuzione) che misura l’adeguatezza del trattamento. Nel sistema contributivo, in media, non vi é un problema di adeguatezza della prestazione: al netto del prelievo fiscale il tasso di sostituzione – sosteneva Patriarca – si colloca a livelli percentuali comparabili a quelli del retributivo (si veda la tabella sottostante). L’aggiunta del TFR, a maggior ragione se inserito in schemi di previdenza complementare, determina un tasso di sostituzione mediamente superiore a quello relativo al sistema retributivo. Peraltro, la dimensione della contribuzione obbligatoria e volontaria è tale (33% + 10%) da produrre rischi di eccesso di risparmio previdenziale. L’adeguatezza – ricordava Stefano Patriarca nel seminario – è correlata soprattutto se risponde alla certezza della prestazione in ragione della sostenibilità finanziaria, all’età di pensionamento, al livello assoluto della prestazione, al rapporto tra entità e età della pensione con le condizioni di bisogno individuali nonché con la qualità della carriera lavorativa.
Dopo queste considerazioni di premessa, Patriarca passava a prefigurare una revisione del sistema tale da garantire migliori prospettive ai giovani. Le precondizioni riguardavano: il contenimento della spesa nel breve periodo e la stabilizzazione finanziaria nel medio lungo; il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro; l’adozione di politiche di invecchiamento attivo. Inoltre, venivano proposti, quali strumenti operativi, un sistema più generoso ed equo di contribuzione figurativa ed un fondo di solidarietà per il sostegno delle basse contribuzioni.
L’aumento dell’età pensionabile effettiva era indicata come garanzia dell’adeguatezza e della stabilità del sistema, sia pure con misure di protezione del lavoro di cura, di attenzione per le condizioni di salute, la gravosità del lavoro e l’assenza di reddito. Il che comportava l’istituzione di un trattamento minimo di garanzia, come nel regime retributivo. L’integrazione poteva corrispondere all’attuale minimo comprensivo dell’assegno sociale (circa 650 euro mensili) percepibile all’età di vecchiaia con 20 anni di contributi e crescente per ogni anno di contribuzione successivo al ventesimo.
Di particolare interesse il nuovo ruolo che, nell’impianto di Patriarca, era affidato alla previdenza complementare, alla quale non doveva più essere chiesto soltanto di integrare la pensione pubblica al momento della quiescenza ma di essere uno strumento di risparmio per la gestione di redditi ponte (in linea con l’intuizione del RITA). Questa idea, poi, venne meglio sviluppata da Patriarca in un articolo su Il Sole 24 Ore, nei termini seguenti. Partendo dalla premessa che le generazioni del contributivo hanno (per legge) una prospettiva di pensionamento non anteriore ai 68 – 70 anni e che a tali età di pensionamento i tassi di sostituzione assicureranno (si veda ancora la tabella sottostante) pensioni quasi equivalenti a quelle garantite dal sistema retributivo (perché non è il tipo di calcolo, come si ritiene, a produrre trattamenti modesti, ma la precarietà e la discontinuità della vita lavorativa) Patriarca sosteneva che era destinata a perdere rilevanza la prospettiva dell’integrazione del reddito, affidata alla pensione privata. “È necessario – scriveva sul quotidiano economico – pensare invece ad un sistema rinnovato, che offra una copertura adeguata di reddito anche prima dell’età di pensionamento, che consenta, per questa via, scelte flessibili di permanenza o meno nel mercato del lavoro. È questa l’esigenza che ha cominciato a voler cogliere l’istituzione del RITA, che consente di avere il montante accumulato in rate, prima del pensionamento pubblico. È questa – concludeva – la strada da rafforzare: non una modesta rendita da aggiungere alla pensione pubblica quando arriverà, ma un’opportunità di reddito prima di quell’età, ribaltando lo schema di norme vincolistiche che scoraggia l’adesione ai fondi proprio perché la percezione spesso è quella di un “risparmio ibernato” come si percepisce lontana la pensione pubblica”.
Queste sono le parole di uno che era amico di Stefano Patriarca, che condivideva le sue opinioni in materia di previdenza, che ne apprezzava il lavoro, molto importante ed autorevole in una fase in cui il Paese rischia di cestinare gli esiti di un quarto di secolo di riforme e di sacrifici. Stefano lascia a noi tutti l’esempio di un impegno di lotta “dalla parte giusta” e l’invito a non arrendersi, anche quando tutto sembra essere perduto.
Membro del Comitato scientifico ADAPT