Bollettino ADAPT 26 febbraio 2024, n. 8
Domani è il gran giorno. L’Assemblea generale della Cgil (i 300 “giovani e forti’’ di Maurizio Landini, emulo di Carlo Pisacane) deciderà la strategia per la controffensiva di primavera contro il governo Meloni e la sua maggioranza. Dopo averci provato senza successo con ben due scioperi generali e con manifestazioni di popolo che hanno coinvolto, oltre alla Uil, più di 100 sigle sindacali anch’esse alla ricerca della “via maestra”, il leader di Corso Italia intende adottare una diversa linea di condotta, che coinvolga – come nel caso della vertenza sul salario minimo – anche il fronte delle opposizioni. Infatti all’ordine del giorno dell’Assemblea (che è la più importante istanza decisionale della Confederazione) è indicato l’avvio di una poderosa iniziativa politica, legislativa e referendaria che tenga insieme una selezione di quesiti abrogativi del jobs act e di altre norme responsabili di quella “precarietà dilagante’’ (contratti a termine, voucher, rapporti di lavoro flessibili) che per Landini è uno dei principali crucci, talmente assillante da non credere alle statistiche dell’Istat sul mercato del lavoro (tanto da ignorare 450mila assunzioni in più a tempo indeterminato nell’ultimo anno).
C’è poi la questione del trattamento di fine servizio dei pubblici dipendenti: un’ulteriore occasione per svergognare un governo che in materia è arrivato a cose fatte da anni, ma che non ottempera alle sentenze della Consulta. Inoltre, perché non avvalersi (come ha fatto la Cisl su altri temi) dell’iniziativa legislativa popolare per rilanciare la questione cruciale del salario minimo? È stato pur sempre il solo sprazzo di luce nell’azione politica delle opposizioni in questa legislatura, l’unica volta in cui hanno messo, senza neppure rendersene conto e apprezzare il risultato, in difficoltà la maggioranza.
Infine c’è la madre di tutte le riforme del diritto sindacale: un progetto di legge sulla rappresentanza che dovrebbe sancire, nelle previsioni di Landini, il primato della Cgil e dei suoi satelliti. Per prepararsi a questa sfida la Cgil ha mobilitato la Consulta giuridica ben insediata tra i docenti di diritto del lavoro come abbiamo potuto osservare in tante altre occasioni. Oltre vent’anni fa. I più determinati critici del Libro bianco e della legge Biagi furono proprio i colleghi giuslavoristi del professore assassinato dalle BR. Come riferisce Nunzia Penelope in un articolo su Il Foglio, la decisione dell’offensiva delle pandette è già stata rinviata un paio di volte, perché all’interno della Confederazione, in particolare nei gruppi dirigenti delle federazioni di categoria, vi sono delle forti e motivate perplessità nell’avventurarsi in una impegnativa campagna referendaria, con il rischio di non raggiungere il quorum come è avvenuto nelle ultime battaglie referendarie promosse o sostenute dalla Cgil (anche se questa volta – rebus sic stantibus nei post elezioni – vi sarebbe l’adesione del Pd e del M5S). È nota, infatti, la situazione critica dei rinnovi contrattuali, con milioni di lavoratori che hanno il contratto scaduto talvolta da almeno 38 mesi, mentre altre categorie più solide si apprestano presentare piattaforme di notevole spessore (i metalmeccanici, ad esempio, si stanno orientando a rivendicare una massiccia riduzione dell’orario di lavoro). È evidente che le decisioni a cui perverrà, con il voto, l’Assemblea generale domani qualificheranno non solo la politica ma anche la stessa natura della Confederazione.
Da tempo la Cgil ha spostato l’iniziativa rivendicativa sulla politica e sui governi, a volte condizionandone l’orientamento tanto nel fare quanto nel non fare; altre volte contestandone le scelte. I temi prioritari, da tempo, riguardano il fisco, le pensioni e in sostanza le politiche pubbliche (come le misure di sostegno nel corso dell’emergenza sanitaria) e da essi sono dipesi o meno gli interventi a favore del mondo del lavoro. I rapporti con le associazioni datoriali, negli ultimi anni, non sono esistiti, nonostante le sollecitazioni – non solo da parte dei governi, ma anche della Confindustria e della Cisl – per un confronto per un patto sociale. I problemi non sarebbero mancati di certo: dai criteri per la salvaguardia delle retribuzioni dall’inflazione alle problematiche derivanti dalla introduzione delle nuove tecnologie; dal mismatch tra domanda e offerta di lavoro alla revisione del sistema delle relazioni industriali e dell’assetto della contrattazione con l’obiettivo del miglioramento delle retribuzioni che non può prescindere da uno scambio negoziale a livello decentrato con un salto in avanti della produttività. Persino sul salario minimo sarebbe stato utile un confronto tra i protagonisti della contrattazione collettiva. Se un sindacato dimentica le sue naturali controparti anche quando fanno profitti, limitandosi a chiedere che il governo le sottoponga ad una tassazione più elevata, abdica alla sua principale funzione che è quella di distribuire quei profitti anche ai lavoratori, attraverso la contrattazione collettiva.
Quale è dunque l’obiettivo che Maurizio Landini si propone e che farà approvare domani dall’Assemblea, perché quanti esprimono delle riserve non hanno la forza di coalizzarsi in una strategia alternativa a quella del segretario padre-padrone? Come scrive ancora Penelope la consultazione referendaria sui temi del lavoro, nelle intenzioni di Landini, dovrebbe coprire il fonte sociale della battaglia – anche essa referendaria ma confermativa – che le opposizioni promuoveranno sul terreno istituzionale contro le riforme del premierato e dell’autonomia differenziata. Quella del leader della Cgil è una visione lunga che deve consentire alla sinistra politica e sindacale di stare in campo contro il governo per tutto il tempo necessario, anche se fosse per tutta la durata della legislatura. Infatti, la strategia delineata richiede, anche a livello pratico, tempi lunghi come quelli occorrenti al governo per realizzare il suo programma.
Poi verrà il giorno del Giudizio universale: quando il fronte della “Via Maestra” (già Coalizione sociale) sfiderà la destra in nome di un’alternativa globale (istituzionale, politica, economica e sociale) con l’obiettivo di ribaltare uno scenario costruito in arco temporale lungo e ad opera di altri interpreti diversi dal governo Meloni (anche appartenenti alla sinistra “deviata” accusata di aver tradito i lavoratori) e di “uscire dall’emergenza cambiando il modello di sviluppo”. In sostanza, l’Assemblea generale deciderà se è venuto il momento di concludere la mutazione genetica tra sindacato e partito o se la Cgil continuerà a rimanere in una situazione di ambiguità.