La sentenza n.173/2016 della Consulta ha riconosciuto la legittimità costituzionale del contributo di solidarietà disposto, per un triennio (è in scadenza alla fine dell’anno in corso) dalla legge di stabilità n.147 del 2013 (comma 486 dell’art.1). In quella sede il Governo aveva riformulato – aumentando anche le aliquote di prelievo per le diverse fasce di trattamenti considerati (si veda la Scheda) – il provvedimento (disposto nell’ art. 18, comma 22bis del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’art. 24, comma 31 bis del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201) ritenuto illegittimo dalla Corte con sentenza n.116 del 2013.
SCHEDA
Art. 18, comma 22bis del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’art. 24, comma 31 bis del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 In considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi complessivamente superino 90mila euro lordi annui, sono assoggettati ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo fino a 150mila euro, nonché pari al 10 per cento per la parte eccedente 150mila euro e al 15 per cento per la parte eccedente 200mila euro. Art. 1,comma 486 legge 147/2013 (Finanziaria 2014) A decorrere dal 1º gennaio 2014 e per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori a quattordici volte il trattamento minimo INPS, è dovuto un contributo di solidarietà a favore delle gestioni previdenziali obbligatorie, pari al 6 per cento della parte eccedente il predetto importo lordo annuo fino all’importo lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS, nonchè pari al 12 per cento per la parte eccedente l’importo lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS e al 18 per cento per la parte eccedente l’importo lordo annuo di trenta volte il trattamento minimo INPS (in sostanza i medesimi valori definiti nella legge precedente). |
Ai ricorrenti che avevano sostenuto trattarsi di un provvedimento sostanzialmente identico a quello ritenuto illegittimo, la Consunta ha replicato di considerare dirimente la circostanza che le risorse derivanti dal prelievo fossero riversate (ai sensi, appunto, della legge n.147/2013) all’interno del sistema previdenziale per concorrere a finanziare (sia pure con pochi milioni, ndr) le salvaguardie per i c.d. esodati, diversamente da quanto stabilito nelle norme cassate, giacché le somme allora trattenute dagli enti venivano versate in entrata nel bilancio dello Stato.
Di conseguenza, mentre il primo provvedimento consisteva in un prelievo fiscale limitato ad una sola categoria di pensionati (quelli con trattamenti più elevati) ed era perciò illegittimo, il secondo – a giudizio della Corte – rientrava in una logica di solidarietà sistemica pienamente giustificata nel contesto della crisi in cui versava il Paese. Si giustifica così – per le distinte finalità delle due misure, ancorché il contenuto sia “strutturalmente non dissimile”- la differente valutazione della Corte, ribadita nelle due sentenze ricordate.
A chi scrive, la motivazione principale di cui si è avvalsa la Corte per dichiarare la legittimità del ‘’secondo’’ prelievo di solidarietà, sembra maggiormente rivolta a giustificare una discutibile sentenza come quella del 2013, piuttosto che a rafforzare i motivi di quella dell’anno in corso. A copertura delle sette salvaguardia in favore dei c.d. esodati sono andate, infatti, ingenti risorse finanziarie in netta prevalenza ricavate dalla fiscalità generale e ben superiori alle poche decine di milioni derivanti dal contributo di solidarietà. Pare, dunque, sostenibile, sul piano giuridico, che un incremento delle risorse proprie della fiscalità generale sia in grado di ampliare gli interventi a tutela di quei lavoratori considerati meritevoli (il che è discutibile) di mantenere i medesimi requisiti previgenti rispetto a quelli previsti dalla riforma Fornero del 2011. Al di là, comunque, di queste argomentazioni, le altre motivazioni della Corte appaiono del tutto condivisibili.
Soprattutto perché i “giudici delle leggi” – riconfermando la loro giurisprudenza in materia -tracciano un insieme coerente di regole generali per attribuire legittimità costituzionale ai contributi di solidarietà sulle “pensioni più elevate” (le sole – purché parametrate sulla base dell’importo del trattamento minimo onde assicurare la proporzionalità dell’intervento – sulle quali, secondo la Corte, può essere disposto un contributo di solidarietà). “In definitiva – è ribadito nella sentenza n. 173 – il contributo di solidarietà, per superare lo scrutinio “stretto” di costituzionalità, e palesarsi dunque come misura improntata effettivamente alla solidarietà previdenziale (artt. 2 e 38 Cost.), deve: operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum”.
Ne deriva che “anche in un contesto siffatto, un contributo sulle pensioni costituisce, però, una misura del tutto eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza”. Il contributo, poi, non può mettere a repentaglio “il principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato”: principio che, nella fattispecie considerata, viene salvaguardato dalla “emporaneità” e dalla “eccezionalità” del provvedimento stesso. Le parole sono pietre soprattutto quando vengono scritte dai‘’giudici delle leggi’’ (relatore Mario Rosario Morelli). Mettiamo insieme queste parole, ognuna delle quali prefigura un concetto giuridico ben definito: proporzionalità, finalità solidaristica all’interno del sistema pensionistico, temporaneità, eccezionalità, discontinuità, salvaguardia dell’affidamento sui trattamenti percepiti secondo le norme vigenti. All’interno di questo perimetro, tracciato in modo così netto, possono essere ricompresi i tagli strutturali e permanenti alle pensioni più elevate (anche se disposti in chiave solidaristica)?
Sono ammissibili i “ricalcoli” vagheggiati nel palazzo di Via Ciro il Grande (potrebbe mai l’Inps avere una sede centrale in una località contrassegnata da un nome meno importante?). Si dirà che la sentenza n.173 si è pronunciata su di una diversa materia come il contributo di solidarietà. Ma può essere confinata in un ambito tanto vigilato una misura di carattere “temporaneo”, “eccezionale”, “una tantum” sui diritti pensionistici, mentre viene lasciata mano libera ai “mozzorecchi” delle “pensioni d’oro” ?
Membro del Comitato scientifico ADAPT
Docente di Diritto del lavoro UniECampus