Sventato, con la bocciatura del quesito sulla disciplina del licenziamento individuale, il rischio di mandare dal giudice il salumiere sottocasa che licenzia un dipendente perchè arriva sempre in ritardo o addirittura (grazie alle modalità assai discutibili stabilite per le dimissioni volontarie) un lavoratore immigrato che è sparito senza dare notizie di sé e che magari si rifà vivo dopo qualche settimana, il popolo sovrano sarà chiamato a pronunciarsi, in una domenica fissata dal Governo tra il 15 aprile e il 15 giugno, sui rimanenti due referendum: quella sugli appalti e quella sui voucher, veri e propri atti di criminalità economica, ma sostenuti da quesiti formulati in maniera conforme alla legge. A meno che il Parlamento non sia in grado di introdurre modifiche alle discipline rispettivamente in vigore ritenute, a giudizio della Corte di Cassazione, adeguate a cogliere la sostanza delle richieste poste dai quesiti. Il che non sarà agevole, specie per il quesito sui voucher, che chiede di ghigliottinare le norme e basta.
In tal senso si sono già spesi sia Maurizio Landini che Susanna Camusso, la quale ha dichiarato che la Cgil non si arrende, che si rivolgerà alla Corte di Giustizia della Ue, che chiederà ogni giorno al Governo di fissare la data dei referendum e che inizierà da subito la campagna elettorale. Alla leader della Cgil non sfugge, infatti, che non sarà facile superare, con il beef di due referendum, quel quorum della maggioranza degli aventi diritto al voto che – per fortuna – non è stato modificato (come sarebbe avvenuto con l’entrata in vigore della legge Boschi). La Cgil conta sull’effetto trainante della “mistica del precariato” che spargerà a piene mani contro gli odiati “pizzini” (come Camusso definisce i buoni lavoro), sperando di far dimenticare che alcune sue strutture se ne sono servite (e continuano a difenderne l’utilità) e di neutralizzare la contrarietà delle altre organizzazioni sindacali all’abrogazione tout court dei voucher. Ci aspetta, dunque, una campagna referendaria in cui sarà gettato nuovo veleno nei pozzi del vivere civile, in cui uno strumento di retribuzione del lavoro occasionale che ha incontrato il favore del mercato dovrà salire sul patibolo delle ideologie malate, ma sempre pronte a rigenerarsi ad ogni occasione. Proprio così. Questi referendum hanno avuto uno spazio di gran lunga superiore alle stesse aspettative dei promotori, in conseguenza del trascinamento del voto del 4 dicembre. Non è un segreto che la Cgil non fosse particolarmente interessata allo svolgimento del referendum. In una nota della segreteria della primavera scorsa era scritto: “La scelta referendaria, a carattere eccezionale e straordinario, è unicamente finalizzata al sostegno della Proposta di Legge di iniziativa popolare che la Cgil avanza con la ‘Carta’, che è e rimane il cuore e la finalità dell’iniziativa decisa dalla Cgil”. Concetto ribadito da Susanna Camusso: “la nostra speranza è che il parlamento faccia una legge, per noi il referendum è solo un pungolo al parlamento, non l’obbiettivo finale. Quindi speriamo che con tante firme si arrivi a legiferare e quindi a far cadere i quesiti referendari”. All’indomani del giudizio della Consulta, la leader della Cgil ha ribadito che non si accetteranno compromessi e che la soluzione è quella indicata nella Carta dei diritti universali dei lavoratori (proprio così: il surriscaldamento dell’Io ha portato Camusso a fare il verso ad Eleonor Roosevelt che fu l’animatrice della Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo).
Per capire che cosa abbia in mente questo sindacato siamo risaliti alle fonti e siamo andati alla ricerca della Carta. Rimanendo sbigottiti. Altro che codice semplificato di Pietro Ichino! Si tratta del testo di un progetto di legge di 97 articoli che riscrive completamente (spesso ricopiando ciò che già esiste) il diritto del lavoro e quello sindacale (con qualche incursione nel diritto previdenziale) e che – udite ! udite! – si fa persino carico dell’attuazione dell’articolo 39 Cost. in tutti i suoi aspetti, compreso il contratto collettivo valido erga omnes. Sarà il caso di occuparsi di questa iniziativa che, fino ad ora, è stata considerata alla stregua della ricerca del “come eravamo”: una bizzarria di soggetti irriducibilmente nostalgici del loro “piccolo mondo antico”. Ma, si parva licet, questa volta ci limitiamo a segnalare come, nel suo progetto, la Cgil intenderebbe disciplinare il lavoro occasionale. All’argomento sono dedicati ben un Capo (il IV) e due articoli (80 e 81). Si comincia con l’elenco delle attività nell’ambito delle quali cui sarebbe consentita questa tipologia di lavoro (attraverso un vero e proprio contratto tipizzato): a) i piccoli lavori di tipo domestico familiare, compresi l’insegnamento privato supplementare, i piccoli lavori di giardinaggio e l’assistenza domiciliare occasionale ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con handicap; b) la realizzazione da parte di privati di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli di piccola entità. Mentre ci interroghiamo sul significato e la portata del sostantivo “piccoli”, passiamo all’individuazione dei limiti soggettivi. Potrebbero svolgere lavoro subordinato occasionale i seguenti soggetti: a) studenti, b) inoccupati, c) pensionati; d) disoccupati non percettori di forme previdenziali obbligatorie di integrazione al reddito o di trattamenti di disoccupazione, anche se extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro. Il singolo lavoratore potrebbe essere occupato presso lo stesso datore di lavoro, in virtù di uno o più contratti di lavoro subordinato occasionale, per un periodo di tempo complessivamente non superiore a 40 giorni nel corso dell’anno solare, ed i relativi compensi non possono essere superiori a € 2.500. Balza subito in evidenza l’assurdità di un perimetro tanto ristretto per l’utilizzo del lavoro occasionale: un’assurdità che si accompagna subito a quella altrettanto grave del divieto per i percettori di ammortizzatori sociali (condannati a restare inattivi in nome di un principio – di equità? – che non riusciamo a comprendere).
