Politically (in)correct – La precarietà è un dogma; e non si mette in discussione

Bollettino ADAPT 29 gennaio 2024, n. 4

 

Ho apprezzato e condiviso un articolo a firma di Tito Boeri e Roberto Perotti apparso nei giorni scorsi su la Repubblica col titolo La qualità dell’occupazione. È di conforto leggere le prime frasi che smontano i luoghi comuni correnti quando si tratta di questioni del mercato del lavoro. “Le buone notizie che vengono dal mercato del lavoro – nel terzo trimestre l’occupazione è aumentata del 2% rispetto allo stesso periodo del 2022 – vengono accolte con un misto di stizza e scetticismo. Ma come – scrivono i due economisti – non doveva essere l’anno del precariato? Non ci sarà un trucco? Perché – aggiungono – l’occupazione cresce nonostante l’economia sia quasi in stagnazione? Ne abbiamo letto di cotte (nel senso disperatamente alla ricerca di ragioni per sminuire l’importanza di questo risultato) e di crude (nel senso di improvvisate) in questi giorni”.

 

Proseguendo Boeri e Perotti stigmatizzano i commenti di chi ha sostenuto che l’incremento occupazionale è derivato dalla mancata abolizione della riforma Fornero e pertanto molti lavoratori non sono stati in grado di andare in pensione. “In altre parole – scrivono – invece di maggiore creazione di lavoro dovuta ad assunzioni ci sarebbe stata meno distruzione di lavoro (a seguito di licenziamenti e dimissioni)’’. È vero: ci sono reticenza ed imbarazzo a condividere una considerazione di Francesco Seghezzi su ADAPT: “L’andamento del mercato del lavoro italiano è caratterizzato, ormai da diversi trimestri, da un trend positivo che ha portato a superare negli ultimi mesi diversi record. Primo tra tutti quello del numero di occupati, ma anche il numero di occupate donne, quello degli occupati a tempo indeterminato e altri ancora’’. Certo, non abbiamo scalato delle posizioni nella classifica europea; restiamo sempre in coda.

 

Tuttavia, invece di analizzare questo fenomeno inedito ed inatteso, determinato da tanti elementi a lungo sottovalutati (come, tra tutti, i trend demografici) che riducono inevitabilmente – soprattutto in talune coorti – il denominatore ovvero le platee su cui si calcolano i tassi; invece di porsi il problema di come affrontare un mismatch e una quota di posti vacanti  importanti e in aumento, che coesistono con un elevato tasso di disoccupazione, la linea generale continua ad essere quella che rincorre il lavoro marginale e precario sul terreno normativo, come se bastassero norme abrogative delle leggi pirata sul mercato del lavoro per ripristinare livelli di occupazione stabili e tutelati (magari con il ripristino dell’articolo 18 dei bei tempi che furono). Anche il presidente della Repubblica nel suo messaggio a reti unificate di fine d’anno ha dato l’impressione di condividere la narrazione consueta. “Il lavoro che manca. Con tante, inammissibili, vittime. Il lavoro che manca. Pur in presenza di un significativo aumento dell’occupazione. Quello sottopagato. Quello, sovente, non in linea con le proprie aspettative e con gli studi seguiti. Il lavoro, a condizioni inique, e di scarsa sicurezza. Con tante, inammissibili, vittime. Le immani differenze di retribuzione tra pochi superprivilegiati e tanti che vivono nel disagio’’.

 

Era sicuramente giusto ed opportuno che uno statista del profilo di Sergio Mattarella esortasse le istituzioni ad affrontare i tanti problemi non risolti e che affliggono settori significativi del mondo del lavoro e della società non mancava un riferimento ad “un significativo dell’occupazione”. Ma nell’equilibrio del brano questa circostanza – pur con tutti i suoi limiti – assume quel carattere residuale che dovrebbe essere riferito in verità alla seconda parte del ragionamento. Del resto, non me ne voglia un esperto di comunicazione come Francesco Nespoli, la narrazione che entra nelle nostre case tramite la tv e i suoi programmi continua ad essere a senso unico: il mercato del lavoro in Italia è dominato – la definizione è di Maurizio Landini – da un precariato “dilagante”, dalla logica del profitto, dalla negazione dei diritti fondamentali.

 

Mi è capitato di partecipare ad un dibattito televisivo (su di una rete Rai) dedicato al lavoro. Erano con me Cesare Damiano – che ha le sue idee e le difende con competenza e serietà – e un accademico di un Ateneo del Centro Sud, secondo il quale sarebbe necessario abrogare tutte le leggi sul mercato del lavoro a partire dal pacchetto Treu dei primi anni ’90 per arrivare ai nostri giorni, conservando in vigore solamente il c.d. decreto dignità (ovviamente nella versione Di Maio). Ma il messaggio esplicito veniva dai servizi attraverso i quali si sarebbe dovuta intravvedere la qualità del lavoro italiano: una signora con un figlio a carico costretta a mansioni di rider con un contratto di collaborazione; un’insegnante precaria della scuola che viene retribuita con un ritardo di alcuni mesi (c’è una motivazione amministrativa ma si evita di spiegarla). Alcuni disoccupati e lavoratori socialmente utili di Napoli rivendicano una politica industriale. Infine l’eroe positivo: un imprenditore che già applica l’orario settimanale di 34 ore a parità di retribuzione perché quando un lavoratore “è felice” lavora meglio ed è più produttivo. Buono a sapersi.

 

In questi ultimi giorni si è riaperto anche il capitolo delle pensioni, dopo un’intervista del sottosegretario Claudio Durigon. A me è capitato di parlarne in una rubrica di un’altra rete. Ho avuto l’impressione di seguire la pubblicità di un’agenzia di viaggi. I servizi riguardavano famiglie di pensionati che avevano deciso di trasferirsi all’estero (nel Nord Africa e in Albania) e che vivevano un’esistenza molto decorosa grazie a un trattamento medio-basso, erogato dall’Inps. Una famiglia che poteva contare su di un assegno medio- alto conduceva una vita da nababbi. Le telecamere inquadravano la villetta in cui gli esuli volontari abitavano pagando un canone più che sostenibile. Per incoraggiare l’esodo un servizio si diffondeva sui costi delle cure odontoiatriche in Albania, mettendoli a confronto con quelli decisamente necessari in Italia. Peccato che uno degli intervistati mostrasse sul teleschermo una dentatura piuttosto sofferente.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

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