Ma il bello viene quando si passa alla fase operativa, per spiegare la quale ci avvaliamo sostanzialmente del commentario della stessa Cgil. E’ l’articolo 81 a stabilire le modalità di funzionamento e di utilizzo del lavoro occasionale e gli adempimenti ai quali si devono attenere i datori di lavoro e i lavoratori. Si prevede un sistema di piena tracciabilità dei buoni (schede) in modo da eliminare ogni possibile abuso di questo istituto. Ogni lavoratore interessato a svolgere prestazioni di lavoro subordinato occasionale, comunica la sua disponibilità ai servizi per l’impiego nell’ambito territoriale di riferimento, o ai soggetti accreditati di cui all’articolo 7 del D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Riceve una propria tessera magnetica dotata di un codice Pin. I datori di lavoro/committenti acquistano le schede, dotate ognuna di un proprio codice a barre, presso le rivendite autorizzate fornendo i propri dati anagrafici ed il proprio codice fiscale. La retribuzione del lavoratore avviene mediante la consegna delle schede da parte dei datori di lavoro. I lavoratori possono riscuotere i compensi attraverso la presentazione della tessera magnetica e del relativo Pin e la consegna delle schede presso le rivendite autorizzate. Ogni scheda ha un valore nominale di 10 euro e corrisponde ad un’ora di lavoro. La scheda è comprensiva dei contributi previdenziali (1,30 euro) per il fondo pensioni lavoratori dipendenti e della copertura assicurativa Inail (0,70 euro). Una quota (0,50 euro) è per le spese di servizio. Il valore netto a favore del lavoratore è pari a 7,50 euro per ogni scheda. Viene confermato che i compensi per le prestazioni sono esenti da imposizione fiscale e non incidono sullo stato di disoccupazione o inoccupazione del lavoratore. In sostanza, sarebbe più difficile svolgere attività di lavoro occasionale (in settori limitatissimi) che qualsiasi altre mansioni. Ci vorrebbe la “patente”. Come a quel personaggio di Pirandello che aveva nomea di iettatore.
Si è parlato molto poco del quesito sugli appalti, che si propone di cassare parti del comma 2 dell’articolo 29 del dlgs n.276/2003. La prima abrogazione riguarda l’incipt del comma 2 dalle parole: “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,”. In sostanza, un sindacato chiede che sia abrogata una norma che gli attribuisce (se vuole) il potere di negoziare “metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti’’ (lo ripetiamo, parola per parola, perché si comprenda bene l’assurdità del quesito). La Cgil si spinge fino a fare propria la battuta, più volte ricordata, di Groucho Marx (ripresa da Woody Allen): “Non aderirei mai ad un club che accettasse tra i suoi soci persone come me”.
Quanto, invece, alla seconda parte di cui è richiesta l’abrogazione concerne le seguenti parole: “Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori’’. In sostanza, mentre nella normativa vigente il committente è responsabile in solido per le inadempienze dell’appaltatore e dei sub appaltatori, ma può chiedere che prima di lui siano escussi i soggetti inadempienti, con la modifica proposta dalla Cgil se non pagano gli altri (inadempienti nei confronti dei lavoratori) paga direttamente il committente, salvo esercitare, a posteriori, l’azione di regresso. Il committente può persino essere convenuto in giudizio da solo senza gli altri corresponsabili. Può essere che così sia più tutelato il lavoratore, ma si irrigidisce tutta la filiera dell’appalto. Non è un caso che Maurizio Landini abbia dichiarato che il tema principale è quello sugli appalti, che “per importanza è superiore anche ai voucher”, perchè riguarda “tutti i settori e milioni di lavoratori”.
Membro del Comitato scientifico ADAPT
Docente di Diritto del lavoro UniECampus